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Nicolò fece scattare la serratura della sua porta di casa nel modo più silenzioso possibile ed entrammo nell'appartamento dei ragazzi in punta di piedi, cosa che per me fu abbastanza difficile data la lunga amicizia instaurata tra me e il letto nelle tre settimane precedenti.
Dal mio risveglio erano passate altre tre settime nel quale avevo fatto riabilitazione, avevo fatto controlli su controlli assicurandomi che non ci fossero danni a seguito dell'aborto e avevo fatto lunghe chiacchierate con Martino che sapeva sempre dirmi la cosa giusta.
Stavo meglio anche se faticavo a credere di aver perso il bambino, era come se quella parte della mia vita fosse stata ovattata e nascosta nel punto più lontano dei miei ricordi; sapevo che c'era ma non ricordavo dove fosse.
Forse non era la reazione più normale, avrei dovuto piangere, disperarmi e dannarmi ancora ma avevo passato letteralmente tutta la vita così e non ero pronta a sprofondare ancora in una sopravvivenza disperata, in un senso di vuoto.
Nico mi fece segno, con ma mano, di fare silenzio e mi indicò la stanza di Michele, come se non sapessi quelle fosse, dove mi avviai sempre molto silenziosamente.
Attesi sulla porta, ragionando su cosa avrei potuto dirgli e, senza aver trovato una risposta valida al mio dilemma, entrai nella stanza.
Vari bozzetti accartocciati giacevano abbandonati sul pavimento e la forma di un ragazzo stava ricurva sulla scrivania.
Mi avvicinai lentamente a lui fino a mettere il mio viso tra la sua spalla e il suo, di viso, senza però toccarlo in modo tale che non potesse accorgersi di me finché non avessi parlato.
Studia in silenzio il disegno e decisi che quella era l'occasione buona per tirare fuori un argomento che  risultasse neutrale.
- Io farei la gonna più lunga sul retro e aggiungerei uno strato in più di chiffon per renderla più gonfia.
Mi allontanai in modo da poterlo far girare e vederlo in viso.
Aveva un'espressione di puro terrore, come se avesse appena visto un fantasma.
Mi venne immediatamente il dubbio di aver sbagliato a presentarmi li ma non volevo perderlo ancora; questa volta non sarei riuscita a superarlo.
- Non dovresti essere qui. - Rispose secco.
Voleva sembrare distaccato ma notai la brama nei suoi occhi; gli ero mancata e me ne compiacqui.
- Prima prova a fare quello che ti ho detto poi possiamo parlarne. - Dissi irremovibile cercando di restare seria ma un sorriso divertito mi era già apparso sulle labbra.
Mi sedetti ai piedi del suo letto in modo che potessi vederlo lavorare e ne rimasi incantata; erano passati anni ma lui aveva ancora potere su di me e non riuscivo a capire se fosse un bene o un male.
Dopo cinque minuti, nel quale segui tutte le mie direttive, mi fissò.
- È perfetto! È due giorni che ci lavoro poi arrivi tu e... puff! Come fai?
Sapevo perché prima di quel momento aveva fallito, per quando gli desse fastidio lo conoscevo bene anche io; era preoccupato per me, per noi e ciò gli impediva di concentrarsi sul lagrimò.
Gli feci l'occhiolino, sorridendo divertita. - Come faresti senza di me?
Lo vidi poggiare la matita sulla scrivania, sbuffare, tenersi la testa per quale secondo, e, alla fine, si voltò verso di me.
Aveva un'espressione decida e sembrava intenzionato a far valere le sue ragioni ma io lo ero di più; perdertelo significava non aver più niente per cui lottare.
Era brutto da dire, terribile probabilmente, ma avevo bisogno che lui ci fosse per superare quel momento e, se mi avesse abbandonata, non sapevo proprio come avrei potuto reagire.
- Come farò senza di te.
Sbuffai, lo conoscevo fin troppo bene e sapevo già dove stava cercando di andare a parare.
- Mic... - Provai ad iniziare a parlare ma fui subito interrotta da lui.
- No, Chiara, ascoltami. - Mi prese una mano e mi fissò negli occhi con una convinzione che mi spavento; sarei riuscita a fargli cambiare idea? - È tre settimane che ci penso. Non può andare avanti così, chiaro? Ti ho abbandonata al matrimonio, poi ti ho tradito, ti ho quasi ucciso e hai perso il bambino."
Lo fissai sorridendo, forse stavo semplicemente mostrando i primi segni di ossia.
Orami lo conoscevo troppo bene; se mi avessero chiesto di scrivere le parole esatte che avrebbe usato per allontanarmi, le avrei indovinate tutte.
Il suo viso assunse un'aria confusa quando noto il mio ghigno così decisi di interrompere i suoi pensieri.
- Hai finito?
- Beh, si. - Lui mi fissò incredulo e arricciò il naso indisposto; lo faceva sempre, come passarsi la mano tra i capelli quando era pensieroso. -  Non mi stavi neanche ascoltando, vero?
- Falso. - Lo preso per mano e lo feci accomodare sul letto accanto a me. - Ho ascoltato tutto e sono pronta  a difendermi, capitano.
Michy alzò gli occhi al cielo sempre più indispettito. - Tra un po' inizierai a chiamarmi Cenerentola, vero?
Le nostre discussioni più importanti si erano smepre svolte uno di fronte all'altro seduti su un morbido materasso, sfruttando citazioni di libri per sfuggire all'imbarazzo.
- Vero. - Risposi sorridendo e aumentai leggermente la presa sulla sua mano che era gelida a causa del tempo passato a disegnare. - Ascoltami, non credi che se io fossi rimasta incinta di un bambino di cui tu eri il padre, forse, e dico forse, sulle prime due cose ti avevo già perdonato e il discorso era chiuso?
Il suo viso di fece paonazzo. - Si ma...
- Niente ma. Fammi finire. - Lui, ancora rosso in viso, si arrese e continuò ad ascoltare.
- Gli incidenti succedono e non te ne devi fare una colpa.
- Ho rischiato di ucciderti.
C'era qualcosa di assurdo in quella conversazione che mi infastidiva e mi agitava allo stesso tempo ma non capivo cosa fosse, forse la paura di perderlo. 
- Magari un giorno sarei caduta dalle scale e, picchiando la testa, sarei morta comunque.
- Si ma stavi per morire per colpa mia.
Vedevo quanto i sensi di colpa lo stavano attanagliando ma avevo anche paura a dirgli la verità; non sapevo proprio come avrebbe reagito.
- Ascoltami, non è colpa tua.
Il suo sguardo non era convinto.
Dovevo diglielo, era giusto così.
- Invece si.
- No. - Presi un respiro profondo e optai Ele la verità, non c'erano altre vie giuste da percorrere. - Michele, ti ricordi che ti ho chiesto di svoltare più volte.
Lui annuì; voleva, anzi esigeva, la mia più totale sincerità.
-  L'auto che ti ha tagliato la strada è di Davide.
Lui rimase in silenzio per parecchi minuti; il suo volto si fece prima rosso, poi bianco ed infine di nuovo rosso. Potevi vedere gli ingranaggi del suo cervello a lavoro.
Poi, con la calma tipica dell''irrazionalità, prese parola.
- La tua è un'accusa pesante.
- Lo so. E non ho neanche abbastanza prove per il tribunale, ma ho un'idea.
Era tre settimane che la stavo studiando, una sorta di vendetta per aver ucciso il mio bambino, per avermi pedinato e stalkerato.
- Non mi piacciono le tue idee. - Mi bloccò immediatamente.
- Tu non mi fermerai. - Dissi decisa; per quanto fosse sbagliato, ero certa che se non l'avessi fatto, non mi sarò mai perdonata la morte del mio bambino.
Comprese immediatamente che non avrei cambiato idea per nessuna ragione e si arrese.
Poi fu colto da un'improvvisa illuminazione e riprese parola.
- Ma per colpa mia hai perso il tuo bambino.
Certe volte era davvero troppo testardo e, avendo entrambi due caratteri forti, entravamo spesso in discussione.
- Punto uno. Nostro bambino. Punto due. Ti ho già detto che non è colpa tua. E punto tre. - Gli sorrisi e questa cosa lo mandò in tilt. Non è detto che in futuro io non possa provare ad averne altri, giusto?
Il suo volto, leggermente divertito della mia frase un po' sfacciata, assunse una sfumatura tendente al bordeaux e, quasi con un sussurro, rispose.
- Se lo dici tu.
- Ora - Dissi avvicinandomi maggiormente a lui in attesa. - È tre settimane che non ti vedo. Puoi, per favore, abbracciarmi?
Lui sorrise, si alzò in piedi e fece come richiesto, poi mi sposto i capelli e sentii il suo respiro caldo lungo il collo, ancora leggermente nero a causa dell'incidente.
Mi chiedi se quei segni sarebbero mai spariti.
- Mi sei mancata.
Fu quasi un sussurro ma lo udii lo stesso e arrossì; per mascherare l'imbarazzo risposi con ironia.
- Lo so che sono indispensabile.
- Non fare cavolate, okay? Non te lo perdonerei. - Disse dandomi poi un dolce bacio a fior di labbra.
- Ci proverò. - Risposi sorridendo. -
Ma non prometto nulla.
Era la verità, non sapevo se fosse una buona idea e probabilmente sarei andata incontro a qualcosa di assurdo ma avevo bisogno di farlo.
- Ora, - Iniziò lui allontanandosi e la mia reazione fu quella di alzare gli occhi al cielo infastidita. - Tra una settimana c'è la fashion week a e ho concluso solo un modello.
Lo fissai sorridendo, sapevo già cosa volesse. - Quindi?
- Avrei bisogno del tuo aiuto. - Rispose esasperato e imbarazzato allo stesso tempo. Detestava chiedere aiuto.
- Vediamo... - Lo fissai diverta consapevole che avrebbe vinto lui. - Perché dovrei?
- Perché il tuo ragazzo è disperato?
Fece gli occhi da cucciolo, li trovavo adorabili ma inutili.
- Sai benissimo che non hanno effetto di me.
- Ti prego.
Iniziò a baciarmi con dolcezza e quell'azione ottenne il risultato voluto.
Alzai gli occhi al cielo, ilare e arresa.  - Vediamo un po' i modelli che hai fatto.
- Sono tutti qui per terra. - Disse con disgusto fissando i fogli accartocciati. - Ah, e non dire a Nicolò che sono così indietro.
Scoppiai a ridere per la sua affermazione. - Nicolò è in cucina.
- Uh. - Di nuovo le guance rosse. Era così raro che si imbarazzasse che, quando accadeva, mi gustavo il momento. - Allora facciamo finta di niente.
Ci mettemmo a raccogliere i vari bozzetti. Non erano affatto brutti come diceva lui  ed erano anche molto originai, diversi da quello che ci si poteva aspettare; sicuramente un ottimo punto di partenza.
Ricicliamo quasi tutti i bozzetti e,aggiungendo solo piccoli dettagli, diventarono perfetti.
Un'ora dopo avevamo concluso una ventina di modelli ed fu in quel momento che entrò Nico in stanza.
- Ed ecco la mia coppia preferita. - Lo guardai storto. - Non siete una coppia? - Continuò lui perplesso.
- Si, ma non dovremmo essere noi la tua coppia preferita visto e considerato che sei fidanzato. - Risposi sorridendo.
- Ma noi siamo fantastici, Chiara. - Continuò Michele sorridendo stringendomi a se.
- No, siete incorreggibili. - Disse sbuffando Nico non riuscendo a nascondere un sorriso che era sfuggito al suo controllo. - Allora, che fate?
- Sto finendo la collezione. - Rispose il mio ragazzo, prendendosi subito di essere datato sincero.
- Non sei un po' indietro? -Chiese un po' preoccupato.
- Si ma con Chiara farò in un attimo. - Rispose sicuro.
L'aria stava diventando leggermente tesa.
- Lo so, sono indispensabile a tutti.
Entrambi mi guardarono torvi ma, notando l'ironia sul mio volto, risero.
- Mamma che caratterino. Scherzavo! - Dissi fissando il soffitto. 
- Allora Michy, - Riprese l'amico storcendo il sei, visibilmente irritato dal ritardo sul lavoro. - I modelli hanno detto tutti si?
- Ehm... i modelli? - Rispose il moro.
Ci volle solo un secondo per comprendere la situazione disastrosa nella quale si era appena cacciata l'azienda.
Avrei tanto voluto essere ovunque ma non li.
- Si, quelle persone che sfilano, Michele. - Commentò ironicamente Nicolò. - Vengono tutti?
- Se li hai chiamati tu, si.
Io e Nicolò lo guardammo storto ma per due ragioni differenti; io perché non avevo apprezzato l'ironia mentre l'amico perché non comprendeva il senso della sua frase.
- Che significa? - Chiese innocentemente lui.
- Che si é dimenticato di chiamarli. - Risposi sbuffando.
- Ma la fashion week è tra una settimana! - Sbraitò Nicolò arrabbiato. Comprendevo anche il perché esattamente come non comprendevo perché gli avessero affidato così tante responsabilità mentre era in un momento delicato.
- Sentite se per voi non è un problema posso pensare io all'organizzazione.
- Tu?- Domandò perplesso Michy.
- Si, perché?
Lo guardai di traverso,, non mi era piaciuto il suo tono supponente, poi ripresi a parlare. - Lavoro solo mezza giornata, parlo tre lingue, sono in questo settore da anni, conosco l'argomento della sfilata e non chiedo retribuzione.
Avrei voglio ricominciare a fare i tre turni ma Tiziano me l'aveva vietato sostenendo che avevo bisogno di riposarmi; io, però, non riuscivo a stare con le mani in mano.
- Sarebbe perfetto. - Ammise Nico con una punta di gratitudine.
- Non ce la farai mai. - Rispose Michele.
Lo guardai accigliata, offesa dalla sua affermazione. - Perché, scusa?
Mi considerava ancora debole, un oggetto fragile da proteggere.
- Ho un miglione di ragioni ma se le dicessi rischierei di prenderle.
Il mio sguardo si fece ancora più torvo.
- Peggio di te non può di certo fare. - Commentò ironico Nico.
- Grazie per la fiducia. - Sbuffai infastidita. Solitamente ero sempre io quella che rimediava ai loro danni, quindi perché questa titubanza? - Allora?
- Per me va più che bene. - Confermò Nicolò. Fissammo entrambi il mio ragazzo che dopo un po' si dovette arrendere. - Ho scelta?
- No!
Lo dicemmo insieme ma il mio tono era leggermente acido.
- Ecco appunto.
I due risero ma io mi sentivo leggermente offesa.
- Forza, al lavoro; non abbiamo altro tempo da perdere.

(Un)happier than everWhere stories live. Discover now