Capitolo 43

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<< Non sai nulla >> asserì, lasciando la sua poltroncina.
Si era servito di una brocca colma di un liquido ambrato, posata su di un tavolo distante, ai lati della camera. Nell'ombra appariva come un mostro delle tenebre. Rivolto verso la parete, versò un po' di quell'intruglio in un bicchiere in cristallo, bevendone poi un sorso, adirato.

Olya lo aveva raggiunto, le sue mani gli accarezzarono le spalle, come a confortarlo.

<< So più di quanto immagini >> disse, guardando le loro figure nello specchio che li ritraeva smarriti e preoccupati.

<< Allora fa quello che devi >> le intimò, guardandola attraverso il suo riflesso.

<< Ruslan, ti prego >> lo supplicò. << Non rendere le cose difficili>> insistette, audace.
Era decisa a fargli cambiare idea, voleva distoglierlo da quella che sembrava fosse una sconsideratezza.

<< Non posso >> sospirò, sopraffatto. La guardò seccato, rimettendole le mani a posto.
Olya sembrò contrariata, non appoggiava la sua ostinazione.

Sembrava si conoscessero così bene, al contrario di quanto Ruslan mi aveva fatto credere.
Quel ricordo frammentato mi portò a chiedermi quanto fossero in confidenza, sembravano legati da un segreto inconfessabile.
Desiderai sapere di cosa parlassero, erano così in combutta con i loro demoni.

Non li avevo mai visti così in difficoltà.

Ruslan mi aveva fatto credere andasse tutto bene, che le cose nella sua vita fossero facili.
Mi aveva fatto credere fosse forte.
Ma dentro di sé celava un tormento indicibile.
Se solo lo avessi saputo prima.

<< Vorrei non aver mai accettato l'incarico >> lo ascoltai lasciarsi andare ad un'autentica confessione.
<< Vorrei non averla mai incontrata >> disse infine, disgustato dalle sue sensazioni.

Era come se ripugnasse sé stesso.
Non accettava ciò che gli stava accadendo, gli eventi avevano preso una piega inaspettata.
Non sapevo di cosa stessero parlando ma sembrava che quell'incarico avesse costituito un enorme problema. Un incarico che pareva comprendere una ragazza, che doveva averlo messo parecchio in difficoltà.

Sbiancai. Feci dei profondi respiri, rimanendo sul piccolo divano bianco a scrutarlo, i miei occhi lo fissavano attentamente, il mio corpo fu percorso dai tremori.

Iniziai ad essere confusa, c'era una specie di presentimento, una sorta convinzione naturale che mi portava a credere di essere quella ragazza.
Eppure, Ruslan aveva ammesso di non amarmi, o almeno non provava quel tornado emotivo che invalidava le mie giornate.

Non poteva essere...

Non seppi cosa pensare.

Mi abbandonai alle sensazioni, dedussi stessero parlando di me.

<< Dovrai lasciarla andare, per il tuo bene e per il suo >> sentenziò Olya.

<< Altrimenti? >> la sfidò Ruslan, con gli occhi nei suoi.

L'ambiente si fece carico di minacce e ostilità, quello che scorreva tra Ruslan e Olya non era più quel clima giocoso e amorevole, fatto di passione e intimità.
Il loro rapporto era sul filo del rasoio, destinato ad incrinarsi con il passare dei minuti.

<< Non farmelo fare, non costringermi >> gli disse Olya, esausta, e abbassando lo sguardo, forse intimorita dalla sua collera.

E in effetti, Ruslan non poteva essere più adirato, mi intimorì vederlo in quel modo.

Entrambi rimasero in silenzio, nessuno dei due osò proseguire il discorso.
D'altronde, sarebbe stato inutile, perché sembravano fermi nelle proprie convinzioni.

Udii i passi affrettati di Olya nel momento in cui lasciò quel salone.

Ruslan si sedette sul divano prendendo il suo posto, in preda allo sconforto.

Ero proprio accanto a lui, nonostante non potesse vedermi.

Il cuore batteva forte, avvertii calore e tristezza. Misi una mano sulla sua, mi accasciai tra le sue braccia, perdendomi in quell'attimo eterno. Rimanemmo così, uniti e distanti, smarriti nei nostri pensieri.

Quando mi separai da lui, soffrii per la perdita di quel contatto.

Avrei voluto rimanergli accanto, avere delle spiegazioni.

Ma ero solo un'ombra invisibile.

Dovevo fare in modo mi vedesse, affrontarlo una volta per tutte.

Dovevo parlare con lui.

Salii lentamente le scale, diretta verso il grande specchio nell'armadio, al piano superiore. Ogni passo pesava e doleva.

Ritrovai quella camera solitaria, avvolta nel suo mistero.

L'armadio era più grande di quanto lo ricordassi, mi addentrai in quella stanza buia ed enigmatica.

Mi ero soffermata sulle ante chiuse, esitando diverse volte, prima di aprirle con decisione.
Lo specchio era un portale ammaliante, mi invitava ad attraversarlo senza timore.

Avevo osservato la sua cornice dorata, gli intagli floreali che lo decoravano dolcemente.

L'immagine che rifletteva quella lastra magica non era più la stessa. Da ragazzina impacciata e insicura, mi ero trasformata in una giovane donna più consapevole.

Il mio tormento, la tristezza, le ansie e le paure si erano attenuate per lasciare spazio alla mia coscienza.

Finalmente seppi perché stavo così male, intuivo la causa del mio malessere.

Le dita non la smettevano di tremare, la testa era un tornado di pensieri e idee, il cuore era un nucleo infuocato e palpitante.

Il petto abbracciava il mio dolore, inglobava a sé quella Macchia Nera.

Sbattei freneticamente le palpebre nel momento in cui iniziai a fissare con attenzione la me dello specchio.

Poi, arrivò la sicurezza.
Mi sentii pronta nuovamente per attraversarlo, mi catapultai tra le increspature acquose e lucenti.

Miliardi di scintillii mi invasero, abbagliandomi completamente.

Risplendevo del calore del sole, il mio corpo abbagliava e incantava.

Cercai di afferrare quei luccichii, di portare quella luce con me, nella realtà.

Ma dopo un po' scomparvero. Quella luce sparì, lasciandomi sola con le mie ombre.

Fui catapultata in un ambiente buio e freddo, caddi tra le pareti del maestoso armadio bianco.

Con una lentezza nociva, scostai gli sportelli pesanti, rischiarando il piccolo ambiente in cui mi ero nascosta.

Sgattaiolai dal guardaroba, rimettendomi in piedi.

Quella stanza, si era impregnata di una malinconia senza eguali. I ricordi iniziavano man mano a riaffiorare.

Mi guardai allo specchio lucido, portandomi le mani alla bocca.

Respiravo freneticamente, mentre guardavo la ragazza di fronte a me, imitarmi nei movimenti. Io e Clara ci muovevamo all'unisono, guardavo incredula la sua immagine riflessa.

Ne studiai l'espressione, Clara sembrava così in pace con sé stessa.
Si portò una mano al cuore e mi accorsi di aver fatto lo stesso.

<< Sapevo ci saremmo rincontrate, India >> la sentii sussurrare, prima che si dissolvesse nella superficie trasparente.

Ero rimasta a fissare la mia immagine per un tempo indefinito, la mano sul cuore impegnata a verificarne i battiti.

Il tempo fu scandito dal mio respiro, che si era fatto man mano più regolare.

Abbozzai un flebile sorriso, la tristezza dei miei pensieri mi aveva reso nostalgica.

Ruslan.

Avevo bisogno di lui.

E seppi finalmente dove trovarlo.

Mi diressi verso la stanza degli specchi, pronta a fare i conti, una volta per tutte, con i miei demoni.

RiflessiWhere stories live. Discover now