Dicembre XXVI

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Tom non aveva dormito molto, recluso in quella stanzetta sconosciuta. Spaventato, dolorante, non capiva il suo dolore, avrebbe voluto esternarlo ma le lacrime faticavano a uscire.
Si chiudeva nelle spalle, terrorizzato, a ogni suono, ogni piccolo dettaglio che riusciva a sentire al di fuori della porta. A ogni passo, moriva di paura.
Il ragazzo infine si alzò, prese un profondo respiro e si appoggiò alla porta legnosa.
-Noah...non mi sento bene, posso uscire? Noah...papà...
Tom sentì dei rumori fuori dalla porta, successivamente una voce delicata. Uno scatto e degli occhi dolci.

-Tom...non so perchè Jorge ti tenga chiuso qui dentro, mi dispiace. Che ti senti?
Era Helena, la moglie di suo padre, una brava donna in fondo.
-Non lo so...Ho mal di t-testa e...non respiro b-bene.
Non era una totale bugia, il ragazzo sentiva i polmoni compressi, gli occhi perennemente lucidi, il respiro pesante e faticoso.
-Oddio Tom, vieni qui.
La donna gli passò un braccio attorno alle spalle con delicatezza e amore, quasi si stesse occupando di suo figlio.
Helena condusse Tom in cucina, dove Noah e sua sorella Hilde stavano facendo colazione, entrambi si girarono incuriositi. La donna prese un bicchiere d'acqua, fece sedere Tom, e glielo porse gentilmente.
Lui bevette timoroso, sentendosi subito meglio.
-Allora...
Iniziò Helena sedendosi a sua volta di fronte al ragazzo.
-Meglio?
-Sì...
-Vuoi dirmi che succede?
-Ehm...È che...S-sono un casino...

La donna lo scrutò.
-In che senso Tom?
-Intendo ch-
Il ragazzo venne bruscamente interrotto da una porta che si apriva, e dei pesanti passi annullare la distanza fra la camera da letto padronale e la sedia di Tom.
Quest'ultimo sentì terrore liquido invadergli la mente, il corpo, il sangue.
-Tom...
Gelida, fredda quella voce. Agghiacciante, metallica quella parola pronunciata con tanta impassibilità da non sembrare un nome, nome di suo figlio.
Il ragazzo si girò lentamente, terrorizzato...trovando un sorriso caloroso, due occhi marroni e solari, guance rosse.
-Ben svegliato!
Jorge posò le sue mani sulle spalle di Tom facendogli un massaggio ben poco desiderato.
-Grazie...
-Tutto bene? Non eri in stanza?
-Sì ma...non mi sentivo bene.
-Cavolo...mi dispiace. Ora stai meglio? Vuoi qualcosa?
-No grazie, sto bene ora.
-Bene! Mi fa piacere!

"Da quanto...quanto tempo non mi rivolgeva parole gentili, sguardi accoglienti, carezze paterne? Da quanto tempo? Quanto le ho desiderate quelle carezze, quei sussurri gentili...
Eppure è questo che un padre dovrebbe fare: seguire i proprio figli per il loro percorso, senza condizionare le loro scelte, ma dandogli gli strumenti per compiere le migliori. Un padre è come un coach, dovrebbe esserlo, dovrebbe insegnarti a ragionare, a correre, a vivere. Quanto mi sono mancate queste, seppur false, parole dolci...Quanto..."

Noah e Hilde andarono a scuola, Helena uscì per andare in ufficio e a casa rimasero solo loro due, padre e figlio

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Noah e Hilde andarono a scuola, Helena uscì per andare in ufficio e a casa rimasero solo loro due, padre e figlio. Carnefice e vittima. Terrorizzante e terrorizzato.
-Toooom! Vieni qui.
Il ragazzo esitò un attimo, poi raggiunse il padre in salone.
-Dimmi...
-Su siediti...Ecco bravo.
-Allora, spiegami, perfavore...Come fai a essere così inutile?
Di nuovo, gli occhi di Tom persero colorito, le sue mani pallide, le guance rosse, pronte ad accogliere calde lacrime. Lacrime affollate in quegli occhi tristi.
-Come...? I-io non...lo...
-Cosa c'è? Non devi aver paura di me, Tom. Non devi, ti ho mai fatto del male? Eh?
"Cosa?! Ma vai a farti fottere! Tu non mi hai mai fatto del male, tu?! Sei serio? Lo sai con chi stai parlando? Sono Tom, il ragazzo che hai picchiato e maltrattato per anni e anni. Tu..."
-MI HAI TRAUMATIZZATO PORCA PUTTANA!!
-Giorno dopo giorno, giorno dopo giorno, tu mi menavi e cazzo, come fai a dire tutte quelle stronzate?! Mi fai schifo!!

Jorge si alzò di scatto, imponendosi sul ragazzino arrabbiato e pian piano sempre più spaventato.
-STAI ZITTO!
Uno schiaffo, oh...un altro. Un calcio, cadde, si strinse nelle sue deboli spalle, circondò il fragile corpo con le sue esili braccia. Chiuse gli occhi, li tenne sbarrati per non vedere il dolore, i suoi occhi adirati. Una fitta al costato, forte, tanta la voglia di piangere. Lacrime.
"Perchè? Perchè? PERCHÈ?! Sono davvero così sbagliato...così inutile, fragile, impotente...?
Perchè ho così tanta paura?"

Tom riuscì a farsi coraggio, a schermare il viso con le mani e alzarsi prontamente. Fuggì. Afferrò il telefono e corse per il corridoio buio, per le scale scivolose, il vicolo, la strada. Si lasciò alle spalle quella casa del terrore, dove ogni parola, ogni passo equivaleva a uno schiaffo, un sussurro. La tensione regnava sovrana in quella famiglia. Mai, mai più ci sarebbe tornato. Mai, mai più.

Quando si calmò, il respiro tornò regolare e lo shock si attenuò permettendogli di ragionare logicamente...iniziò a sentire il dolore. Aveva il costato a pezzi, le gambe e le braccia coperte di lividi e graffi. La testa gli doveva, doveva averla sbattuta sul pavimento. Tom sentiva freddo, tanto freddo, gelido. Non era lucido, affatto. Ma lo era abbastanza per pensare più o meno cose sensate. Trasse il telefono fuori dalla tasca e notò le varie chiamate perse da Bill.
"Merda"
Gli aveva inviato anche svariati messaggi in cui spiegava com'era andata. Tom era felice, almeno per quello. Sapeva bene che Bill aveva sofferto la sua assenza, ma ora stava per tornare. Ora sarebbe andato tutto bene.
-Bravo Bill, sono fiero di te. Sto tornando...

Non scrisse altro. Solo poche parole. Non gli fece capire tutto il dolore che stava provando, la paura, lo sconforto.

Prese l'autobus. Percorse tutte quelle vie, strette, asfissianti. Tom sentiva la testa esplodere, il cuore accelerare e poi fermarsi di botto.
Infine arrivò a destinazione. Scese dalla corriera e camminò a passo svelto, per quanto possibile nelle sue condizioni, fino ad arrivare a destinazione. Citofonò, aprì il portone, salì le scale, lentamente, arrivò alla porta d'ingresso.
Si aprì e un mezzo sorriso lo accolse, due occhi luminosi, più di prima. Forse più carichi di speranza, forse più coraggiosi. Un viso più rosato, meno pallido. Dolce. Sorriso che si spense pian piano davanti alla tragica vista del gemello. Non doveva avere un bell'aspetto, affatto. Senza sonno, senza respiro, senza tregua. Massacrato di botte, di paura.
-Ciao
-Ciao...
-Come stai?
-Bene, e tu?
-Bene...
-Non è vero.
-No, infatti non è vero Bill, non sto bene.
Lo shock tornò tutto a un tratto, più forte di prima. E i suoi occhi liberi da ogni dolore si caricarono di altre lacrime. Tante e prepotenti. I primi singhiozzi abbandonarono la sua bocca, straziando il cuore di Bill, affogandolo.
-Tom...lo so, lo so fa male.
Bill lo abbracciò, forte, lo strinse. Non poteva immaginare cosa avesse passato, tutto il suo dolore. Ma ci provava e questo Tom lo sapeva bene, gli era grato per questo.
-Scusa...per essermene andato, scusa per tutto, scusa...
-Non ti devi scusare, non devi. Affatto. Capito? Va bene così.

Va bene così

Va bene così

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Noi due contro il mondo (Twins Kaulitz)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora