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🎵 Odio - Michele Bravi

Il volo EY84628 per Parigi, con ritardo 50 minuti, si sta preparando all'atterraggio. Siete
pregati di allacciare le cinture e rimanere ai vostri posti fino allo spegnimento della spia.
Ci scusiamo per il disagio e vi ringraziamo per aver volato con noi.

La frase si interruppe per ripartire pochi secondi dopo in francese.
Parigi.
La città dell'amore, della moda e della mia seconda possibilità.
Avevo lavorato a lungo e tanto per ricostruirmi una nuova vita e uno stupido volo stava
rischiando di rovinare tutto.
Cercai di non farmi prendere dall'ansia, feci un respiro profondo e continuai ad ascoltare la
musica negli auricolari, ma non riuscii a non domandarmi come fosse possibile che l'unica
volta che prendevo l'aereo, questo fosse in ritardo.
Certo, era un susseguirsi di brutte conseguenze, il treno soppresso, l'aver perso l'aereo
essendo costretta a prendere quello dopo, rigorosamente in ritardo, ma il dubbio che
qualcosa o qualcuno ce l'avesse con me mi aveva attraversato il cervello, non lo nego.
Quando finalmente, ci fecero scendere dal velivolo, mi lanciai di corsa verso il ritiro bagagli
dove le valigie non erano ancora arrivate.
Presa dallo sconforto, sbuffai e tolsi il cellulare dalla modalità aereo. Sette chiamate da
Amelia e un messaggio; andai su WhatsApp e lo lessi per poi rispondere immediatamente.
Marti: Ce la farai, li stenderai tutti. Nel caso sono qui ad aspettarti.
Tu: Probabilmente tornerò prima del previsto visto che l'aereo ha avuto quasi un'ora di
ritardo.
Marti: Smettila di buttarti giù così.
Incredibile come Martino, lo stesso ragazzo che avevo disprezzato a lungo, fosse l'unico
amico che mi fosse rimasto vicino dopo il mio periodo difficile.
Avevamo iniziato a sentirci a seguito della festa e, pian piano, avevo compreso perché il mio
migliore amico lo avesse amato tanto.
Col tempo avevamo iniziato a scriverci sempre più spesso e, quando era accaduto
l'impensabile, lui mi era rimasto vicino. Certo, Amelia ed Elena avevano continuato a
scrivermi, ma non era come averle li.
Una gentile hostess, dopo venti minuti di attesa, mi si avvicinò informandomi che le mie
valige erano andate perse, che la compagnia avrebbe fatto di tutto per ritrovarmele e che si
scusavano per l'imprevisto.
Decisi non fosse il caso di farmi prendere del panico, cosa non facile essendo l'ansia la mia
perenne compagna, e compresi che fosse il caso di richiamare Lia.
8.40
Sono solo tre ore e cinquanta minuti di ritardo.
Iniziai ad incamminarmi verso l'uscita con la borsa di cortesia offertami dalla compagnia che
conteneva il minimo indispensabile per sopravvivere qualche giorno appena recuperata in una mano ed il telefono nell'altra.
Dopo cinque squilli, Amelia finalmente rispose.
- Ma si puoi sapere dove sei? - Domandò parecchio adirata.
- Sono andata dal parrucchiere.
Nessuna risposta. La mia ironia non le era sicuramente mancata.
- Secondo te? L'aereo ha fatto ritardo e ho perso quello prima perché il treno non è passato.
- La solita sfiga, eh?
- Non dirmelo, guarda...
- Va bene. Il colloquio non è saltato solo per il fatto che Nick è il mio capo. - Sospirò. - Dove
sei?
- Mi sto dirigendo verso l'uscita. Terminal due.
- Ti aspetto fuori.
Una fresca brezza, che preannunciava l'arrivo della primavera, entrava dal finestrino.
- Grazie per il tuo aiuto.
Amelia mi sorrise. - Per me è semplice comprare Nicolò.
- Allora dimmi che il colloquio ce l'ho con lui.
Sarebbe stato molto più semplice condurre con un appuntamento lavorativo con un amico,
specialmente dopo i vari problemi di autostima dell'ultimo periodo.
- No. L'azienda è sua e di un suo amico. - Girò lo sguardo nuovamente verso di me
tentando di non farsi notare. - È molto simpatico, un po' playboy, ma ci sta e sono convinta
che ti assumerà ad occhi chiusi.
Annuii.
Questa cosa mi innervosiva non poco, specialmente la descrizione dell'amico, ma cercai di tranquillizzarmi e decisi di cambiare argomento.
Avevo intrapreso quella follia per non rimanere ingabbiata nella prigione che mi ero creata io
stessa e non avevo intenzione di crearmi ansie inutili.
- La valigia?
- Da qualche parte in giro per il mondo.
- Oh, ma tutte tu davvero. - Ridacchiò. - Certe cose non cambiano mai.
Erano successe così tante cose da quando avevamo intrapreso strade diverse che la mia
testa era così piena di domande.
Certo, ci sentivamo su whatsapp, ma le nostre conversazioni, per una questione o per
l'altra, erano sempre state superficiali. Era stato come parlare del niente per anni.
Il fatto che le mie amiche fossero presenti, anzi che fossero state proprio loro ad aiutami col
mio nuovo nel mio nuovo inizio, mi confortava.
- Tu che lavoro fai? - Chiesi incuriosita.
Era tre anni che non vedevo i miei amici e mi erano mancati parecchio.
Certo, post su Instagram e auguri per le feste erano d'obbligo eppure io non sapevo più
nulla di loro e loro di me.
Ognuno di noi aveva preso una scelta e, benché fosse ovvio, non avevo mai accettato del
tutto il fatto che non avessero scelto me quel giorno.
- Lavoro nell'azienda di Nicolò e... - L'attenzione di Lia si concentrò oltre il parabrezza per
qualche istante. - dell'amico, come segretaria.
Perché aveva esitato a pronunciare l'altro nome? Che stesse architettando qualcosa? Mi
augurai di no, non eravamo più alle superiori eppure avevo come l'impressione che lei non
fosse cambiata molto.
Io invece non ero più neanche lontanamente me stessa.
- E nel pomeriggio sto recitando come protagonista per un film.
- Ma è fantastico! Non vedo l'ora di vederlo.
Ci misi enfasi, ma sembravo così vacua come se niente potesse toccarmi davvero.
Pensai che almeno il suo sogno si era realizzato, che le persone a cui tenevo di più erano
riuscite nei loro obbiettivi. Per un breve istante, sentii un calore nel petto, ma
quest'emozione, come tutte quelle che provavo, sparì nel giro di un istante facendomi
tornare nel mio stato di apatia.
Guardai attorno a me; Parigi mi era mancata moltissimo, erano passati molti anni dal mio
ultimo viaggio lì e benché per me fosse ancora una ferita aperta, sapevo che sarebbe stata
un buon punto di partenza per ricominciare a vivere.
- Non rispondi?
La guardai perplessa, convinta mi avesse domandato qualcosa che non avevo udito.
- Ti sono arrivati dei messaggi.
Diedi un'occhiata veloce. Un "buona fortuna" troneggiava sullo schermo del cellulare.
- Il tuo nuovo ragazzo? - Chiese con malizia ed un pizzico di delusione.
- Martino.
Continuò ad osservarmi perplessa; vedevo che voleva chiedermi se fosse lo stesso ragazzo
che pensava lei, ma non avevo voglia di discuterne e fermai l'interrogatorio sul nascere
prendendo parola.
- Riccardo ed Elena?
- Ricky è il primo fotografico dell'azienda ed Ele è diventata una specie di Miranda Presley
per la EmEn.
Riflettei sulle quelle parole. Non era possibile che stessi per fare il colloquio li.
- EmEn? Quella EmEn?
La EmEn era una delle più importanti case di moda degli ultimi anni. Nata come piccola
casa emergente anticonformista, con regole tutte loro che non seguivano la frenesia e le
stranezze delle settimane della moda, era spopolata nel giro di un anno, tanto da detenere il record di Mason entrata a far parte della camera della moda francese nel minor tempo dalla fondazione.
Dire che fosse un ottimo trampolino di lancio era dire poco.
- L'azienda di Nicolò. - Disse con tutta la tranquillità del mondo, come se stesse ripentendo
un ingrediente della lista della spesa.
Rimasi paralizzata dallo stupore; non avevo parole per esprimermi.
La EmEn mi aveva sempre affascinata. Amavo lo stile, le figure, la scelta dei tessuti e dei
colori, tanto da rivederci moltissimo i miei stessi lavori. Avevo trascorso giorni e giorni di
ricerche sulle varie tendenze lanciate e sulla gestione economica. Sapevo praticamente
tutto, tranne il fatto che uno dei proprietari fosse uno mio amico. Era sempre stata un'informazione che su internet non avevo mai trovato.
Mentre la mia mente vagava, Lia frenò di colpo.
- Lo so, è uno shock, ma il suo socio preferisce cosi. Dice che è una tecnica di marketing e
c'è da ammettere che ha ragione. - Mosse forsennatamente la mano davanti a me per
disincantarmi. - Siamo arrivati.
Scese dall'auto e raggiunse l'alto palazzo a vetrate davanti a noi. Entrò senza esitare e raggiunse l'ascensore senza neanche assicurarsi che la stessi seguendo, mentre io cercavo
di fare di tutto per non spalancare la bocca dallo stupore.
- Il ragazzo che stai per incontrare è il primo stilista dell'azienda, nonché grande azionista
dell'azienda, perciò lavoreresti a stretto contatto con lui. Come già detto, è un po' un don
Giovanni, e visti i precedenti so che potrebbe non andarti a genio, ma è pur sempre lavoro
e il vostro rapporto deve essere solo professionale. E poi è molto simpatico.
Le sorrisi consapevole per quanto avesse ragione. Ero andata a Parigi anche per tirarmi un
po' fuori, per avere la mia indipendenza. Certo, anche a casa lavoravo, ma tutti chiudevano
gli occhi suoi miei comportamenti, a volte un po' estremi, perché consapevoli della situazione.
Se volevo essere trattata al pari degli altri, dovevo iniziare a tirarmi un po' fuori dalla mia
bolla e cominciare a comportarmi come tutti.
La EmEn era una di quelle strane aziende innovative che non presentava gli stilisti a fine
sfilata e, solitamente, non rilasciava neanche interviste. Questa era la loro politica quindi,
anche volendo, non avrei potuto cercare su internet con chi stavo per incontrarmi.
L'ascensore percorse velocemente, troppo per i miei gusti, i cinquanta piani che separavano
il piano terra dall'attico e io dovetti prendere non pochi respiri profondi per non convincermi
a scappare.
Lia, con me al suo seguito, percorse un lungo corridoio che ci condusse a due porte
praticamente identiche, una di fianco all'altra.
In perfetto stile Horror.
Stile che tra l'altro si abbinava perfettamente al mio stato d'animo, agitato e ombroso.
La mia amica, senza dubitare, bussò alla porta sulla destra, mostrandomi un sorrido dolce,
ma autoritario. Se fossi scappata, sapevo già che sarebbe venuta a prendermi per i capelli.
- Avanti. - Proferì una voce all'interno.
Un ragazzo sulla ventina di anni, cosa che dedussi dalla corporatura, era seduto di spalle su
una grande sedia da ufficio nera, impedendomi così di vederlo in viso.
- Grazie Lia, puoi andare.
Aspettò che la sua segretaria se ne andasse, poi riprese a parlare, senza però mai voltarsi.
- Lei si accomodi pure. La raggiungo subito.
Mi vennero i brividi.
Nella mia testa, per qualche istante, fu tutto nero, come se tutte le comunicazioni fossero
state mese fuori uso.
Conoscevo quella voce.
Anzi, mi pareva di conoscerlo fin troppo bene quel suono, ma ero sicura fosse solo un
brutto scherzo del mio cervello.
Dopotutto, non avevo mai superato il trauma e la psicologa aveva affermato che poteva
capitarmi di avere della allucinazioni.
Cercai di combattere quella sensazione orribile e mi convinsi che fosse solo uno scherzo
fatto dalla mia mente, causato dall'ansia del momento.
La figura davanti a me, sempre seduta sulla sedia, si avvicinò alla cornetta posta all'estremo
opposto della scrivania e, sempre senza mai voltarsi, iniziò a parlare.
- La signorina è arrivata, Nicolò.
Trovai particolarmente strano il fatto che avesse parlato in italiano e non in francese, ma
ancora una volta, decisi di non farmi influenzare dalla mia mente.
Erano tutte stupide coincidenze, nulle più.
- Ottimo. - Rispose una voce che riconobbi immediatamente. - La signorina si chiama
Bianchi Chiara.
Notai che il ragazzo davanti a me ebbe un sussulto e mise immediatamente giù la cornetta.
Non poteva essere vero, era tutto uno scherzo del cervello.
L'uomo si ricompose un minimo, poi si voltò.
Un piano da immaturi creato ad hoc dai miei amici, ecco cos'era quella sensazione.
Nonostante questa potesse essere la più grande opportunità lavorativa della mia vita per il
quale avevo sacrificato anni, decisi immediatamente di rifiutarla.
Cercai di non scappare. Cercai di non mostrare quanto fossi a pezzi perché, purtroppo, non
avevo immaginato la voce.
Il mio ex coinquilino era, dopo tre anni, davanti a me.
Michael fece finta di non conoscermi ed io decisi di fare lo stesso, ma mi concessi il privilegio di osservalo.
Più alto e più muscoloso, anche il suo viso si era leggermente allungato e i capelli ricadevano lunghi e leggermente spettinati.
- Allora signorina Bianchi, quanti anni ha? - Iniziò con fare professionale. Avevo veramente
voglia di alzarmi e andarmene.
- Scherzi vero? Dimmi che stai scherzando. - Risposi secca.
Il suo sguardo non si mosse di una piega quindi decisi di stare al gioco. - Ventidue, quasi
ventitré.
Come se tu non lo sapessi. Decisi non fosse il caso di provocarlo, non mi sarei certamente
abbassata al suo livello.
- Che studi ha frequentato?
Faceva di tutto per distogliere lo sguardo da me. Mi temeva, era chiaro che i sensi di colpa
lo stessero logorando, era chiaro che vedermi, per lui, era come ricevere una pugnalata in
pieno petto e, per un attimo, mi sentii potente.
- La Mood High School, con corso pomeridiano in specializzazione Moda. - Cercai di
sorridere per mostrare buon viso a cattivo gioco, ma stavo per prendere la spillatrice sul
tavolo per tirargliela in testa. - Un corso pomeridiano che ho intrapreso su suo consiglio.
Avrei dovuto stare zitta? Fare finta di non conoscerlo? Forse.
Ma avevo finito di sottostare ai suoi giochetti.
- Ottima scuola. Ne ho sentito parlare molto bene.
Avevo voglia di urlargli che mi faceva schifo, che era un immaturo, ma decisi di trattenermi;
dovevo dimostragli che io ne ero uscita integra.
Lui continuò imperterrito con la sua scenetta.
- Università?
- A causa di problemi famigliari ed economici non ho frequentato alcun corso, mi spiace. -
Mi sistemai la giacca e proseguii ancora. - Ma credo lei lo sappia, visto che è tutta colpa
sua.
Sorrise, ma non si scompose e la voglia di picchiarlo come anni addietro per concludere ciò
che la preside mi aveva impedito di fare era forte.
- Questo le fa perdere un po' di punti. - Si passò la mano tra i capelli.
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
- Ha qui qualche suo bozzetto?
Li avevo, ma decisi di non mostrarglieli.
- No, mi spiace. Non vorrei mai che mi rubasse anche questi.
Michael si alzò in piedi e si mise a camminare per la stanza. Era chiaro che lui non sapesse
del mio arrivo e il fatto che fosse stato incastrato lo agitava.
Ancor più lo metteva in ansia il fatto che io non stavo al suo gioco, consapevole che non
avrei mai accettato di passare altro tempo in sua presenza.
Si riaccomodò e dopo essersi schiarito la voce provò a parlare, ma quella gli rimase ferma in
bocca e passarono diversi minuti prima che si decidesse proseguire.
- Beh, decisamente quello che stavamo cercando. - Si mise a pensare mentre cercava di
nascondere il fatto che lo stessi studiando.
- Ha una relazione al momento?
Rimasi spiazzata tanto che per poco non lo menai sul serio, ma lui intervenne immediatamente in mio soccorso.
- Non voglio intromettermi nella sua vita privata, ma è in età fertile e devo capire se ha
intenzione di rimanere incinta a breve.
Non potevo davvero crederci, non poteva averlo detto davvero.
Escludendo il fatto che si trattasse di me, lui non poteva davvero fare questa domanda a
tutte le possibili candidate. Si era fumato il cervello? Nicolò lo sapeva?
- Lo sa che è al quanto discriminatorio e sessista?
Non mi importava se apparivo maleducata o se rischiavo di non avere il lavoro, che in ogni
caso non avrei voluto né tanto meno accettato, ma trovavo incredibile che ancora esistesse
questa disparità tra uomo e donna.
Purtroppo però sapevo anche che quella non era la vera ragione di quella domanda e ciò lo
rendeva ancor più patetico ai miei occhi.
Lui ignorò il mio tono e, dopo essere stato in po' in silenzio, riprese parola.
- Il lavoro è suo. Si presenti in segreteria dalla signorina Brambelli, che mi pare anche essere
una sua amica, lunedì mattina alle 8.00 per il primo turno di lavoro.
Raccolse tutti i miei fogli, me li consegnò e, in tono scontroso, si congedò. - Arrivederci.
- Mi auguro proprio di no. - Mi alzai e mi avviai verso la porta, per poi ripensarci, dopotutto
sapevo che non mi sarebbe mai ricapitata l'occasione di dirgli in faccio quello che pensavo.
- Sai cosa sei? Patetico. Uno stupido verme patetico. Ti comporti come se tu fossi la
vittima, ma non saremmo in questa situazione se non ti fossi comportato da codardo. - Stavo alzando la voce, ma non mi importava. - Poi vengo qui e mi tratti come se non mi
conoscessi? Come se non sapessi la mia eta o chi sono le mie amiche? Ma si può sapere
che problemi hai? Anzi no, non mi interessa. Non mi interessa nulla che ti riguardi.
Uscii senza aspettare una sua risposta o guardare la sua espressione.
Ad aspettarmi alla fine del corridoio c'era Lia.
- Allora? - Domandò incuriosita.
- Il lavoro è mio. - Replicai priva di reali emozioni.
- È fantastico. - Continuò lei euforica. In quel momento mi convinsi maggiormente di quanto
tutto questo fosse un piano architettato. - Adesso andiamo a casa, ti sistemi nell'appartamento, e...
- Ferma. - Il suo viso cambiò immediatamente espressione, forse perché notò la rabbia nei
miei occhi. - Non ho detto che ho accettato.
Lia iniziò a ricoprirmi di domande, alla quale però, non diedi risposta.
- Voi non avevate alcun diritto di farmi questo. - Fu in quel momento che persi il controllo. - Non voglio la vostra stupida carità. Avevo bisogno di ricominciare e credevo che questa fosse l'occasione giusta, ma ovviamente mi sbagliavo.
- Ma lui te lo deve.
- Lui non mi deve niente, okay? - Ero iraconda e temevo che potessi dire qualcosa di davvero crudele. - E non mi interessa se anche voi vi sentite in colpa e vi dovete sdebitare,
avete scelto lui e l'ho accettato da anni, okay? Da quando mi avevi abbandonata in quel buco di città. Non c'era bisogno di questa pagliacciata.
Me ne andai senza neanche ascoltare le sue ragioni, mollandola li, così su due piedi.
Ero furiosa, ferita e mi sentivo nuovamente inerme.
Optai per fare una passeggiata per schiarirmi le idee sulle assurdità successe quel giorno e
per comprare un vestito elegante per il quale Lia aveva insistito, benché non ero propriamente convinta che uscire con loro quella sera mi facesse cosi bene.
Il fatto che Amelia e Nicolò avessero escogitato questo pessimo piano, vizio che non
avevano perso dalle scuole superiori, mi innervosì non poco.
Non erano cresciuti e ciò non mi piaceva, perché avevo bisogno di certezze e stabilità e loro
avevano distrutto le poche barriere che avevo eretto per evitare di essere investita dalle mie
emozioni negative, aggressive come un fiume in piena.
Fu solo una ventina di minuti dopo la mia fuga dall'azienda che mi accorsi che il mio telefono stava squillando incessantemente, colpa della mia testa troppo affollata dai pensieri.
Mi accomodai su una panchina sul lungo Senna e risposi alla videochiamata.
Il volto sorridente del rosso mi scaldò per un'istante.
- Bon jour, madame.
- Ehi.
Il mio tono era stanco e spento. Avevo il volto rigato dalle lacrime e gli occhi rossi e gonfi,
ma soprattuto volevo solo tornare nella mia bolla confortante.
- Che è successo?
Scoppiai a piangere, non ne potevo più. Tutti i miei sforzi per stare meglio erano sfumati in
un attimo.
- Chiara, così mi preoccupi.
Cercai di darmi contegno, non potevo cedere così in fretta. Avevo passato gli ultimi tre anni
a convincermi che non l'avrei più visto e me l'ero trovato davanti che si prendeva gioco di me.
Non pretendevo delle scuse, non sarebbero state neanche realistiche, ma almeno un po' di
rispetto si.
- Torno a casa.
- Non ti hanno preso?
Il suo tono era stupito, come se fosse certo che ce l'avrei fatta.
- Si che mi hanno preso.
Pareva confuso e, ad essere sinceri, lo ero anche io.
Iniziai a balbettare, consapevole che se non mi fossi sfogata, avrei avuto un attacco di
panico da un istante all'altro. Erano mesi che non ne avevo e non volevo ricominciare.
- Volevano fare la carità. Pensavo che non l'avrei mai più rivisto. - Mugugnai singhiozzando
come una bambina. - Voglio tornare a casa. Fammi tornare a casa, ti prego.
Lui mi ignorò.
- Dove l'hai incontrato? Ora vive a Parigi?
Feci un respiro profondo.
Attorno a me c'era una marea di gente che passeggiava; alcuni erano turisti, altri parigini
che si stavano godendo una fantastica mattinata di sole. E io ero lì, di nuovo in mille pezzi,
su una sporca panchina lungo la Senna nella città dell'amore.
- È socio con Nicolò della EmEn.
- È il tuo capo?
Annuii. Non sapevo come dirgli che non avrei accettato, ma lui lo intuii solo dal mio sguardo.
- Non puoi farlo vincere così.
- Non posso vederlo tutti i giorni, Marti. Non cosi. - Ripensare alla nostra conversazione mi
faceva voglia di tornare indietro e vomitagli addosso tutto quello che non gli avevo detto. -
Non dopo il suo comportamento.
Lui sbuffò.
- Non sai cosa darei io per rivedere Gabri anche solo una volta.
Cadde la connessione e attesi che mi richiamasse; a prendere parola di nuovamente lui.
- Si, non è la stessa cosa, hai ragione.
- Credo che tornerò a casa.
Si fermò a riflettere un momento.
- Cos'hai qui in più di quello che hai lì?
- Nulla.
Lui mi sorrise, stava attendendo proprio questa risposta.
- E allora resta e dimostragli che non ti può spaventare.
- Ma lui mi terrorizza.
Martino scoppiò a ridere divertito e stavo per rispondergli quando mi arrivò un messaggio
da Elena.
- Devi andare. - Mi disse intuendo la mia espressione.
- Fammi tornare a casa.
- Mi aggiornerai?
- Mi trovo una casa tutta mia, non ti disturberò.
- Verrò a trovarti, promesso.
E senza darmi la possibilità di controbattere, chiuse la chiamata, lasciandomi nuovamente sola nel caos che aleggiava nella mia testa.
Cliccai spazientita sulla chat con la mia amica. Era solo l'indirizzo di casa e nient'altro.
Le risposi che l'avrei raggiunta più tardi, nel frattempo feci l'unica commissione di Lia:
trovare quello stupido abito per la cena di gruppo.
Avevo atteso con ansia quel momento perché significava rivedere i miei amici, ma non avrei
mai e poi mai pensato che Michael potesse essere uno di loro.
Cercai sul cellulare il centro commerciale più vicino e mi avviai alla ricerca di qualcosa che
potesse essere all'altezza dei miei nuovi ricchi e sofisticati amici.
Avevo messo da parte qualcosina, ma dovevo ricomprarmi almeno un paio di cambi quindi
non mi importava molto se non era abbastanza per i componenti della casa di moda più in
della città.
Per via dell'aereo perso, sostituito con quello dell'ultimo minuto, avevo bruciato i risparmi di
quasi un anno aggrappandomi ad un sogno che era andato in fumo del giro di qualche
minuto.

(Un)happier than everDove le storie prendono vita. Scoprilo ora