Capitolo 27

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Atterrare a Parigi è stato stranissimo.

Ritornare in questa città ora mi ricorda di quante cose siano cambiate rispetto a qualche mese fa. Sono partita con mia madre, con una minuscola valigia con dentro converse, jeans, magliette scolorite e cardigan lunghi e con mille dubbi, insicurezze, paure e desideri. Durante il decollo pensavo alla mia voglia di riscattarmi, a cosa avrei trovato una volta atterrata, a come sarebbe stata la mia vita da quel momento in poi. Ero seduta vicino a mia madre e ad un uomo che odorava di bacon, che russava e che parlava nel sonno, in un aereo economico e sporco.

Ora, con meno desideri e dubbi e con molte più preoccupazioni, mi ritrovo a ritornare in quella città con un jet privato di lusso mentre bevo vino, con vestiti firmati ed una Prada al braccio, con al mio fianco uno dei ragazzi più belli che io abbia mai visto e che, sicuramente, non odora di bacon.

E poi come dimenticare che, al mio ritorno, mi aspetta Cameron con la sua dolcezza, il suo bellissimo sorriso e le sue labbra soffici.

Il viaggio è stato piuttosto lungo e silenzioso e, nonostante la televisione, mi sono annoiata parecchio. Ho anche letto un libro ma ad ogni pagina il pensiero di mia madre mi interrompeva e mi rattristava, costringendomi a fermarmi per almeno dieci minuti. Non riesco a nascondere la mia paura, l'angoscia che ho quando penso a lei sdraiata su un letto d'ospedale, che potrebbe svegliarsi da un momento all'altro oppure non svegliarsi mai più.

«Ci sistemiamo e ci rinfreschiamo e poi andiamo in ospedale, ok?» propone Zayn che è visibilmente stanco.

Annuisco appena mentre, quasi incantata, guardo fuori dal finestrino del taxi per ammirare la meravigliosa città che ho lasciato e che sembra non essere cambiata da quando me ne sono andata.

Tutto sembra essere esattamente allo stesso posto di quando ho percorso queste strade per raggiungere l'aeroporto, addirittura alcune persone sembrano le stesse e nelle stesse posizioni. C'è il giornalaio Pierre, con il suo solito sorriso, che invita i passanti ad acquistare il quotidiano e poi c'è la postina con la divisa dai colori sgargianti che consegna qualcosa ad una vecchia signora, davanti alla sua casa. C'è il fruttivendolo che flirta con Marie, regalandole una mela. Sospiro non appena passiamo davanti alla mia vecchia scuola e Zayn mi osserva.

«Ti manca?» chiede come se fosse capace di leggermi nel pensiero, indicando fuori dal finestrino una Parigi un po' nuvolosa ma sicuramente bellissima.

«N-non lo so,» balbetto io indecisa, «forse un po'.»

Arriviamo davanti ad un hotel e scendiamo, dandoci appuntamento nella hall tra mezz'ora.

Una stanza molto semplice, di quelle che traspirano il tipico romanticismo di Parigi, mi dà il benvenuto mentre appoggio il cappotto e la borsa sul letto. Mi fiondo sotto la doccia per ripulirmi da uno stancante viaggio e, in qualche modo, il potente e caldo getto d'acqua riesce a tranquillizzarmi un po'.

Mi asciugo velocemente i capelli e li raccolgo in uno chignon improvvisato. Pesco le prime cose che trovo nella valigia e, anche se troppo estivo, finisco per indossare un vestito bianco. Puntuale mi ritrovo, come deciso, alla reception dell'hotel e aspetto Zayn che non tarda ad arrivare. Saliamo su un taxi che è fermo vicino al marciapiede.

«Vous allez ou?» chiede gentilmente l'autista.

«À l'hopital Saint-Louis s'il vous plait.» rispondo io.

Lui annuisce con un sorriso osservandomi dallo specchietto e si immette in una strada non particolarmente trafficata, di come non se ne vedono a New York.

«Cos'ha detto?» domanda a bassa voce Zayn.

«Ha chiesto dove siamo diretti e gli ho risposto che dobbiamo andare all'ospedale.» sorrido leggermente, mi piace vederlo così impacciato.

«Ah.» annuisce lui comprensivo mentre un piccolo sorriso gli spunta sulle magnifiche labbra mentre osserva il paesaggio.

«Zayn,» richiamo la sua attenzione e si volta per guardarmi, «grazie di tutto.»

«Non ho fatto niente.» alza le spalle lui.

«Niente? È tutto merito tuo se tra poco vedrò mia madre.» replico sincera spostando un ciuffo di capelli ribelle che mi cade davanti agli occhi.

«Meritavi di vederla.» risponde con un debole sorriso e sembra ancora più a disagio di me nell'affrontare questa conversazione.

«Grazie.» ripeto io e ora riesco a guardarlo intensamente in quegli occhi scuri e profondi, ma i miei si riempiono immediatamente di ansia e preoccupazione al pensiero di vedere mia madre, tra pochi minuti, stesa su un lettino d'ospedale ed incosciente.

«Ehi.» lui appoggia la sua mano alla mia sorprendendomi e lasciandomi immobile ed in silenzio, «Tua madre starà bene ok? È una donna forte.»

«E se non si risvegliasse?» domando abbassando lo sguardo sulla sua mano che sta ancora accarezzando la mia.

«Si risveglierà.» cerca di rassicurarmi.

«Come fai a saperlo? Tu non puoi capire.» dico scuotendo la testa.

«Posso invece.» mi osserva lui ritraendo la sua mano dalla mia per poi abbassare lo sguardo, «Mia madre è stata in coma per molto tempo.»

«P-poi?» oso chiedere dopo un attimo di tentennamento.

«Poi non ce l'ha fatta.» sussurra lui con lo sguardo basso, provocando ancora più dolore in me e una lacrima mi riga la guancia raggiungendo la mia bocca, «Ma non è quello che succederà a Lilian, tua madre starà bene, ok?» si affretta ad aggiungere, sentendosi sicuramente in colpa.

«Cos'è successo alla tua?» mi asciugo velocemente la guancia, ancora incredula e contenta che mi stia raccontando qualcosa di così personale.

«Un brutto incidente.» si limita a dire a bassa voce e capisco che non ha voglia di parlarne.

«Mi dispiace.» concludo sincera e mi giro per guardare fuori dal finestrino.

Lui, dopo pochi minuti di silenzio, ritorna sull'argomento: «È morta per colpa mia.» dice con voce spezzata, è la prima volta che vedo Zayn così.

«Perché dici questo?» provo a domandare dopo essermi girata di scatto per osservarlo, ma mi interrompe prima che finisca la frase.

«Perché è così!» ora sta quasi urlando, il suo volto prende una piega di sofferenza e di rabbia mentre si volta come se lo avessi fatto innervosire, «è meglio se non ne parliamo.»

Mi giro anche io, abbassando lo sguardo e riflettendo tra me e me. Non posso insistere ed obbligarlo a parlarmi di una cosa così delicata e che, ovviamente, lo turba. Vorrei aiutarlo come lui ha fatto con me, eppure non appena vedo il suo sguardo freddo che osserva fuori dal finestrino e le labbra serrate com'è solito tenerle quando è nervoso, capisco immediatamente che non è il momento.

Il taxi si ferma lasciando a noi la possibilità di scendere. Osservo il grande edificio di un triste color grigio, alternato ad alcune parti di colore bianco, poi guardo Zayn un po' riluttante e credo che lui percepisca subito la mia paura.

«Andrà tutto bene.» sussurra mentre io provo ad annuire.

«Non so se sono pronta...» riesco ad ammettere con lo sguardo basso, sentendomi anche maledettamente in colpa nei confronti di mia madre.

«Devi decidere tu quando entrare ma, per quanto possa valere, se e quando deciderai di varcare quella porta-» me la indica e il mio sguardo segue il suo dito fino all'ingresso, «io ti starò accanto e non sarai sola, ok?»

«Grazie.» riesco solo a dire mentre, d'impulso, gli getto le braccia al collo e lo stringo a me.

Lui ricambia l'abbraccio e non posso fare a meno di notare quanto sia cambiato il nostro rapporto in due giorni. Dall'odiarci a morte, siamo passati all'accettarci e ora, addirittura, ad aiutarci.

«Andiamo?» chiedo poi, allontanandomi un po' da lui e dalle sue braccia muscolose e protettive.

«Certo.» risponde annuendo.

Inizia a camminare di fianco a me ed io, con una sensazione di ansia e paura che cresce sempre di più nel mio stomaco e un groppo alla gola, non riesco a fare a meno di prendergli la mano. Mi pento subito di averlo fatto non appena lui mi osserva stupito ma, quando provo a ritrarla, lui me la stringe con un po' di forza ed immediatamente mi sento pronta a vedere la mia mamma.

PillowtalkWhere stories live. Discover now