CAPITOLO 1- "La Cosa che so fare con il pensiero"

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Con l'arrivo di agosto, gli ultimi semidei che avevano intenzione di trascorrere le vacanze estive al campo stavano per arrivare.

Preferisco di gran lunga l'estate all'inverno, forse perché i colori accesi ti permettono di respirare un'aria di pace e serenità.

I famosi Sette, i mezzosangue che avevano salvato la Terra da... beh, dalla Terra stessa, in un certo senso, nonché Gea in carne e terriccio, erano appena rientrati al Campo.

Tutti, tranne Leo Valdez, il semidio che aveva dato la vita per salvare il Campo.

Per qualche ragione, però, nessuno lo aveva dato per morto: erano tutti convinti che fosse riuscito a prendersi gioco della profezia e che stesse solo aspettando l'occasione ideale per contattarci.

Ne aveva passate troppe per abbandonarci.

Gli altri semidei romani, Hazel Levesque e Frank Zang, sotto la guida del pretore della dodicesima legione Reyna Avila Ramirez-Arellano (lo so, è peggio di uno scioglilingua) erano rimpatriati al Campo Giove mentre l'ex pretore, Jason Grace, si era trasferito qui a Long Island assieme alla sua ragazza, Piper.

Per la prima volta dopo mesi, sembrava che ogni problema si fosse finalmente risolto.

In sette anni ne erano capitate di tutti i colori e, detto da una figlia di Iride, è piuttosto allarmante.

Avevo partecipato alla guerra contro Crono a fianco dei figli di Hermes poiché, in quanto figlia di una divinità minore, non possedevo ancora una casa costruita in onore di mia madre.

Successivamente, grazie all'aiuto di Percy Jackson, anche i figli degli dei meno importanti avevano guadagnato la possibilità di stabilirsi al campo in una propria cabina.

Più o meno, la scena me la immagino in questa maniera:

Zeus: " Perseus Jackson, figlio del dio del mare, vuoi tu diventare un Dio?"
Percy: "AHAHAH. No, lol. Ma voglio delle case per gli dei minori."
Zeus:...
Percy: "E che impariate a riconoscere i vostri figli.
Zeus:...
Percy: "Aggiungici anche una grande scorta di biscotti blu."

Doveva essere andata proprio così.

Era un martedì mattina e mi stavo esercitando nel tiro con l'arco.

Non ero nata con un talento naturale come i figli di Apollo, ma me la cavavo discretamente.
Dopo tutto, non era mai morto nessuno durante i miei allenamenti.
Per il momento.

Inspirai aria fresca nei polmoni e assottigliai gli occhi per concentrarmi.

Il bersaglio distava diciotto metri dalla punta del mio piede.

Ero talmente assorta in quello che stavo facendo da non sentire altri rumori al di furi del debole suono dell'arco in tensione.

Feci per scoccare la freccia quando mi comparve davanti Sherman Yang, consigliere e capo della cabina numero 5 e figlio di Ares. Fortunatamente mi accorsi della sua presenza e riuscii a deviare in tempo la traiettoria della freccia, mirando più a destra e colpendo un albero vicino.

Osservai l'asta di legno emergere dal tronco e mi accorsi di avere le palpitazioni.

-Sherman!- Esplosi, mettendomi una mano sopra il cuore. -Stavo per colpirti!-
-Ho notato... - Rispose lui, allontanandosi lentamente. -Senti, abbiamo bisogno del tuo aiuto.-
Sospirai infastidita.

Per un breve istante pensai che in fondo, se avessi centrato il semidio, nessuno avrebbe risentito della sua perdita.

-Butch è di nuovo rimasto chiuso in bagno? -

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