When It's Heavy, When It's Not.

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"A fa' riabilitazione ti porto io oggi"

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"A fa' riabilitazione ti porto io oggi"

"Manu, sono quaranta minuti di viaggio fino al centro, non ti preoccupare, prendo il pullman".

"T'ho detto che ti porto io".

Il tono di Manuel non lascia spazio a repliche, eppure l'espressione che gli anima il viso è dolce, ché da quando Simone ha riaperto gli occhi, in quel letto d'ospedale, Manuel non ha fatto altro che trattarlo con delicatezza.

Il viaggio verso il centro di riabilitazione, che in auto richiede quaranta minuti, dura il doppio, ché Manuel è terrorizzato dall'idea che Simone possa farsi nuovamente male, ché non ce la fa a reggersi forte, e la moto è scomoda per lui.

È un bel posto, il centro, c'è un bel giardino con tante panchine, un bar, e tante persone ch' aspettano.

Il medico di Simone, il fisioterapista, li accoglie con un bel sorriso incoraggiante, propone a Manuel di restare in sala - in palestra- ché la seduta del giovedì è la seduta più lunga, e Simone non sarà fuori prima di due ore.

Manipolazione, mobilitazione passiva, mobilitazione attiva.

Il giovedì sera, Simone è sempre distrutto, a volte triste, e Manuel un po' si sente d'invadere uno spazio fin troppo privato, ma Simone gli sorride, gli chiede di reggere il tutore quando il medico lo sfila, "questo deve andar via Simone, quante volte devo dirtelo".

Le guance di Simone si fanno di fuoco, e per quanto il tono del medico sia stato cordiale e quasi paterno, Manuel ha voglia d'alzarsi e spintonarlo, ché Simone ne ha già passate tante, e l'ultima cosa che gli serve è un medico che lo rimprovera.

Questa stessa sensazione si ripete più volte, nel corso della seduta, ché Simone si stende sul lettino e strizza gli occhi, che l'osso gli fa male e il fisioterapista continua a ruotargli il polso, a piegargli il gomito, intervallando brevi momenti di pausa a piccole sessioni d'attività.

"Adesso alzati piano, ti metti seduto e ruoti un po' il polso, poi ci spostiamo sulla macchina".

E Simone è già tanto stanco, si vede dalle occhiaie, dal viso tirato, eppure gli occhi sono fieri mentre ruota il polso con rinnovata fluidità e un giro più ampio. Cerca lo sguardo di Manuel, che non l'ha lasciato un secondo, e gli sorride d'un sorriso così luminoso che scalda il cuore del più grande.

La macchina, così come l'ha chiamata il dottore, non è altro che una sedia con delle leve meccaniche. A Manuel incute quasi timore, eppure Simone vi siede con sicurezza, lascia che il medico imposti velocità e tempo, e comincia a seguire i movimenti della leva nonostante la stanchezza.

"Mezz'ora così, Simone. L'altra mezz'ora invece spingi tu."

Simone annuisce e basta, il medico lascia la stanza.

La sedia - la macchina- è posta in modo tale d'affacciare s'una grande vetrata che da sul giardino, forse un gentile tentativo per rendere più piacevole lo scorrere del tempo.

Manuel s'avvicina alla finestra, però guarda Simone. Si siede in terra con la schiena contro il vetro e incrocia gli occhi del più piccolo, che gli rivolge un sorriso quasi dispiaciuto, "ti stai annoiando eh?"

Manuel scuote la testa, i ricci ondeggiano, gli sorride di rimando, "assolutamente no."

E Simone ridacchia e Manuel si sente fiero di sé stesso. Allunga le gambe sul pavimento e con la punta della scarpa colpisce la caviglia di Simone, "funziona sempre così?"

"Di base si, ogni tanto usiamo dei pesi, quando il braccio dà più problemi invece ci pensa Raffaele"

"Raffaele?"

"Il dottore"

"E ti fa male?"

"Un po', ma il polso e il gomito vanno ripresi adesso, altrimenti non riuscirei più a muoverli, quindi sopporto e basta".

"Per questo sei sempre stanco".

Simone scrolla la spalla libera, inclina un po' la testa e un riccioletto gli cade sulla fronte. Manuel sente le dita formicolare dalla voglia che ha di scostarlo via dal suo viso.

"Ti va bene se ti ci porto sempre io?" chiede invece, e Simone gli lancia uno sguardo sorpreso, "perché?"

"Perché ti stanchi e voglio che stai tranquillo, e lo so che tu'padre te riempie sempre di domande. Restiamo un po' nel parco prima di torna' a casa, così ti riposi, che dici?"

"Non ti scoccia?"

Manuel gli colpisce di nuovo la caviglia, "ma quante stronzate dici".

A fine seduta, Manuel stringe la mano al medico con gratitudine fin troppo evidente, insiste per comprare un the a Simone, che lo vede pallido, e siedono sotto un'albero ad osservare il tempo che scorre.

Simone gli allunga la lattina, Manuel la scaccia via con una smorfia disgustata, "lo sai che mi fa schifo il the alla pesca, e poi l'ho preso per te".

Simone fa per rispondere, però sbadiglia, e Manuel s'intenerisce solo a guardarlo.

"Vieni qua", dice, e si sposta finché Simone non gli siede tra le gambe, la testa contro il suo petto. Manuel affonda entrambe le mani tra i suoi ricci, gli accarezza la cute, Simone sbadiglia di nuovo.

"Dormi un po', ti sveglio io tra un'oretta".

"T'ho fatto già perdere metà pomeriggio".

"So'stato co'te, non è tempo perso".

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