Capitolo 17

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La pioggia batteva incessante contro i vetri e i tuoni minacciavano di rompermi i timpani, per quanto erano impetuosi. Camminavo avanti e indietro nella mia stanza rosa, in balia dei pensieri e delle ipotesi.

Il mio universo si concentrava su Ruslan.

Se n'era andato senza dare troppe spiegazioni. Lo avevo cercato invano, girando a vuoto nei corridoi e aprendo infinite porte. Ma nulla, lui non c'era. Sembrava essere svanito nella tormenta.

Gli ingranaggi nella mia mente lavoravano senza sosta, cercando di capire e metabolizzare la conversazione frutto della mia infelicità. Non avevo il controllo di ciò che stava nascendo tra noi né sapevo dove ci avrebbe condotto.

L'orologio sulla parete segnava la mezzanotte eppure io non avevo sonno. Ero troppo confusa, troppo agitata per mettermi a letto. Mi aveva detto che ci saremmo visti l'indomani, nella stanza degli specchi. Ed io non volevo ridurre il nostro rapporto soltanto agli incontri che avremmo avuto in quella stanza. Volevo di più, molto di più.

Finalmente, dopo ore, trovai la pace. Precipitai in un sonno profondo, fatto di incubi e incertezze.

Mi svegliai in preda ai timori e alle preoccupazioni. Dalla finestra penetrava un azzurro tenue, oltre al freddo pungente. Decisi di alzarmi, per controllare se Ruslan fosse tornato. Vagai senza metà, in quella dimora così vuota senza di lui.

Io... ero vuota senza di lui.

La camicia che indossavo non mi riparava da quel gelo insistente, camminavo scalza su cumuli di neve e non mi importava. Dovevo trovarlo, niente me lo avrebbe impedito.

L'istinto mi condusse al di fuori, nel retro della dimora. Dinanzi a me, il verde coperto dalle goccioline della rugiada. Una vista magnifica, rischiarata dai flebili fasci di luce.

Di mattina quel posto era ancora più bello. Gli alberi, l'erba e le piante erano di un colore spento, in attesa dei raggi caldi del sole. Quel luogo era pervaso da una malinconia che feci mia.

<< Stavolta non ci sarà lui a salvarti >>. Una frase che mi riempì di orrore.

Iniziai a respirare freneticamente, mentre mi voltai. Lei era lì, nascosta dietro di me, e pronta a tormentarmi.

Olya.

Un tempo, eravamo state amiche. Ma erano trascorsi molti anni da allora.

Il raccolto dei suoi capelli castani si sposava con il viola del suo abito. Sinuosa, con i fianchi pronunciati e il corpo asciutto, si fece strada nella foschia, preceduta da un trio di ragazze che mi ispezionò con disprezzo. Sembravano essere tutte della mia stessa età. Due di loro avevano la pelle ambrata, i capelli neri e sciolti, gli occhi piccoli dalla forma allungata. L'ultima era visibilmente più piccola rispetto alle altre, dai capelli ricci e biondi e la pelle chiara, ne imitava i movimenti.

Fui accerchiata.

Imbellettate nei loro abiti di seta, lunghi e sgargianti, mi rivolsero sguardi atroci, venendo verso di me.

Nella penombra, mi ritrovai da sola e in pericolo.

Reagii istintivamente. Corsi via, lontano da quella casa, respirando a pieni polmoni. L'adrenalina smisurata e irrefrenabile di quel momento fu il mio carburante più potente. Correvo a più non posso, intenzionata a non farmi prendere, ignorando le ferite in via di guarigione. Ferite, che mi costò reprimere. Arrivai in prossimità del grande specchio d'acqua blu e, di getto, decisi di entrarvi. Il mio cuore batteva insistentemente, come se volesse uscirmi dal petto. Avvertivo troppo freddo, il mio corpo sembrava non farcela. Contornata da ciottoli e alghe, mi feci spazio tra le increspature del lago, cercando di non dare peso al gelo che mi ingombrava l'anima.

<< Non hai scampo, piccola imbranata. Ti conviene fermarti >> le loro voci si intervallarono, continuando a chiamarmi.

Annaspando, continuai a procedere verso la sponda opposta, sperando di venire dimenticata dalle mie inseguitrici. Nuotavo in prossimità dei flutti che mi si infrangevano sul viso. I capelli bagnati e gli occhi chiusi, mi infilai sotto la pozza ghiacciata, nuotando a perdifiato. Disturbai i pesci e numerosi fiori d'acqua, testimoni dello sforzo che stavo compiendo.

Quando arrancai sulla superficie stabile e rigogliosa, fui tirata giù. Giù, da un insieme di mani frenetiche e decise. Olya e le sue amiche mi ebbero in pugno.

Mi attirarono nell'acqua ed io vacillai. Il mio corpo cedette, ero diventata un giocattolo nelle loro mani. Mi spintonarono in avanti, avanzavo per poi venire sollecitata nuovamente, in preda alle loro risa isteriche. Le lacrime si mescolarono ai rivoli brillanti del lago. Piansi sommessamente, incapace di contrastare tanta brutalità.

<< Sei proprio stupida, mi chiedo cosa ci trovi lui in te >> echeggiò una del gruppo, aizzata da Olya.

Erano indistinguibili le une dalle altre, un agglomerato di insensibilità e cattiveria.

Fui attirata verso il fondale scuro e opprimente, Olya mi spinse brutalmente giù. Mi abbandonai a lei, debole e vulnerabile. Smisi di lottare e abbracciai la morte. Aprii gli occhi un'ultima volta, attorno a me l'oscurità più accecante.

RiflessiWhere stories live. Discover now