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La serata era finalmente arrivata.
L'avevo aspettata a lungo ma non appena avevo scoperto che ci sarebbe stato anche Michele tutta la mia voglia era sparita, come d'incanto.
La situazione era tesa e imbarazzante; Michele a parte, Nicolò non l'avevo ancora visto, Riccardo era scappato, Amelia era arrabbiata con me e Elena aveva passato più tempo in bagno che in ogni altra stanza.
Lia era splendente nel mini abito di paillettes blu mentre Ele indossava lungo abito color avorio che scendeva largo sotto il seno.
Io, nel mio semplice tubino nero, mi sentivo leggermente fuori luogo ma non ero quel tipo di persona adatta ad indossare abiti troppo vistosi; abiti del genere mi piaceva solo disegnarli.
Pronte, truccate e vestite, alle 19.50 arrivò puntuale Nicolò a prenderci.
Dopo la passeggiata, avevo chiacchierato un po' con Elena ma non ero riuscita a capire come mai non passasse a prenderla Riccardo.
Arrivammo per le otto e dieci.
I miei amici, orami importanti ricchi e famosi, credevano che il modo migliore per farmi sentire a mio agio fosse scegliere un locale tranquillo e poco importante e fu per questa ragione che fummo scortati al Jules Verne, il ristorante al secondo piano della Tour Eiffel.
Non appena vidi la Dama di ferro, intuii immediatamente perché Lia avesse insistito tanto nel comprare un abito elegante e fui contenta che per una volta, fortunatamente, l'avessi ascoltata. Poco prima di entrare, fummo raggiunti da Ricky che notai subito molto distaccato da Ele.
C'era un muro enorme tra di loro e non capivo cosa potesse creare un distacco così grande dopo quasi sei anni di relazione.
Quando ci accomodammo al tavolo, mi accorsi di due sedie vuote ma decisi di non chiedere, sapevo già a chi appartenessero.
Non ero pronta ad incontrarlo e, ancora meno, lo ero per conoscere la sua nuova fiamma.
A prendere parola fu Niccoló che vide il mio imbarazzo e tentò di venire in mio soccorso.
- Chiara, è così bello il fatto di esserci ritrovati, non credi?
- Dipende dai punti di vista. Non tutti la pensano così.
Era chiaro a chi stessi alludendo e non mi importava se si capisse.
Elena alzò gli occhi al cielo. - Smettila. Almeno per stasera comportati civilmente.
Rimasi perplessa un attimo. Nonostante tutto l'accaduto, il ragazzo riusciva ad essere il buono della storia e io non riuscivo proprio a capacitarmene.
- Io mi sono sempre comportata bene, lui no.
Notai che Riccardo fu tentato di controbattere ma fu interrotto dall'arrivo del già troppo nominato Michele e da una ragazza che dedussi essere la sua attuale ragazza.
- Ciao, scusate il ritardo.
Passò a salutare tutti ma, ovviamente, saltò me, cosa che fece storcere il naso ai nostri amici ma che mi sollevò parecchio.
Non volevo finzione e apparenze; non mi sopportava e lo accettavo, per quanto ne soffrissi.
Perché, anche se avevo tentato di superarlo, il solo vederlo aveva riacceso dei sentimenti che non si erano mai spenti.
Quando tutti ci fummo accomodati, i due proprietari dell'azienda iniziarono a discutere su questioni riguardanti il lavoro e così fecero gli altri.
In quel momento, notai immediatamente come tre anni di lontananza mi avessero separata dai miei amici e come la mia scelta di raggiungerli fosse stata totalmente sbagliata e abbastanza campata per aria.
Dopo una ventina di minuti, rinunciai a seguire i loro discorsi che per me erano solo parole senza senso; mi facevano sentire anche leggermente stupita.
A reintegrarmi nella conversazione fu nuovamente Nicoló, che come una volta rimaneva sempre il più sensibile. - Michele oggi avevi un colloquio con Chiara, giusto?
Avvampai di colpo e cercai di nasconderlo ed era assurdo che anche per lui fu lo stesso; eravamo l'argomento tabù altrui e nessuna conversazione avrebbe cambiato questo fatto.
- Beh, decisamente ha talento. - Si schiarì la voce per tentare di nascondere il disagio. - Il fatto che non abbia frequentato l'università mi ha fatto dubitare ma alla fine ho deciso di darle un'opportunità.
Notai l'occhiataccia di Lia per spronare Nico a fare da interlocutore; lui riprese a parlare.
- Fantastico! Adesso anche tu fai parte dell'azienda. Non sei contenta?
- Entusiasta. - Risposi sarcastica.
Tutti mi fissarono confusi; anche a distanza di anni non ero cambiata, non avevo paura di dire quello che pensavo.
Decisi di comunicare la mia decisone a tutti anche se questa avrebbe creato dei dissensi. -Non accetterò questo lavoro. Mi spiace.
Questa mia esclamazione irritò parecchio Michele ma non mi importava.
Non sapevo lui ma io non ero in grado di lavorare a stretto contatto, non potevo vederlo tutti i giorni, non avrei retto.
Per evitare discussioni in pubblico, prese parola Elena, che peggiorò solamente la situazione. - È sempre stato il lavoro della tua vita. Non puoi rifiutarlo così.
Sapevo che stavano facendo tutto per me; erano sempre state gentili con me. Io le avevo cacciate e, dopo anni, loro continuavano a cercare di rendermi felice, tentavano di farmi avere quello che non avevo mai avuto.
Ne ero grata ma non potevo far sì che Michele entrasse nuovamente a far parte della mia vita.
Dopo questa affermazione il mio ex coinquilino, nonché ex fidanzato, decise di cogliere la palla al balzo.
-Io ti ho concesso questo onore e tu lo rifiuti così?
In quel momento, dopo anni, mi resi conto del superpotere di Michele Alessandro Lorenzotti: far uscire il lato peggiore di me.
Non ressi e scoppiai; sarei risultata debole, o magari anche prepotente, ma era giunto il momento di dirgli come stavano realmente le cose.
- Grazie per questo onore, vostra maestà.
Lo sguardo delle mie amiche mi fece intuire di fermarmi, lo dicevano per me, sapevano che ne sarei rimasta scottata ma la rabbia era troppa per essere contenuta.
- Mi scusi se l'ho offesa.
Lo sguardo di Michele era un misto di nervosismo e vergogna.
- Ti chiedo perdono se da un giorno all'altro sei sparito senza dire niente. E ricordiamo a tutti i presenti, che evidentemente se ne sono dimenticarti o fanno finta di niente, che te ne sei andato via senza dare notizie il giorno del nostro matrimonio.
La sua faccia adesso era un misto di emozioni indescrivibili ma non mi fermai.
- Chiedo scusa se ti ha dato fastidio il fatto che io non abbia fatto l'università. - Il suo sguardo mi implorava di fermarmi ma per una volta mi sentivo potente e quella sensazione si stava impossessando di me.
- Il giorno in cui te ne sei andato, hai convinto i tuoi genitori ad investire nella tua attività. Quando ti sei reso conto che i soldi non bastavano, sei andato a chiedere anche ai miei genitori, insistendo che servivano per il matrimonio. Loro ti hanno dato tutti i loro soldi, escusi quelli per la catena dei nostri genitori, e per fortuna dico io, lasciandomi così sola e senza un euro.
I miei amici mi osservavano confusi; tante cose non le sapevano. Per il bene di Michele ero stata zitta nel momento della sua fuga perché, nonostante tutto quello che mi aveva fatto, io ci tenevo a lui e non volevo rovinare la sua reputazione.
Ma quella sua spavalderia mi aveva fatto comprendere quando avessi sbagliato.
- Perché tu non lo sai ma, due giorni dopo la tua fuga, si sono trasferiti in America per quella fottutissima catena.
Mi sentivo strana; ero rabbiosa, desiderosa di vendetta, non ero più me stessa.
- Sono rimasta sola e senza un soldo. Mi sono sentita un'estranea a casa mia.
Si azzardò ad aprire bocca e non fece altro che peggiorare la situazione. - Avevi tutta la villa a tua disposizione.
Nicoló lo uccise con lo sguardo, evidentemente ferito che il castano gli avesse mentito così a lungo.
- Ero sola, tu mi hai abbandonata. La mia famiglia mi ha abbandonato. Tu sapevi che temevo l'abbandono, sapevi che non avevo mai superato la morte di Gabriele.
- Chissà quanta gente sarà venuta a farti compagnia.
Il suo tono mi fece venire un conato di vomito.
Mi alzai di scatto; era davvero l'unica cosa che sapeva dirmi?
- Vuoi ridere? Sai chi mi ha consolato? Sai chi mi ha supportato?
- Non ci tengo a saperlo.
Questa volta Nicoló, non solo lo guardò male, ma prese anche parola. - Adesso stai esagerando, Michy.
Volevo fermarmi, andarmene e chiudere il discorso, aspettare di salire su un aereo per non vederlo mai più ma sarei risultata debole e non gli avrei ancora concesso questo vantaggio.
- Martino.
Lo sguardo di tutti i presenti, meno quello di Elena, assunse un'espressione ancora più confusa.
Non mi lasciai interrompere, volevo chiudere il discorso  e liberarmi di quel peso per sempre.
- Sentendomi così tanto estranea ho deciso di andarmene.
- Di giorno ho frequentato l'università come uditrice, ma evidentemente a sua maestà non basta, e di sera ho lavorato in un bar per riuscire a pagarmi un monolocale.
Volevo feritelo, volevo farlo stare male ma soprattuto volevo fargli provare tutto quello che avevo provato io; stavo diventando vendicativa.
Anche se quella non ero più io. Era quello che rimaneva del mio fantasma.
- E si, ho vissuto davvero bene negli ultimi tre anni, grazie Michele per averlo chiesto.
Stava per parlare quando lo bloccai, per un ultima volta.
- Soprattutto adesso che so che i miei soldi sono una quarto dell'MN.
Colpito da questa affermazione, Michele abbassò gli occhi e per tutto il resto della cena non parlò più.
I nostri amici, dopo la scena alla quale avevano appena assistito, decisero che fosse il caso di trasferirsi tutti nell'appartamento di Lia ed Ele. 
Cercando di dare una mano, da quel momento in poi, la situazione peggiorò solamente.
Mentre gli altri si accomodavano, sentii, senza distinguere le parole, che Elena e Riccardo stavano litigando.
Volevo capire il perché, volevo facessero pace, avevo bisogno che almeno loro restassero uniti.
Poco dopo ci raggiunsero ma nessun altro sembrò essersi accorto di niente.
Dopo un silenzio imbarazzante e diverse occhiatacce da parte del mio ex fidanzato, a prendere parola fu Lia.
- Eh, c'è il mio tipo che mi ha fatto la proposta.
Io ed Elena ci guardammo confuse. La nostra amica scoppiò a ridere dopo la faccia basita del suo ragazzo.
- Ame voleva dire che ci sposiamo. - Precisò Nicolò abbracciandola. Erano sempre stati una coppia perfetta.
Ero davvero entusiasta per loro; si amavano, era più che evidente, e, in sei anni, non avevano fatto altro che migliorati a vicenda.
Nel nostro gruppo avevamo notato che le proposte di matrimonio non andavano a buon fine, o almeno, così valeva per l'unico caso prima di questo.
Ci fu silenzio tombale finché non decisi di prendere parola.
- Ma é fantastico! - Dissi con il massimo di entusiasmo in corpo. Ero davvero contenta e allo stesso tempo confusa; perché dirlo in quel momento? Stavano aspettando che andassi a trovarli?
Michele tentò di fare lo stesso ma intuii immediatamente che, al contrario di me, non fosse affatto felice.
La trovava un'istituzione stupida se era scappato dal suo stesso matrimonio.
- È stupendo amico. Come mai non mi ha detto niente? Quando è successo?
Diciamo che la notizia aveva spiazzato tutti.
I tre ragazzi iniziarono a chiacchierare per conto loro e noi tre facemmo lo stesso, isolandoci un poco e questa cosa mi diete un attimo di respiro.
- Hai visto Elena? - Dissi per rompere il ghiaccio. - Ho vinto io la scommessa. Lia sarà la prima a sposarsi.
Anni prima, durante una lezione della Turconi parecchio noiosa, avevamo scommesso su chi si sarebbe sposato prima e quale coppia sarebbe durata di più.
Io avevo puntato su Lia e Nico, mentre le mie amiche avevano optato per me e Michele e relativamente si poteva dire che avessero indovinato.
Attesi la battuta sarcastica da parte di Criticona, tipica del suo carattere, che però non arrivò mai.
- Sei stata molto coraggiosa oggi.
Era questo che mi piaceva di Amelia, aveva sempre la parola di supporto al momento giusto.
Le sorrisi ed entrambe aspettammo una battuta ironica dalla biondina che però non arrivò mai.
Preoccupata, la guardai in viso e notai che era parecchio verdognola.
- Ele, tutto bene?
Lei fece cenno di no con la testa e le parole che disse dopo furono quasi impercettibili. - Chiara, potresti accompagnarmi in bagno?
Era agitata e strana rispetto al solito, pareva quasi debole.
La aiutai ad alzarsi dalla posizione rannicchiata nel quale era e la portai fino al bagno dove si inginocchiò vicino al water e vomitò le poche cose mangiate a cena. Non aveva toccato quasi nulla e non aveva bevuto alcolici.
Mentre le tenevo i capelli notai subito che la conversazione dei ragazzi si bloccò e le loro occhiate si rivolsero alle nostre azioni. In special modo, quelle di Riccardo che sicuramente sapeva cosa stava accadendo a Elena anche se iniziavo ad avere anche io i miei sospetti.
Quando mi disse che stava meglio, uscimmo e mi trovai davanti Riccardo che, con fare apprensivo, mi  chiese come stava.
Non feci neanche in tempo ad aprire bocca che Ele gli tirò un occhiataccia e lo fece tornare al suo posto.
Quando ci accomodammo nuovamente, prese parola la ragazza di Michele, di cui non sapevo ancora il nome e di cui probabilmente non saprò mai.
- Elena, tous bien?
Lei sembrò pensarci su un attimo e l'istante successivo il suo volto assunse la sua solita espressione decisa, espressione che da quando ero atterrata a Parigi, non avevo ancora visto in lei.
- Vi devo dire due cose.
A bassa voce, Michele tradusse le frasi alla sua accompagnatrice mentre Riccardo sussurrò un lieve no, che fu prontamente ignorato da tutti.
- Io e Riccardo non stiamo più insieme.
Nonostante fossero stati insieme quasi sei anni, lo capivo.
Capitava che le relazioni finissero, era normale. Ma quei due si amavano ancora, era evidente perciò c'era sicuramente dell'altro che stava causando la rottura.
- Perché? - Chiese dubbiosa Lia.
- P-perché - Le venne il groppone in gola e le lacrime agli occhi. - Perché sono incinta. Di tre mesi.
Avevo ragione: non aveva bevuto alcol, non sopportava gli odori troppi forti e, dal mio arrivo, continuava a vomitare.
Da lì ci fu un silenzio silenzio tombale che decisi prontamente e, dopo attimi di sconcerto, di interrompere.
- C'è una cosa che non capisco. - Dissi fissando confusa Riccardo.
- Strano, non capita mai. - Rispose Michele con fare ironico ma nessuno rise alla sua battuta.
Decisi di ignorarlo ma probabilmente diventai rossa per la rabbia tanto che Nicolò commentò a bassa voce. - Mannaggia a me e alla scommessa di sette anni fa...
La mitica scommessa del bacio da cui era partito tutto. Mi sembrava davvero di essere tornata alle superiori quando lui si credeva ancora il re del mondo e io ero solo una sfigata.
- Il figlio non è tuo, Riccardo? - Chiesi perplessa.
- Si ma... - Rispose imbarazzato abbassando lo sguardo. La voce gli morì in gola e fu immediatamente sovrastata da quella della ragazza.
- Si, ma non VUOLE ASSUMERSI questa responsabilità! - Disse irritata Elena. - Come se il bambino fosse stato concepito da solo, vero?
Riccardo fu tentato di rispondere ma, noi altri, accorgendoci dello scaldarsi degli animi, decidemmo di stroncare la discussione sul nascere.
Lia trascinò di peso Elena in camera e Michele e Nicolò portarono via Riccardo.
Quando tutto fu più calmo, io e Lia bussammo leggermente alla porta della ragazza attendendo una risposta.
- Avanti.
Aveva gli occhi arrossati dal pianto e mi dispiaceva davvero tanto vederla in quello stato.
Erano le mie amiche, erano la mia famiglia.
Mi avevano sopportato per tanti anni, avevano tollerato le mie stranezze, le mie insicurezze e mi erano state accanto anche quando avevo tentato di allontanarle.
Perché sia dopo la morte di Gabri, che dopo la fuga di Michele, loro avevano provato ad aiutarmi e io le avevo respinte ma nonostante tutto loro erano lì, di fianco a me.
- Elly, vuoi qualcosa?
Non avevo mai visto un espressione tanto preoccupata sul viso sempre solare di Amelia.
Certo per noi era Arrabbiata ma, nonostante tutti i fastidi che provava, prendeva tutto con il sorriso.
Lei fece di no con al testa e noi ci accomodammo sul letto al suo fianco.
- I ragazzi sono così. Non sanno mai quello che vogliono.
Non so da dove mi fosse uscita quella frase ma mi rappresentava bene.
Vidi un sorriso timido sul suo volto. - Tu sei solo sfigata.
Scoppiammo a ridere, reazione probabilmente dovuta alla situazione assurda che stavamo vivendo. - Oppure non sai scegliere. - Concluse Lia ancora col sorriso.
- È solo che...
- Non pensavi andasse a finire così?
Lo sguardo della riccia esprimeva esattamente le nostre emozioni; neanche noi capivamo come fosse potuto accadere.
- Io credevo che...
- Fosse quello giusto? - Conclusi io rivolgendole un altro sorriso.
- Mi fate finire di parlare?!
Ancora ridendo per la sua finta rabbia, ci accoccolammo vicino a lei e per un attimo mi sembrò di essere tornata ad un nostro pigiama party.
- Io non...
Questa volta nessuno la interruppe, semplicemente le parole le morirono in bocca.
Ci stringemmo ancora di più a lei.
- Non sarò in grado di fare la mamma.
Non avevamo mai visto Elena in quelle condizioni e la sua versione fragile e umana mi faceva ancora più paura di quando era arrabbiata.
- Sei forte, lo sei sempre stata.
Questa Amelia più matura e responsabile mi piaceva molto; era una spalla di supporto.
- E poi ci siamo noi.
Entrambe mi guardarono confuse e, dopo un attimo di silenzio, la biondina prese parola.
- Ma tu vuoi andartene. Abbiamo visto il biglietto.
Mi missi a fissare la parete davanti a me.
Una delle mie più care amiche aveva bisogno di me e non potevo scappare per sempre.
- Non ho più niente a Milano, che cosa cambia restare qui?
- E Michele?
Era il modo di Lia di scusarsi ed aver architettato tutto, lo sapevo bene.
- Dovrà farsene una ragione e, prima o poi, si abituerà alla mia presenza. - Feci un grande sorriso ad entrambe. - In ogni caso non ho più intenzione di abbandonare nessuno.

Quando, dopo una maratona di Twilight e tante schifezze comprate al supermercato h24 più vicino, Elena finalmente si addormentò, io e Lia tornammo nelle nostre stanze.
Dopo quella lunghissima giornata, mi buttai sul mio letto di fortuna, ovvero un materasso a terra, che le ragazze avevano preparato in quella che sarebbe diventata mia mia stanza.
Circondata dalle scatole, provai a fare mente locale di tutto quello che era accaduto ma erano troppe informazioni.
Presi il cellulare che segnava 4.37 e notai diversi messaggi da Martino al quale avrei risposto il giorno dopo.
Tutte le scatole in giro, che mi circondavano, non facevano altro che evocare brutti ricordi come il trasloco di sette anni prima.
Ormai tutto mi ricordava lui. Era una cosa che in tre anni non ero riuscita a cancellare nemmeno andando dalla psicologa e ora che il suo fantasma si era palesato, ora che lo avevo rivisto, quel muro contro le emozioni che avevo costruito a fatica, che era sempre stato abbastanza traballante, aveva deciso di distruggersi del tutto.
Dopo qualche lacrima amara, caddi finalmente in un sonno pesante.

(Un)happier than everDonde viven las historias. Descúbrelo ahora