Capitolo 23

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Mi svegliai per il troppo caldo, il petto e la fronte erano madidi di sudore. Giacevo su di una piuma soffice e bagnata. Spalancai il portafinestra che dava all'esterno, respirai a pieni polmoni l'aria fresca e rinfrancante. La bufera si era dissolta, per dare spazio ad un clima più confortevole. Le goccioline d'acqua cadevano lente dal tetto spiovente, imbrattavano le foglie degli alberi e si raccordavano nell'erba e nel lago.

I ricordi della sera precedente si fecero vividi, ripercorsi con cura quello che era successo. Ruslan mi aveva insegnato a ballare. Tramite passi semplici e lineari, avevo danzato fra le sue braccia. In silenzio e con il cuore in gola, avevo accettato l'ennesima sfida. Era da tempo che non ballavo. Mi ero dimenticata cosa significasse divertirsi, lasciarsi andare.

Avevamo provato l'intera sera, poco a poco le mie gambe si erano abbandonate a quella danza romantica. Divenni meno rigida e più confidente con il mio corpo, non ebbi più paura di sbagliare. Rammentai le sue braccia reggermi, quando mi sentii troppo stanca per continuare. Mi aveva portato in camera, assicurandosi di vedermi nel letto, al sicuro.

Dopodiché l'oscurità mi aveva presa con sé, trascinandomi in un mondo fatto di sogni e incertezze.

Lui era sparito, ne fui sicura. Mi chiesi dove fosse, il perché scompariva per poi riapparire nel momento del bisogno. Desideravo averlo più vicino, volevo diventasse parte integrante del mio mondo, viverlo nell'intimità. Ma Ruslan era solito mettere delle distanze, poneva delle barriere per non sbilanciarsi troppo. Aveva bisogno di ricordare chi eravamo, tenere a mente la disgrazia che stavamo vivendo. Eravamo due sfortunati amanti, impossibilitati a lasciarci andare. Ragione per la quale non era andato oltre. Oltre i baci e le parole gentili. Più volte, aveva detto che mi considerava bella, inoltre mi aveva vista privata dei miei indumenti eppure... ciò non era bastato a fargli perdere quel controllo che lo distingueva.

Il bagliore della luna rischiarava le increspature dell'acqua e la distesa verde e rigogliosa. Quella luce divenne il centro vitale della mia attenzione, mi soffermai ad ammirare quel faro nel cielo. Così assorta nei miei pensieri, che quasi non mi accorsi di ciò che stava accadendo. 

Forse, sarebbe stato meglio.

Perché nel chiarore più assoluto, vidi il mio peggior incubo. La materializzazione delle mie paure più profonde, che risalivano indisturbate dal luogo recondito in cui risiedevano.

Lei era lì, sbucata dal retro di una grossa quercia. I capelli neri le ricadevano sul petto, la sua veste rossa brillava nel cuore della notte. Si muoveva spedita, con una naturalezza invidiabile. Non ero a conoscenza nemmeno del suo nome, tuttavia ricordavo in maniera nitida quello che mi aveva fatto quel giorno, al lago, insieme alle sue amiche. Mi sentii mancare, quando vidi l'oggetto del suo interesse. Ruslan. Se ne stava nella penombra a guardarla, poco distante da lei. 

Mi sconvolse, divenni incapace di formulare un qualsiasi pensiero logico. 

Il respiro si fece corto, spezzato. Mi pesava perfino respirare, starmene in piedi ad osservare quello spettacolo orrendo.

Infine le udii. Risate. Le loro risate, entrambi erano così genuinamente complici. 

Non riuscivo nemmeno a muovermi, mi pietrificai dinanzi quella scena ributtante. Rimasi a fissarli, accertandomi di rimanere ben nascosta.

Delusione, la percepii in un istante. Mi sentii incredibilmente tradita, in un certo senso. Perché quella ragazza era il nemico, era la stessa che aveva cercato di uccidermi giorni prima. E lui lo sapeva, lo aveva visto. Ma non sembrava importargli, le vorticava inspiegabilmente intorno. Mi sentii umiliata e gelosa. Ero stata talmente stupida da pensare tenesse a me e ai miei sentimenti, da sperare che mi tenesse in considerazione. Invece, aveva accantonato quell'episodio drammatico per concentrarsi su di lei, ai miei occhi un essere ripugnante. Ma forse c'era di più, doveva esserci qualcosa che mi sfuggiva. Eppure non riuscivo a capirlo, mi veniva difficile arrivare alla soluzione. Non percepivo né avvertivo più niente, eccetto il dolore. Il petto era dilaniato dalle fitte che lo trafiggevano senza sosta. 

Ciò nonostante, decisi che mi sarei fatta male. Ancora più male. Desideravo vedere fin dove si sarebbero spinti, capire quanto fossi stata ingenua a fidarmi.

E in un attimo, mi diressi verso l'uscita della mia camera.

I miei piedi si sporcarono di erba e terra. Mi nascosi vicino al portico dell'abitazione, attenta a non farmi scoprire. La curiosità eclissò la paura, io dovevo sapere... volevo sapere. Seguii i loro movimenti, le loro moine, il loro comportamento ambiguo. Cercai di capire.

Quando entrambi si diressero verso la mia direzione, il mio cuore mancò un battito. Fui dominata dall'ansia e dall'adrenalina, tentai la fuga. Ruotai attorno alle pareti, mi aggrappai ad una spessa colonna in pietra. Scomparvero dal mio raggio visivo, potevo affidarmi soltanto a ciò che sentivo.

<< Ti amo >> avvertii il tono cantilenante di quella sconosciuta, la sua voce fastidiosa e gracchiante.

Proruppe il silenzio, un silenzio impressionante. Percepii unicamente il tintinnio dell'acqua, il soffio del vento, il frinire dei piccoli animaletti notturni. Forse, mi ero sbagliata. Poteva esserci un'altra spiegazione. Tentai di rincuorarmi per un istante, dopodiché la conferma ai miei dubbi. << Ti amo anch'io, Kristina >>.

Faceva così freddo, lì. Premetti la schiena contro lo spesso strato di mattoni, quasi sperai di venirne inghiottita. Mi graffiai la pelle, il corpo si scontrò con una superficie granulosa. Mi accasciai contro quella colonna, priva di forze. Trovai conforto nel gelo di quel pavimento bagnato. Ero così stanca di lottare, abbracciai le gambe e chinai la testa. La luce di cui avevo vissuto scomparve, per lasciare il posto ad un'oscurità familiare. Lacrime, non riuscii a trattenerle. Piansi fino a quando non trovai pace, nel sonno.

RiflessiWhere stories live. Discover now