Gennaio XVII

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-Sono da Georg, vienimi a prendere. Ora.

Bastò un solo messaggio, poche parole, una disperata richiesta di aiuto celata dietro un innocente messaggio; bastarono quei pochi caratteri per far arrancare il cuore di Bill in una pozza di fanghiglia profonda e melmosa: la pozza del suo cuore, della sua mente, dei sensi di colpa. Quel "sono da Georg" gli colpì profondamente l'animo, spezzandolo quasi, sprofondandolo.
Perchè era andato da Georg? Perchè proprio da lui? Perchè dopo tutto quello che gli aveva fatto? Non era stato già abbastanza male così?

-Certo. Arrivo.

Bill, rientrato a casa da poche ore, eccolo di nuovo prendere la giacca di fretta ed uscire con il fiato corto, gli occhi lucidi di ansia e timore, le mani tremanti. Ripensò alla conversazione del pomeriggio precedente, ricordò il dolore negli occhi di Tom, la sua disperazione. Sentì un vuoto nel cuore. Perchè?
"Beh, la risposta è facile"
Si diceva.
Lo aveva abbandonato, lasciato da solo, a marcire. Era andato a farsi aiutare fregandosene delle condizioni del fratello, già fragile, uscito distrutto da quelle poche settimane. 
"Ho fatto una cazzata, una stronzata, l'ho abbandonato, gli avevo promesso che ci sarei sempre stato, che gli avrei sempre detto tutto. Ma si sa...io non mantengo mai le promesse, non ci riesco sono...spregevole!"
Sospirò, guardò le sue mani rigate e profonde, le avrebbe distrutte volentieri, le avrebbe massacrate...ma non sarebbe servito a nulla.

Arrivò davanti quel dannatissimo portone, Bill lo guardò come fosse "lui", il portone, il colpevole di ogni sofferenza del fratello, delle sue disgrazie. Lesse tutti i nomi sul citofono finchè non trovò ciò che cercava: Listing.
-Figlio di puttana...!
Sussurrò a denti stretti.
-Chi è?
-Sono Bill.
Il respiro dell'interlocutore, chiaramente Georg, si fermò all'improvviso, forse spaventato, forse arrabbiato.
-Che ci fai qui?
-Sono qui per Tom, non mi importa nient'altro.
Si sentì un sospiro rassegnato e poi uno scatto: aveva aperto il portone.
Il ragazzo salì i quattro piani di scale di corsa, due a due tutti gli scalini passavano sotto i suoi piedi e scomparivano dietro di lui. Due a due, Bill si lasciava alle spalle il marmo come avrebbe voluto abbandonare la sensazione di colpevolezza nel petto; ma non poteva.

Ciò che vide quando raggiunse il quarto piano gli bloccò il respiro, era troppo, davvero troppo: Tom era seduto sul divano, aveva la felpa lunga e le calze fino al ginocchio, i suoi pantaloni giacevano abbandonati sul bracciolo. Il ragazzino aveva gli occhi lucidi, le gambe gli tremavano, facevano su e giù. Alzò lo sguardo di scatto, gli occhi illuminati di pura rabbia nei confronti di Bill, di Georg, di sè stesso, del mondo. Forse quella luce si addolcì un po' alla vista del gemello così preoccupato, ma Tom era troppo, troppo ferito e distrutto da tutti per contenersi, per non urlare, per non correre. Eppure non fece nulla di tutto questo, non urlò, non corse, semplicemente stette in silenzio, con le lacrime di rabbia accennate sugli occhi, i pugni serrati, tanto, troppo dolore da sotterrare.

Noi due contro il mondo (Twins Kaulitz)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora