Capitolo 50

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Viaggiai fra soffici e candide nuvole, mi risvegliai nel bianco più assoluto.
L'infermeria era intrisa dell'odore del disinfettante, mi ritrovai distesa su di un lettino chiaro, in pelle.

In un primo momento, il mio risveglio era passato inosservato, perché la donna che era con me, nella stanza, era affaccendata in altro.

Rivolta verso un tavolo lungo e rettangolare, la osservai tramite il vetro lucido del mobiletto in legno, che aveva difronte. Campionava e miscelava alcuni prodotti contenuti in ampolline trasparenti, disposte sistematicamente lungo il suo piano d'appoggio.

La sala era composta interamente dal colore del bianco, ogni cosa risplendeva e brillava.

Alzai gli occhi verso il lampadario in cristallo, infastidita dalla troppa luce.

<< Eccoci qui, India >> disse l'estranea, con tono spazientito, riponendo accuratamente una di quelle boccette nel mobiletto chiaro, per poi avvicinarsi a me.

<< Dunque, come ti senti? >> mi chiese, indifferente. Sembrava non le importasse, non per davvero. Feci un lieve cenno con la testa, per poi sussurrare: << Bene >>.

Mi soffermai sulla sua pettinatura, i capelli neri e ricci, erano raccolti in uno chignon alto, tirato alla perfezione.
Aveva un trucco leggero, la matita scura le metteva in risalto gli occhi celesti, che non la smettevano di guardarmi. Sembrava vagamente irritata.

<< Sei caduta di nuovo, ma non è niente di grave >> mi informò brevemente, corrucciando la fronte e scrutandomi con attenzione.

<< Ti ho fatto una medicazione >> disse, impassibile.
<< Guarirà presto, a patto che tu non decida di buttarti ancora tra le rocce. È pericoloso, sai? >> e in quel momento, i miei pensieri furono altrove.

Avevo fissa nella mente l'immagine della serie di chiavi che le pendevano dal passante del suo camice immacolato.

Evitai di guardarle troppo, sperando bastasse per non destare sospetti.

<< Mi ascolti? >> detestai il tono della sua voce, la superiorità che aveva nel comunicare, il suo modo di fare sostenuto.

La detestai.

<< Ti ascolto >> risposi, risentita. Sbattei le palpebre freneticamente, scossa dalle informazioni che elaborava la mia mente. Elaborai un piano per andarmene da lì. Un piano che mi avrebbe portato via da Lys.


<< Mi dispiace >> vagheggiai con l'obiettivo di distrarla, volevo ottenere in un qualche modo la sua fiducia. 

<< Mi dispiace davvero tanto >> mormorai, destando in lei un senso di compassione.

Oltre la finestra, aveva iniziato a fare buio. Il cielo si dipingeva di blu e di bianco, la luna rifulgeva nella sua essenza, colorando di argento e oro il grande lago.

<< Adesso, vai in camera a riposare. Non hai più motivo di stare qui >> constatò, lasciandomi andare. 

In piedi, il mio sguardo si scagliò incerto sulle mie mani, iniziavo a divenire troppo nervosa. Quando alzai gli occhi, lei era nuovamente rivolta verso il suo tavolo da lavoro, ignorando completamente le mie intenzioni. 

Abbandonai quella stanza soffocante con il cuore in tumulto, chiedendomi se quella fosse la cosa giusta da fare. 

Mi dissi che lo era, o almeno... lo era per me.

Fui egoista, decidendo di seguire il mio istinto. Troppo tempo, ero rimasta ferma, immobile dinanzi alla mia vita. Quello, era il momento di agire.

Avevo seguito quella ragazza, servendomi del buio che regnava intorno a noi. Camminammo per un po', ci inoltrammo in un sentiero laterale e roccioso. Ero tenuta in vita dall'adrenalina, che mi aveva dato un insolito coraggio. Quella sera, c'era un caldo asfissiante. Eppure, mi accorsi di gelare, il freddo si era insinuato dentro di me. I miei piedi, faticarono e dolerono. La strada che percorremmo era rotta, frastagliata. Mi tagliai più volte, ma quel dolore non era nulla in confronto all'aver perso Ruslan. 

Sopportai in silenzio, continuando a camminare.

 La sagoma della mia inconsapevole guida era bianca, il mio faro nell'oscurità.  

La natura intorno era sterile, le piante avevano smesso di crescere, per dare spazio al ruvido ammasso di pietre che allarmava e intimidiva.

I pochi alberi circostanti, erano destinati alla morte. Ad un tratto, vidi la mia accompagnatrice fermarsi per poggiare la mano su di una parete in pietra, che andava man mano ramificandosi.

Eravamo difronte ad un labirinto di pietra.

Feci lo stesso, posizionai la mano nello stesso punto in cui l'ebbe posata lei. Poco a poco, percorsi quel labirinto ingannevole, senza staccarmi dalla parete fredda e rugosa. 

Passarono minuti, il tempo parve dilatarsi.

Ciò nonostante, alla fine, fui fuori di lì.

Arrivai al confine di Lys. Sgranai gli occhi, incredula e felice. Davanti a me, un immenso cancello a doppia anta, in ferro battuto.

Aspettai che fosse distratta, prima di agire. Nel momento nel quale aveva abbassato la guardia per prendere le sue chiavi, la colpii alle spalle. La colpii come avevano fatto con me, tante volte. Le sferrai un calcio sulle gambe e l'impatto fu tremendo. Vidi quella ragazza innocente accasciarsi al suolo, nel mentre afferrai quelle chiavi. 

Le chiavi che mi avrebbero donato la libertà.  

Non credetti ai miei occhi quando vidi il cancello aprirsi.

Libera, ero finalmente libera. 

Fuori da Lys.








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