Capitolo 29

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Il cibo aveva un aspetto delizioso. Ero così affamata. Quel letto, grande e spazioso, era diventato la nostra tavola. I vassoi argentati erano disposti in modo ordinato, offrendoci una vista magnifica. Ero a cena con la mia Macchia Nera, l'incarnazione delle mie paure. Con una forchetta presi una strisciolina di uova, intingendola in una salsa alle erbe. Ruslan assaporò un pezzo di carne glassato, continuandomi a stuzzicare con le sue occhiate. Era snervante.

<< Sembri davvero innamorata >> iniziò con la sua tortura, le labbra incurvate in un sorriso comprensivo. Ignorai quella constatazione, mi concentrai sull'azione meccanica del masticare, sul sapore dell'uva che assaggiai in quel momento.

Rimasi impassibile dinanzi all'evidenza. << E' così >> ammisi, intrecciandomi le dita e mandando giù il chicco verde e succoso che avevo nella bocca. Non ebbi il coraggio di guardarlo, tanto era forte l'imbarazzo.

<< Non puoi amarmi realmente. Non dopo quello che hai visto >> tentò di dissuadermi, non riuscendoci. E invece non potevo essere più innamorata, devota verso un uomo che non lo meritava. Il mio cuore non voleva sentire ragioni, mi spingeva verso il precipizio.

<< Non riesco a gestirlo, non ci riesco. Io... >> mi incupii, era tutto così assurdo. Mi stavo giustificando proprio con lui. Soli, in quella stanza, ci ritrovammo a discutere dei motivi che mi avevano portato ad amarlo. Ma non c'era una spiegazione, era successo e basta. Ero profondamente e incondizionatamente innamorata di lui, la persona che mi ero ripromessa di odiare.

Mi spensi, ricordando la mia ostinazione prima che mi trovasse. Ingenuamente, pensavo di sfuggirgli, di riuscire a sopravvivere. Ma quando la sua ombra si era abbattuta sulla mia, avevo capito di essere rimasta in trappola. Per sempre. Forse, avrei preferito mi lasciasse in pasto a quelle belve feroci, che mi uccidesse subito. Mi sarei risparmiata il tormento che stavo vivendo, il disastro nell'averlo conosciuto. Desiderai non averlo mai incontrato, sebbene al tempo stesso fossi grata e felice per il nostro incontro. L'inizio della fine.

<< Non devi gestirlo >> mi cercò con lo sguardo, regalandomi un ampio sorriso. Su quel letto, assomigliava ad una creatura minacciosa. La luce proveniente dal candelabro in ottone, posato con cura sulla cassettiera, contribuiva a dare all'ambiente un'aria intima e romantica. Evidenziava il nero dei suoi capelli scompigliati, i suoi indumenti scuri, la sua espressione cordiale.

Quando finimmo di mangiare, mi diressi verso la finestra. Il paesaggio era divenuto ghiacciato, l'azzurro e il bianco coloravano ogni direzione. Sentii il calore del corpo di Ruslan. Mi voltai, ritrovandomelo dietro. Proprio come un'ombra.

<< Se devi giocare, va via. Non sono in vena dei tuoi scherzi >> lo supplicai di lasciarmi andare, pregai al cuore di dimenticarlo.

Prese una ciocca bionda e aggrovigliata, iniziò a rigirarsela tra le dita. << Dovresti avere più cura di te stessa, sembra che tu non voglia impararlo >> dissentì dinanzi alle mie condizioni fisiche. Il mio aspetto non era dei migliori, il disagio interiore rifletteva pienamente la mia figura tormentata. Ero pallida, ricoperta di lividi e con diverse ferite in tutto il corpo. I capelli annodati e la camicia sgualcita confermavano il mio disinteresse verso l'ordine.

<< Perché ti interessa così tanto? In fondo, siamo due estranei >> gli chiesi, osservando il suo riflesso, nel vetro opaco.

<< Te l'ho detto, sono anch'io legato a te. Molto legato a te >> specificò, lasciandomi sperare.

Pensai alle parole di Kristina, alle sue insinuazioni, alla sua verità. Ma lei era la stessa persona che mi aveva quasi condotto alle morte, con le sue scelleratezze. Lei era la moglie di Ruslan. Perché mai avrebbe dovuto essere onesta, con me? 

Mi chiesi dove fosse, mentre io ero con suo marito. Mi chiesi se mi stesse maledicendo, se avrebbe mai cambiato idea su di me. Capii il perché del suo astio.

Mi strinsi nelle spalle, scuotendo la testa.

<< Siamo in due, allora >> dissi, malinconica.

<< Questa sera, avrei voluto farti una sorpresa, portarti in un posto speciale. Ma date le mie condizioni, dovremmo rimandare >> mi ghermì le spalle, depositandomi poi un rapido bacio dietro l'orecchio. Mi fece il solletico, il suo respiro fu una carezza sulla pelle.

<< Quanti giorni ci restano? >> domandai, nonostante sapessi la risposta. Avevo bisogno di sentirglielo dire. Dovevo accettare la tirannia del tempo, il suo essere fugace, lo scorrere veloce senza curarsi degli altri. Quel mucchietto di sabbia aveva iniziato a sfuggirmi dalle mani, presto sarebbero rimasti nient'altro che pochi granelli.

Le ultime settimane erano state le più intense della mia vita.

<< Sei giorni, mancano sei giorni >>. Il sole aveva iniziato a calare, da lì a poco sarebbe sopraggiunta la sera. Era passato un altro giorno, un altro giorno non vissuto al pieno delle possibilità. Un altro giorno che mi separava da una probabile morte. Un giorno vuoto, senza senso, che sapeva di indifferenza e opportunità perdute. Mi girai verso di lui, rivestendomi di audacia.

<< Mostrami quel posto, fammelo vedere. Te ne prego >> gli chiesi amabilmente. Lui mi guardò preoccupato ma decise ugualmente di esaudire il mio desiderio. Mi fece cenno di uscire ed io mi avventurai al di fuori della stanza, alla scoperta del mondo, e di noi stessi.

RiflessiWhere stories live. Discover now