Ottobre XIII

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Era passata circa una settimana da quando Bill era stato dimesso dall'ospedale. Quei giorni non era andato a scuola, il suo unico passatempo era stato fare avanti e indietro da casa sua allo studio del suo psicologo, Stefan Muller, ogni giorno. L'avrebbe dovuto vedere ogni giorno per un mese intero, per poi ridurre la frequenza delle sedute. Una dannazione.


Bill non era solito parlare molto, Muller era solito fare molte domande, perciò non fu facile trovare un'intesa tra i due. Bill avrebbe preferito di gran lunga andare a scuola, anche farsi picchiare se necessario; tutto pur di non parlare di ciò che era successo. Tutto pur di non parlare di ciò che aveva fatto.

Sfortunatamente gli venne impedito di andare a scuola, doveva "rimettersi in forze", quindi Bill passò le sue mattinate solo, o confinato in quello studiolo faccia a faccia con uno sconosciuto. L'unico momento relativamente felice di quelle giornate monotone era quando Tom tornava a casa. Relativamente perché ogni volta che Bill vedeva il fratello triste o lo feriva in qualche modo, gli tornavano in mente tutti quei dolorosi ricordi che avrebbe solo voluto cancellare dalla sua mente. Tom però, per quanto potesse riuscirci, era attento. Attento a non farsi vedere triste, attento a farsi scivolare tutto addosso, attento a sorridere sempre. Attento al fratello.


Quei momenti felici erano banalissimi momenti di famiglia, in cui i due gemelli stavano insieme, passavano il tempo, guardavano un film o cucinavano qualcosa. Momenti in cui parlavano del più e del meno, di quello che Tom aveva fatto a scuola, dei piani per il futuro, della band. Erano banalissimi momenti di famiglia che per Bill non erano affatto banali. Erano banalissimi momenti di famiglia che Bill aveva rischiato di non vivere mai più.


Era domenica sera e Bill il giorno seguente sarebbe dovuto tornare a scuola. In casa c'erano solo lui e Tom, stavano cenando.
-Ti sta piacendo?
Tom annuì e sorrise al fratello, che lo guardò gioioso.
-L'hai cucinato tu, come può non piacermi?!
Bill risorrise, in effetti era un bravo cuoco. I gemelli restarono a lungo in silenzio. Poi Tom bofonchiò qualcosa, il cui significato si perse prima di uscire dalla sua bocca.

-Tom! Manda giù il boccone prima di parlare!
Lo sgridò Bill con un sorrisetto divertito dipinto sulle labbra e gli occhi che guizzavano da un mobile all'altro pur di non vedere la raccapricciante scena di un rigolo di sugo che usciva dalla sua bocca.
-Che...SCHIFO!
Tom ingoiò la pasta e poi scoppiò a ridere, sembrava veramente allegro. Si pulì il mento, poi abbassò lo sguardo posandolo sulle sue gambe, si guardò le mani e arrossì improvvisamente, senza alcun motivo. Bill si alzò, passando dalla parte opposta del tavolo e posandogli le mani sulle spalle. 

-Tom...? 
Lui si riscosse, girò la testa ritrovandosi il volto del fratello a venti centimetri dalla faccia, si spaventò in modo molto carino, imprecando subito dopo, rovinando quel momento o forse rendendolo ancora più speciale.
Tom si alzò all'improvviso, prese la mano di Bill e lo trascinò a forza in camera sua, chiuse la porta, accese lo stereo e vi infilò dentro il suo disco preferito dei Pink Floyd. Bill non stava capendo nulla, e il gemello non dava spiegazioni. 
Infine spense la luce e si sedette accanto a Bill, per terra, ai piedi del letto. Lo stereo iniziò a suonare, la musica si librò in aria in quel buio rinchiuso fra quelle quattro mura, quattro mura che delimitavano tutto il mondo. 
Bill chiuse gli occhi, appoggiò la schiena al letto e respirò profondamente. Non vedeva nulla, ma sentiva tutto. Sentì un peso sopra la spalla, sentì il respiro di Tom vicino al suo orecchio. Lo sentiva vicino.

-Grazie...
Disse infine, rompendo un silenzio fin troppo piacevole.
-E di che...?
-Per volermi sempre bene, nonostante tutto.
-Come non potrei? Sei il mio angelo, no?
-Sì...giusto.

Tom sorrise, non lo vedeva ma sapeva che stava sorridendo. Quel sorriso contornato dalle fossette e accompagnato dalla tipica luce negli occhi che lasciava trasparire pura felicità. Si strinsero più forte per sentire i rispettivi cuori. Bill sentiva un tale attaccamento, una tale fratellanza, una tale comprensione che riuscì a non pensare a nulla, per una volta. 
Anzi no, pensava, pensava eccome! Ma solo a cose belle, gioiose, giocose, divertenti. Ripensò a loro due, da piccoli, da ragazzini, ripensò a quando era bambini e gli importava solo della band che avevano appena formato e non sapevano nemmeno come chiamare. Ripensò a quella ridicola foto che gli avevano scattato, erano tutti seduti su una ringhiera, con le facce serissime, intenti a decidere il nome più figo che gli venisse in mente. Ancora si vergognava per come era venuto in quella stupida fotografia. Invece a Tom era sempre piaciuta, diceva che sembravano professionali. Che idiota...

-Ti voglio bene. Per la prima volta fu lui a dirlo, per la prima volta dopo molto tempo fu Bill a guardare negli occhi il fratello, non vedendoli, ma sapendoli sempre puntati su di lui, e a pronunciare quelle tre parole. Tre parole, un dettaglio minuscolo, insignificante. Eppure...

Anche un piccolo dettaglio può cambiare il mondo


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Noi due contro il mondo (Twins Kaulitz)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora