Capitolo 12

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«Tutto ok?» chiede squadrandomi un paio di volte con un'espressione piena di compassione.

«Sì, non mi vedi? Sto benissimo, mai stata meglio.» rispondo con tono acido senza averlo previsto, cercando di trattenere per un attimo i singhiozzi e fingendo un sorriso, chiaramente ironico.

«Vuoi parlare? Non sono bravo in queste cose ma-» tenta di dire titubante ma lo blocco alzando la mano davanti a lui.

«No,» dico secca voltandomi a guardarlo cercando di soffocare gli insistenti singhiozzi, «non ho voglia di parlare con nessuno, specialmente con te.»

Lui si limita ad abbassare lo sguardo sembrando davvero dispiaciuto.

Mi sento in colpa, maledettamente in colpa. Nonostante io sappia perfettamente che è solo uno stronzo scontroso adesso è qua, obbligato o meno, e ha cercato di chiedermi di parlare, con una dolcezza che non gli ho mai visto, un sorriso debole e l'imbarazzo che ha preso il posto della sua innata sicurezza.

«Scusa.» riesco a dire a bassa voce quando mi calmo un po', sorpresa che lui sia rimasto lì in silenzio come per aspettare questo momento.

«Com'è iniziato tutto questo?» domanda, ora alzando i suoi occhi scuri e profondi su di me, sui miei capelli disfatti, sul mio trucco colato, sul mio volto devastato e sui miei fianchi larghi.

«Zayn non è facile parlarne.» ammetto sincera e mi metto seduta, mi asciugo le lacrime con le mani che si bagnano e si sporcano di mascara.

Lui annuisce comprensivo senza dire niente. Rimane in silenzio, solo muovendo la testa, mentre i suoi grandi occhi mi osservano attenti.

«Parlarne mi costringe ad accettare quello che ho fatto e che continuo a fare, a guardare in faccia la realtà e ad ammettere che ho un problema.» continuo io, le parole mi escono molto più facilmente di come avrei immaginato.

«E non sei pronta a farlo?» chiede continuando a fissarmi.

«Non lo so,» sospiro, «ma ogni volta che ci penso finisco come in questo momento.»

«A parlare con un coglione che non ne capisce niente e non sa cosa dire?» scherza lui strappandomi un debole sorriso.

«Mi dispiace che tu sia dovuto venire qua.» dico sincera, sciolgo i capelli che ricadono sulle mie spalle e inizio a togliere qualche fastidiosa forcina.

«Ho visto che correvi in lacrime, anche io ho un cuore.» alza le spalle, quasi come se dovesse giustificarsi, obbligandomi a chiedermi se sia davvero venuto di sua spontanea volontà, se non lo abbiano obbligato.

«Al liceo sono sempre stata sola,» mi sento dire e prendo un cuscino per metterlo dietro alla schiena, contro alla testiera del letto, «non avevo amici, nessuno voleva parlare o uscire con me. Inoltre mia madre lavorava tutto il pomeriggio e tornava tardi la sera e io, non avendo un padre, ero sempre sola anche a casa. Sono sempre stata abituata, fin da piccola, a vivere in una casa silenziosa e vuota, magari avrei solo voluto avere qualche amico da invitare, qualcuno con cui uscire ma nessuno parlava con me, chiunque mi evitava.»

«Come mai?» domanda interessato provando chiaramente pena per me.

«Per il mio peso, perché mi piace studiare invece di partecipare alle feste. A nessuno importava neanche del mio nome.» spiego io, una lacrima scorre velocemente sul mio viso.

Lui si limita ad abbassare lo sguardo e a scuotere la testa con gli occhi un po' più stretti del solito, senza riuscire a dire niente.

«Mi prendevano in giro, facevano scommesse su di me, mi parlavano solo per deridermi.» continuo io, dover dire e ricordare queste cose mi crea una fitta dolorosa al petto.

«Che teste di cazzo.» commenta lui a bassa voce per non interrompermi.

«E la bulimia mi faceva sentire meglio, sentivo che potevo essere accettata.»

«E funzionava?» si siede meglio sul letto, poi sfila la giacca e la appoggia accanto a lui.

«Forse.» ammetto senza problemi, «A Parigi non ero piena di amici, non sono mai stata quel tipo di ragazza che partecipa alle feste, va in discoteca o viene chiamata per nome per i corridoi di scuola, ero invisibile.»

«Invisibile?» ripete un po' stranito.

«Invisibile.» annuisco convinta, «Nessuno mi parlava, nessuno mi guardava, per tutti era come se non esistessi ed era bello, perché finalmente nessuno mi prendeva in giro, nessuno mi giudicava, nessuno scommetteva su di me. Ero libera di girare per i corridoi senza le occhiatacce e gli sguardi schifati, senza i commenti delle persone. Avevo due amiche e mi bastavano.»

«Loro due sapevano del tuo problema?» domanda appena prima di far sparire le labbra all'interno della sua bocca. Ora mi guarda intensamente come, forse, non ha mai fatto.

«No, nessuno sapeva della bulimia, nessuno sapeva del mio passato o delle prese in giro.»

«Hai ricominciato una nuova vita praticamente.» constata annuendo, come se riflettesse ad alta voce.

«Sì, avevo addirittura iniziato da poco ad uscire con un ragazzo e per un po' sono stata davvero felice.»

«Poi?» domanda, probabilmente stupito quanto me di come mi stia aprendo con lui raccontandogli della mia vita.

«Poi mia madre mi ha costretta a venire qua, a trasferirmi per vivere con tuo padre e io ho dovuto lasciare tutto e tutti e ricominciare di nuovo.» spiego dopo aver fatto un lungo sospiro.

«Deve essere stato difficile.» risponde alzando i suoi occhioni scuri e posandoli su di me, la sua espressione sembra quasi chiedermi scusa, come se fosse pentito per avermi trattata male fin'ora.

«Non immagini quanto.» ammetto io.

«E ora come stai?» sentire quelle parole mi fa uno strano effetto, è da tanto che qualcuno non me lo chiede, forse nessuno me lo ha mai chiesto con lo stesso interesse con cui me lo sta chiedendo lui, aspettando una risposta sincera.

«A vedermi così non si direbbe,» faccio spallucce con un sorriso lieve, «ma bene.»

«Ora non vivi più in una casa silenziosa e hai me ad infastidirti tutto il giorno, no?» ride, facendo scoppiare in una fragorosa risata anche me mentre annuisco.

«A volte il passato ritorna a tormentarmi e mi sento ancora come allora, ma ho finalmente delle amiche e delle persone a cui interesso un po'.» ammetto mordicchiandomi delicatamente il labbro.

«Io devo andare.» dice svelto, sembrando quasi voler scappare da me. Il suo sguardo cambia e diventa pensieroso, quasi colpevole e non capisco per quale motivo, poi si sbriga ad alzarsi con un debole sorriso, infilandosi la giacca e chiudendone un bottone.

«C-certo.» balbetto cercando di sembrare comprensiva.

Esce e sta per chiudere la porta alle sue spalle quando si ferma e si volta. Lo sto osservando anche io. Ci guardiamo e, per un attimo, sembriamo quasi capirci.

«So che probabilmente non conta nulla, ma per me sei bellissima e sono sicuro che la sei sempre stata.» dice lentamente e a bassa voce prima di richiudere la porta e andarsene.

PillowtalkWhere stories live. Discover now