Capitolo 56

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«So che è stata mia madre a mandarti via per allontanarti da me.» spiego io lentamente, sposto una ciocca di capelli che ricade davanti ai miei occhi e poi mi siedo composta sul divano per l'ennesima volta.

«No, ho deciso io di andarmene.» risponde con lo sguardo basso e con le labbra piegate in un tenerissimo broncetto.

«Cosa stai dicendo? Lei ha ammesso di averti allontanato da me.» insisto io, cercando ancora i suoi occhi sfuggenti.

«Ha cercato di allontanarmi da te,» annuisce lui, «ma non mi ha mai obbligato a partire. Questa è stata una mia scelta.»

«Tu hai deciso di scappare da me, nessuno ti ha cacciato.» rifletto ad alta voce mordendomi insistentemente l'interno della guancia.

«Sì.» ammette sfregando la sua barba con la mano tatuata.

Mi sento in una bolla sospesa in aria che fluttua così velocemente da non permettermi di guardarmi attorno, di riflettere, di capire la situazione e la sensazione che sto provando in questo momento. Se dovessi a tutti i costi descrivere ciò che provo userei una parola, una sola parola in grado di racchiudere tutto: destabilizzazione.

È come quando, da piccoli, costruiamo un castello vicino al mare, convinti che con lo sfondo delle onde sarà il castello più bello di tutta la spiaggia, quello che tutti i bambini invidieranno. Poi, però, quelle stesse onde che lo avrebbero dovuto rendere meraviglioso, lo distruggono, infrangendo con esso anche tutte le aspettative.

Ecco cos'è la destabilizzazione: il primo castello distrutto dalle onde, la prima bolla di sapone scoppiata, la prima caduta in bici, il primo amore non ricambiato.

«Perché?» adesso sto quasi urlando, perché un minuto prima mi fa credere di essere interessato a me e quello dopo sembra indifferente?

«Non lo capisci Chanel? Me ne sono andato perché non volevo farti soffrire.» interrompe il silenzio, è calmo ma la sua espressione è seria e dura.

«Indovina un po'? Sto soffrendo Zayn.» ribatto abbassando lo sguardo.

«Lo so.» sussurra, anche lui guarda il pavimento e si siede poco distante da me.

«E continuerò a soffrire. Ogni volta che passerò davanti alla tua stanza vuota, ogni volta che mi siederò a tavola e tu non ci sarai, ogni volta che salirò in ascensore senza di te, tutte le volte che riguarderò questo braccialetto penserò a te e mi mancherai. E soffrirò.» ammetto a bassa voce.

«E credi che io non penserò a te?» alza il suo braccio per mostrarmi lo stesso braccialetto legato al suo polso, «Stamattina mi sono svegliato e mi mancava potermi assicurare che tu mangiassi a colazione.»

«E io avevo bisogno di qualcuno che si assicurasse che mangiassi a colazione, che stendesse un po' di marmellata su una fetta biscottata.» mi scappa una risatina nervosa e una lacrima riga velocemente la mia guancia ma la soffoco contro al dorso della mia mano, «E che mi prendesse in giro chiamandomi Numero Cinque, che mi provocasse e mi sfidasse, che mi facesse innervosire. Avevo bisogno di qualcuno che venisse in camera mia per smettere di farmi piangere e aiutarmi.»

«Cosa ti aspetti che faccia? Cosa devo fare per non farti soffrire?» domanda quasi come se avesse davvero bisogno del mio consiglio.

«Niente. Non devi fare niente.» mi arrendo con gli occhi lucidi ma mi costringo a non piangere.

Lui si avvicina a me, avvolge le mie spalle con il suo braccio e mi tira contro di lui, finché la mia testa non è appoggiata alla sua spalla. Lo sento sospirare, forse respirare affannosamente, ma quando alzo lo sguardo mi si ripresenta la stessa espressione indecifrabile che ha sempre. Prova a dire qualcosa ma io lo interrompo.

«Non dire niente, va bene così.» dico con tranquillità, quasi dolcezza, «Io non posso obbligarti a provare quello che provo io per te, non posso essere egoista e pretendere che tu faccia quello che voglio io.»

Chiudo gli occhi per un attimo, quasi per ricompormi e per accettare tutto quello che è successo stasera. Adesso ho bisogno di ritornare al mio hotel, farmi una doccia calda, ripetermi che non è la fine del mondo e dormire. Lo guardo ancora, non mi aspetto niente ma voglio imprimere il suo sguardo, il suo viso, i suoi occhioni e le sue labbra nella mia mente.

«Questo complicherà tutto, ma quando salirai su quell'aereo e tornerai a casa, voglio che tu sappia che Parigi è stato il periodo più bello della mia vita.»

La sua espressione è completamente diversa mentre mi fissa intensamente negli occhi e mi parla con estrema dolcezza nella voce.

PillowtalkWhere stories live. Discover now