Ottobre VI

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Grazie.




Tremava, piangeva, faticava a respirare, faticava a camminare, faticava a pensare, faticava a vivere. Si guardava intorno, il suo sguardo guizzava da una parte all'altra, il letto, l'armadio, la scrivania, quella scrivania piena zeppa di libri consumati, quella scrivania su cui aveva passato ore e ore chino a studiare, scrivere canzoni, leggere e poi la libreria, lo specchio.


Lo specchio.


Si avvicinò allo specchio, piano. Si guardava, guardava quel suo riflesso, il trucco colato per il pianto. Bill non piangeva spesso. Gli occhi rossi, i capelli scompigliati.

Voleva urlare, ma sentiva che se avesse urlato, non sarebbe uscito alcun suono. Volveva tirare un pugno allo specchio, ma in realtà voleva tirare un pugno a sé stesso. Era ovvio che Tom lo odiasse, era ovvio che non lo volesse nella sua vita, era ovvio che sarebbe stato meglio senza di lui, era ovvio. OVVIO.


Qualunque cosa Bill facesse, Tom soffriva. Qualunque cosa Bill facesse, non era abbastanza.Qualunque cosa Bill facesse, non era quella giusta.Qualunque cosa Bill facesse, creava un problema al fratello. Bill era un problema, Bill era il male e ciò che è male... Si elimina.


Strinse i pugni, si guardò ancora, aveva smesso di piangere, aveva smesso di tremare, aveva smesso di pensare.


Tirò un pugno allo specchio, perché non poteva tirare un pugno a sé stesso. Bill restò immobile, fissava il pavimento cosparso di pezzi di vetro.


"E io che ci speravo... e io che speravo me lo dicesse, che speravo mi venisse incontro e mi dicesse la verità. E io che speravo che Gustav si fosse inventato tutto o che Tom non avesse avuto il tempo di dirmelo. E io che cercavo solo di proteggermi dalla verità. E io che mi dicevo cazzate, per essere felice."


Ora Bill guardava attentamente i frammenti dello specchio, li esaminava, li selezionava. Sapeva bene cosa aveva intenzione di fare, lo sapeva benissimo, ma allo stesso tempo quasi non se ne capacitava. Bill si chinò e prese un residuo da terra, si sedette sul letto e lo scrutò nuovamente.

Tutti i suoi pensieri lo assalivano, tutte quelle scuse che non valevano nulla, tutti quegli "ho paura" tutte quelle stronzate che gli si infiltravano nella mente. "Ti voglio bene" tre parole, una grossa bugia. Ora Bill sentiva solo la voce martellante del fratello entrargli in testa, ripeteva quella brevissima frase sempre più veloce, sempre più forte. Il battito del cantante accelerava, accelerava, accelerava.

Bill strinse tra le mani quel frammento di vetro, con tutta la forza che aveva, lo strinse. Il sangue iniziò a colare, ma Bill non si fermò, no, non ci riusciva. Era come in trance, bloccato in mezzo ai ricordi del fratello, bloccato tra tutte le bugie che gli erano state dette. Era bloccato nel suo dolore, ma provare quel dolore, lo faceva quasi stare bene.

 Era bloccato nel suo dolore, ma provare quel dolore, lo faceva quasi stare bene

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Noi due contro il mondo (Twins Kaulitz)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora