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- Il bambino?! - Domandò urlando Michele. Il suo volto era diventato bianco come un cencio e, all'istante, sentii il mio cuore spezzarsi di nuovo.
L'avrei perso, quella sera avrei l'avrei perso di nuovo e, questa volta, per sempre.
- Grazie tante, Lia.
Non sapevo se me l'ero immaginata o se le avessi davvero dette quelle parole.
La situazione era tesa, avevo il cuore a mille eppure non riuscivo a distogliere gli occhi dal mio ragazzo che non, probabilmente ancora in preda allo shock, non mi aveva lasciato la mano.
Nicolò ci studio senza rompere il silenzio poi, quando noto la pelle del suo amico farsi ancora più chiara, intervenì.
- Ora, Michy, respira e non combinare cavolate. - Disse cercando di tranquillizzarlo. - Anche se a quanto pare ci hai già pensanto. - Commentò fissandomi.
Era stato uno sbaglio, era capitato per errore ma non volevo dirglielo perché avevo paura che mi dicesse di scegliere tra lui e il bimbo.
- Ah ah ah, simpatico. - Risposi sarcastica.
Mi concessi il privilegio di respirare e i miei polmoni, che stavano iniziando a bruciare, ne furono grati.
- Quando avevi intenzione di dirmelo?
La sua voce mi spaventava.
Dovevo assolutamente insegnare a Lia quando era il caso di stare zitta.
- Penso oggi.
Gliel'avrei detto, davvero, solo non davanti a tutti.
- Pensi?!
O forse sì, dovevo solo capire come.
- Beh, è già stato un passo avanti dire che a loro che stiamo insieme. - Risposi facendomi piccola piccola su un bracciolo del divano, allontanando la mano, e la situazione continuò a complicarsi.
- E loro da quanto lo sanno? - Chiese alludendo alle due ragazze che voltavano lo sguardo verso vari soprammobili ogni qualvolta provassi a guardarle.
Il bracciolo del divano era sempre di più un posto accogliente e, in cerca di rifugio, mi feci quasi inglobare.
- Un mese.
- UN MESE?! - Continuò ad urlare lui.
Capivo la sua rabbia, aveva ragione, perciò non provai neanche ad inventare scuse.
- Michy, calmo.
In quel momento fui veramente grata a Nicolò. Già solo il fatto che fosse presente, mi tranquillizzò un po'; lui sapeva sempre come aiutarci, specialmente quando discutevamo.
Il ragazzo, chiamato in causa, prese un respiro profondo e cercò di continuare il discorso più tranquillamente.
- Perché non me l'hai detto?
Fissai un punto indefinito tra Lia ed Ele e, nonostante non vedessi direttamente il loro volto, notai il loro cenno.
- Avevo paura.
Notai un fremito di rabbia in lui ma, invece che urlarmi dietro contro, disse una cosa che non mi sarei mai aspettata.
- Di quanti mesi è?
Mi girai ad osservarlo. Mi ero sempre immaginata questa scena con lui che scappava nuovamente e questo suo interessamento mi spiazzò.
Parve notarlo anche lui e per qualche istante gongolò pure, contento che la terapia stesse funzionando. 
- Quattro. Quasi cinque.
- Ah. - Abbassò lo sguardo e sussultai, non sapendo come interpretare quell'azione. - E sai già se è maschio o femmina?
Annuii ma stetti zitta; non sapevo perché ma la voce mi era morta in gola.
- Quindi? - Chiese spazientita Elena che ci seguiva con un interesse particolare; probabilmente le ricordava la sua discussione con Riccardo non troppo tempo prima.
La fissai beffarda.  - Sei per caso il padre?
Poi mi rivolsi nuovamente a quello che, teoricamente, era il mio ragazzo. - È un maschio.
- Gente, un piccolo Michele che gioca con i miei gemellini?! Devo salvarli! - Ironizzò Ricky, cercando di alleggerire la situazione.
- Magari prende il carattere dolce e amabile della madre.
- Ancora peggio.
- Vuoi prenderle da una donna incinta?! - Scherzai.
In tutto questo scambio di battute, Michele rimase zitto. Non un'espressione, una parola, un movimento, un gesto.
Niente. Niente di niente.
- Mic? - La paura era tale da farmi tremare la voce ma lui continuò a rimanere statuario.
- Ragazzi, l'abbiamo perso. - Ironizzò Ele.
A questo commento sembrò riprendersi, dato che si rivolse nuovamente a me.
- E sei sicura che il padre sia io?
Come poteva dubitare di una cosa del genere?
È vero, una sola volta. L'avevamo fatto una sola volta, ed ero rimasta incinta, eppure la sua domanda non mi piacque comunque.
- No, il tizio che passa per strada. - Sbuffai offesa. - Si ne sono sicura.
Lui continuò a non dire nulla e io non riuscii a tenere sotto controllo la mia mano tremante.
- Puoi parlare, per favore? - Lo supplicai.
Questa situazione stava iniziando a darmi sui nervi e, in più, la nausea stava tornando a farsi sentire. Ovviamente rimase impassibile e ciò mi diede altri motivi per pensare che sarei rimasta nuovamente sola col la sola differenza che stavolta eravamo in due.
- Senti, puoi anche mollarmi qui sul momento, basta che reagisci.
Finalmente vidi un altro movimento vitale compiuto da lui. Sorrise e la cosa mi inquietò parecchio.
- Possiamo parlare di là?
Io impallidii e la mia voce parve quasi soffocata, impastata com'era la mia bocca.
- Guarda che io scherzavo...
I nostri amici continuavano a fissarci come si osserva una pallina durante una partita di tennis, senza però fiatare.
- Vieni. - Disse senza particolare enfasi o altro e io mi sentii costretta a seguirlo.
Lui si diresse in quella che era stata camera mia, dove c'era ancora il mio letto, e quando entrai chiuse la porta.
- Se vuoi uccidermi sappi che urlo. - Dissi terrorizzata, non nascondendo la paura.
- Respira. - Lui mi fissò sorridendo e notai nuovamente quella luce nei suoi occhi. - Non ti voglio uccidere.
- Ah no?!
Voleva essere ironia ma non riuscii a mascherare un sospiro di sollievo.
- No.
Ci fu un altro minuto di silenzio in cui lui mi fissò e io imparai a memoria le venature del parquet.
- Quindi tu aspetti un figlio.
- Già.
Sentivo le mani sudate e i muscoli tesi.
- E il figlio è mio.
- Sei particolare perspicace oggi.
Stavo cercando di essere il più ironica possibile perché avevo praticamente la certezza di averlo perso.
- Chiara?
Senza neanche rendermene conto, mi aveva fatto sedere sul mio letto.
- Si?
Cercai di ingoiare il modo che si era fermato alla gola.
- Stai tranquilla. - Disse sorridendomi. - Sto solo analizzando la situazione.
Annuii ma non mi rilassati affatto.
Se uno ti dice di tranquillizzarti, tu non ti calmi anzi tutt'altro.
- Posso sedermi accanto a te?
- Va bene. - Lo seguii e mi sistemai di fronte a lui affinché potessi vederlo. Non riuscivo, però, a leggere la sua espressione.
-Tutto okay?
Non mi rispose ma continuò solo a squadrarmi sorridendo, inquietandomi non poco.
- Chiara che hai? - Disse ad un certo punto spezzando il silenzio. - Mi sembri spaventata.
- Ho paura.
L'avevo ammesso anche se, forse, non era la cosa più saggia eppure ci eravamo promessi sincerità totale e io avevo appena nascosto la mia gravidanza.
- Di cosa?
Deglutii, feci un lungo respiro e, ancora una volta, decisi di parlare.
- Di restare sola.
Abbassai lo sguardo ma una mano mi obbligò dolcemente ad alzare il viso per fissare così il mio interlocutore.
- Perché?
Le lacrime scendevano copiose lungo il mio viso e non mi preoccupai di fermarle.
- Perché te ne andrai. È cosi, vero?
Mi sentivo come una bambina piccola che viene abbandonata dalla madre e, nonostante non mi piacesse mostrarmi debole, non riuscivo a non essere così vulnerabile.
Invece che rispondere mi baciò dolcemente.
- No Chiara. Perché dovrei?
Il mio istinto fu quello di abbracciarlo. Non avevo più il controllo delle mie emozioni, proprio come se fossi tornata davvero bambina o, forse, erano solo gli ormoni.
Mi morsi il labbro e, dopo il suo ennesimo bacio, la mia lingua si sciolse e parlai. - Pensavo che avresti avuto paura di una responsabilità del genere.
Mi strinse più forte ma sempre con una dolcezza assoluta.
- Cavolo Chiara. È nostro figlio. Mio e tuo.
-Di solito funziona così. - Dissi cercando di sorridere.
Lo sentii ridacchiare. - Smettila. Intendo proprio nostro. Io non ci credo ancora.
Mi sciolsi delicatamente dall'abbraccio per guardarlo in viso. Sembrava sereno e spensierato.
- Io proprio non ti capisco. - Dissi ridacchiando, rubandogli l'ennesimo bacio.
Lui, dopo essersi allontanato leggermente per guardarmi negli occhi, rispose sorridendo.
- Tu mi sei sempre piaciuta, dal primo giorno che ti ho visto. E non riesco a credere che tu stia aspettando un bambino da me.
- Eppure...
Forse certe volte avrei dovuto evitare di essere così sarcastica ma probabilmente mi amava anche per quello perché scoppiò a ridere.

La serata continuò tranquilla. Non avrei mai pensato che potesse prenderla così bene ma fui entusiasta.
- Avete notato? - Domandò ad un certo punto Lia. - I bambini non stanno piangendo.
Elena alzò gli occhi al cielo, a metà tra l'essere divertite e l'essere stufa delle sue battute, ma a rispondere fui io.
- Solitamente lo fanno solo quando hanno bisogno di qualcosa. Lo sapevi?
- Ed ecco la nostra mamma. - Commentò metà tra lo sciocciato e l'ironico.
Non sapevo se sentirmi offesa o riderci su. Optai per la prima opzione.
- Ah ah ah, simpatica.
La guardai male e lei abbassò lo sguardo rendendosi conto di aver esagerato.
- Ma sai com'è brava? - Disse Elena rivolgendosi a Michy, tentando di sciogliere un po' la tensione. - Praticamente si occupa lei dei gemelli.
Non ero abituata a vederlo così tranquillo su argomenti del genere eppure Mic stava ridacchiando ed era particolarmente radioso.
- Lo so. - Mi diede un bacio sulla fronte. - Sarà una mamma fantastica.
Non fece in tempo a finire di parlare che sentii un rumore provenire fuori dalla porta. Gli altri sembrarono non accorgersene ma il panico mi assalì. - Non avete sentito niente? - Chiesi tentando di nascondere la mia ansia.
Loro dissero di no e continuarono a chiacchierare finché non sentii nuovamente quello strano rumore proveniente dalla porta di ingresso. Dissi ai miei amici di fare silenzio e, udendolo di nuovo, raggiunsi la porta.
Sentii nuovamente quel suono: un otturatore.
Stavo impazzendo; avevo detto la verità quindi che cosa voleva ancora da me?
Quindi fui sicura che nessuno mi stesse scrutando, aprii la porta e uscii. 
Era ora di mettere un punto anche a questa storia.
- Ciao Davide.

(Un)happier than everWhere stories live. Discover now