Capitolo 40

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Il peccato nella sua forma più pura, nella sua eccessiva durezza.

Ero corrotta mentalmente ed emotivamente.

Corrotta da un male di nome Ruslan.

Ruslan.

Era salvezza e perdizione, la mia condanna all'infelicità. Immobile, lo avevo osservato fare quello che sembrava riuscirgli meglio: ferirmi.

Poco a poco, mi stava annientando. Ed io ero rimasta a guardare, cercavo semplicemente di capire, di trovare la giusta spiegazione. Sperai ce ne fosse una.

Quella vasca, era stato il teatro osceno delle sue perversioni. In silenzio, e con il petto lacerato avevo assistito ad uno spettacolo indegno. Ruslan si era lasciato andare, non lo avevo mai visto così disinvolto. Si era privato della barriera che era solito mettere tra noi, del suo muro di ghiaccio. Sembrava così naturale, in quelle ore avevo intuito quale fosse la sua reale essenza.

Si era divertito con ciascuna di loro, aveva dato prova delle sue fantasie più devianti.

Dentro e fuori dall'acqua, aveva avuto rapporti sessuali con tutte loro. E non importava quale ragazza avesse davanti, se fosse bionda, mora, magra o formosa. Le trattò tutte allo stesso modo, godette del loro corpo e della loro sottomissione.

Le vidi gemere, implorare il suo nome, agitarsi e dimenarsi sotto di lui. E Ruslan le accontentava, le dava ciò di cui avevano bisogno, in quel momento. Faceva la stessa cosa con tutte noi. Le lacrime erano il modo più semplice per espellere quella tristezza soffocante. Piansi tanto, tirai fuori tutte le mie emozioni negative. In fondo, nessuno avrebbe potuto sentirmi.

Ero arrabbiata, delusa, intristita per le cose che stavo vedendo. Lui era diverso, quando faceva sesso. Diventava l'oggetto dei desideri, il premio più ambito. E tutte, avrebbero voluto averlo.

Si concedevano, come lui si concedeva a loro.

Mi ripugnava, era un pensiero atroce, un qualcosa di difficile da accettare. Non eravamo altro che pezzi di carne sostituibili.

Quel pensiero mi distrasse dalla conversazione di quel presente.

<< Ruslan... parlaci di lei >> insistette una delle ragazze more. Si stava rivestendo, d'altronde lo stavano facendo tutte. I suoi indumenti erano sparsi sul pavimento chiaro, afferrò un camice lilla e una gonna corta bianca. I capelli corti e l'aria sbarazzina, quella ragazza sembrava così curiosa e piena di vita.

<< E' vero, quand'é che potremmo conoscerla? >> si aggiunse un'altra giovane. I suoi capelli lunghi oltrepassavano l'acqua, fluttuando in quel mare trasparente. I gomiti appoggiati sul bordo della vasca, mostrava indifferente la sua nudità.

<< Non é ancora pronta >> sentenziò Ruslan, distaccato. Se ne stava in piedi, appoggiato ad una delle colonnine bianche. Sembrava così impensierito. E non seppi se fosse per quella conversazione.

Di chi stavano parlando? Chi era quella ragazza?

Guardava svogliatamente verso quelle ragazze, indossava unicamente i pantaloni bianchi di raso. La camicia e la giacca, gli erano state sottratte da due delle sue amanti. Indossavano fiere quei capi, come segno di rispetto e gratitudine. E lui sembrava approvare.

<< Quando? Quando sarà pronta? >> aveva chiesto una di loro. I capelli biondi, dritti e lunghi, le ricadevano sulla camicia appositamente sbottonata sul davanti. Gli occhi, grandi e dal colore del ghiaccio, si sposavano con l'aria combattuta e nostalgica che pareva avere. Sembrava attorniata da un alone invalicabile di tristezza.

Mi chiesi se Ruslan c'entrasse con il suo stato emotivo, o se il suo umore dipendesse da altro.

<< Dubito lo sarà mai >> disse a voce bassa, come se lo stesse mormorando tra sé e sé. Pareva essere da un'altra parte. Era circondato da infinite donne incantevoli, eppure sembrava i suoi pensieri fossero altrove.

Mi avvicinai a lui, desiderai studiarne lo sguardo, cogliere la sua bellezza letale.

Inciampai a causa di una macchia d'acqua. Scivolai rovinosamente, cadendo a terra. Contro ogni buon senso, lo vidi girarsi, verso la mia direzione.

Il mio cuore mancò un battito.

La sua espressione divenne vagamente confusa, come se si stesse chiedendo il perché di quel gesto.

E, in quell'istante, avrei voluto mi vedesse. Fargli capire ci fossi anch'io.

Nello sconforto, quasi non mi accorsi della mia fedele amica. Rividi la farfalla bianca, la mia premonitrice. Sbatteva vigorosa le sue ali, avvicinandosi alla cupola dorata sopra di noi. Si confuse nella luce, cercai di focalizzarmi su di lei. In quel chiarore, tracciò il suo sentiero luminoso.

Ferita, mi apprestai a seguirla. Vacillai a causa del dolore. Ma poco a poco, passo dopo passo, andai via da quel luogo peccaminoso.

Mi avvicinavo sempre di più alla verità.

RiflessiWhere stories live. Discover now