capitolo 25

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-comme staje?- mi domandò Carmine entrando nella stanza infermieristica. -oltre agli occhi gonfi e un male cane al naso bene suppongo- dissi tirandomi seduta. Si sedette sul mio lettino. -chelli so' pazze- mi disse riferendosi alle due che mi hanno picchiato.

Ormai è passata una settimana dalla prima volta che lo hanno fatto.

Si perché lo hanno rifatto, mi hanno picchiata di nuovo.

-gli tenghe accir 'o frate Cà, 'o tenesse fatte pure ij- dissi. -chiste nun 'e giustifica- disse lui. -vabbuo mo' ti lascio riposare- disse dandomi un bacio sulla guancia.

Attualmente io ho passato la settimana nella stanza infermieristica nell'ala A perché nè la direttrice nè Liz si fidavano la lasciarmi in cella con quelle pazze.

-Piccrella vieni, andiamo in mensa- disse Liz entrando. -no grazie, non ho fame- dissi io. Lei mi guardò. -sicura?- -sicurissima- dissi secca prima che lei se ne andò. Una volta che se ne furono andate decisi di andare a farmi una doccia fredda.

Accesi il getto ghiacciato e mi ci infilai sopra. Gemetti dal dolore che mi procurava sugli occhi ma lo ignorai parzialmente. Avevo tutto il corpo pieno di brividi e pelle d'oca.

Ci restai sotto per circa 5 minuti poi mi avvolsi nell'accappatoio e ritornai nella stanza.

Mentre cercavo qualcosa nel borsone da vestirmi qualcuno bussò.

-chi è?- dissi. Mi strinsi l'accappatoio alla vita. -chi vuo' ca sia piccrè- -entra Edoà- dissi ritornando a frugare nella borsa. Lui entrò rimanendo bloccato per un attimo a fissarmi. -ah.. scusa... se vuoi- -no tranquillo- dissi tirando fuori un paio di ciclisti, un top nero e l'intimo. -aspetta due secondi- mi chiusi nel bagno e mi cambiai alla svelta.

-eccomi- lanciai l'accappatoio per terra e mi spazzolai i capelli bagnati sedendomi sul letto difronte al ragazzo moro.

-perché non c'eri giù a mensa?- mi chiese. -perché sto qua- dissi io. -e perché stai qua e non giù con tutti?- mi domandò avvicinandosi di poco. -non avevo fame- risposi prendendo un asciugamano tamponando i capelli. Mi indicò con la testa un vassoio sul tavolino. Al suo interno ci stava un po' di pasta al sugo, un panino e un bicchiere d'acqua. -Edoà- dissi. -prendi e mangia- disse mettendomi davanti il vassoio. -c re ta' aggia imboccà ppe fatte mangiare?- domandò. Ridacchiai alla sua buffa affermazione.

Presi la forchetta e cominciai a infilzare le pennette.

Lui restava immobile, mi fissava insistentemente. -te seje incantat'?- chiesi divertita. Lui delicatamente posò il suo dito sulla rosa tracciando il contorno di essa. -te piac assaij proprij- scherzai notando come era attratto da quel tatuaggio. -si, me piac assaij- rispose staccando il dito.

-e chelli?- mi chiese indicando il tatuaggio sul fianco delle farfalle che si intravedeva sotto al top. Lo alzai leggermente per scoprirle tutte e tre. 

-chiste è pe Anya, aggio fatte appena presa- dissi ricoprendolo. -e po' pure l' onda ncopp' a canniello giusto?- disse lui. - allore t'arricuorde eh- dissi prendendolo un' altro po' in giro. -eccerto, pure il significato di questo- disse prendendo il mio braccio e toccando il grande tatuaggio.

-sentiamo allora- dissi - 'o sole ch'è mammata,   saturno è Riccardo ca' rappresenta tutte e' pianeti, l a luna è Francesco e 'a stella seje tu,  ca gli illumini 'e vite- disse toccando ogni volta il disegno diverso. -mh...non me l'aspettavo Conte- dissi ridacchiando.

-ora vado,  Liz me tene rate 'o permesso e portarti solo 'o cibo- si alzò uscendo dalla stanzina.

Nel pomeriggio uscì nella piazza insieme ai ragazzi e alle ragazze.

-we zucchero filato- disse Totò dandomi un abbraccio veloce. -ue scem- dissi ricambiando.

Mi sedetti come sempre sullo schienale della panca e tra le mie gambe si posizionò Edoardo.

- ma vuje sempe inziem state?- domandò Carmine indicandoci. -fatt o' cazz toje Piecr- disse Edoardo. Gli tirai uno schiaffo scherzoso dietro la testa. -pecché?- mi chiese voltandosi verso di me. - pecche' nun e parlargli accussi'- dissi. Lui sbuffò prima di estrarre una sigaretta dal suo pacchetto. Prima che potesse mettersela in bocca gliela rubai.

-Cì appicciamela- gli dissi allungando il viso verso di lui. Lui tirò fuori un accendino e mettendo la mano davanti me l'accese. -grazij- dissi aspirando il fumo. -prego gajarella- disse lui rimettendoselo in tasca.

Per il resto del pomeriggio scherzai con i ragazzi e facemmo alcuni laboratori.

-a dormire Gaia- disse Liz entrando nella stanza bianca. 

Ero ferma seduta sul lettino a fissare la luna. 

-notte Liz- -notte Piccrè- disse spegnendo la luce. Rimasi lì, a guardare la luna oltre le sbarre, illuminava il mio viso quel poco da farlo sembrare pallido.

Questa parte del carcere era ancor più vicina al molo.

Finalmente la sentì.

La sua melodiosa voce. Sembrava davvero una sirena.

Mi attaccai alle sbarre ascoltando la dolce voce di mia madre che cantava.

Sotto questa bellissima melodia mi addormentai, stringendo al petto il mio orso di peluche come se fosse mio fratello...

AMORE PROIBITO {Edoardo Conte}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora