Novembre XIV

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Erano passati due giorni dal funerale, due giorni di silenzio assordante e tranquillità lancinante. Ormai erano rimasti loro tre, Bill, Tom e Gordon.


Gordon era il solo che tentava di superare il lutto, sentiva, inoltre, il peso di esser diventato l'unico tutore dei ragazzi. Era lui che si sarebbe dovuto occupare di tutto, gli avrebbe dovuto fare da guida e li avrebbe dovuti aiutare e... Come faceva ad aiutarli se non riusciva ad aiutare sé stesso? Come faceva ad aiutarli se era lui, il primo a non saper gestire situazioni simili? Come faceva ad aiutarli?

La casa era avvolta da una placidità opprimente, ognuno guardava il proprio piatto, senza dire una parola, senza volgersi nemmeno uno sguardo reciproco. Gordon osservava la scena, Bill chino sul tavolo, con gli occhi spenti, vuoti. Tom che mangiava lentamente, un boccone dietro l'altro, cercando di resistere all'impulso di girarsi verso il fratello, di scrutarlo, di comprendere il suo dolore, di donargli una parola di conforto, di sentirsi crogiolato da suo calore.

A rompere il silenzio fu la voce di Gordon.

-Ragazzi, so che ognuno di noi sta elaborando il dolore a modo suo, che questi sono giorni difficili, ma dovremmo cercare di aiutarci a vicenda, Simone avrebbe voluto così.

Bill guardava il piatto davanti a sé, non disse una parola.
"Certo, avrebbe voluto così... dici sempre le stesse cose".
Tom forzò un sorriso, per compiacere il patrigno, ma in quel momento gli importava solo uno sguardo nel fratello, vedere i suoi occhi. Anche se forse, gli avrebbe fatto ancora più male. Gordon continuò.

-Forse dovremmo provare a comunicare, non credete?

Bill si voltò verso Gordon, lentamente. Non disse nulla, non voleva dire nulla, sarebbe stato inutile, non avrebbe capito. Lo guardò negli occhi, dai quali traspariva non solo tristezza, ma anche esasperazione, rabbia, perché sapeva di non essere compreso.
"Comunicare, come se fosse facile"
Abbassò nuovamente il capo, un senso di vuoto lo pervase, il dolore aveva preso il sopravvento ancora una volta.

Finalmente Tom riuscì a scorgere il fratello, o meglio, la sua nuca. Riuscì ad osservarlo per un po' sperando sempre e solo che si girasse verso di lui, almeno per un secondo. Ovviamente, non lo fece. Ovviamente, restò solo. Continuò a mangiare, ma ogni boccone sembrava un peso in più da sopportare. Ogni boccone sembrava aumentare il distacco tra lui e Bill, il suo essere sempre indietro, quella sua sensazione di vuoto quando riusciva a vedere solo la schiena girata di chi avrebbe dovuto aiutarlo, di chi avrebbe potuto.

Bill si alzò da tavola, per dirigersi in camera sua, salì le scale, e Tom lo seguì, aveva gli occhi rossi, sembrava stesse per piangere, pareva stesse facendo di tutto per evitarlo. Quando il fratello si fermò, di fronte alla porta della stanza, Tom riuscì a sussurrare un flebile:-Bill...

Lui girò lentamente la testa, il busto era ancora rivolto alla porta. Non si volse completamente verso Tom, lo guardò negli occhi, finalmente gli rivolse un altro sguardo, finalmente. Però ancora non era uno sguardo felice, ma nemmeno...bisognoso. La sua mente ancora non riusciva a liberarsi di tutto, a sfogarsi, a... a rendersi conto che anche Tom soffriva, a realizzare che l'aiuto reciproco fosse la sola e unica soluzione.
Lo guardò negli occhi, non era lo sguardo che Tom si aspettava, non era quello dell'altra volta, non il solito, era semplicemente diverso. Vuoto, vuoto di tutte le cose belle. In quegli occhi si potevano leggere solo dolore e frustrazione.

-Bill, io...

Bill chiuse gli occhi per un istante, come cercasse di contenere la sofferenza che lo stava divorando. Un'altra pugnalata al sanguinante cuore di Tom, che tornò in cucina, da Gordon, e con lui uscì di casa. 

 

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Noi due contro il mondo (Twins Kaulitz)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora