XIII

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L'ospedale era dalla parte opposta della città, così il viaggio in pullman durò abbastanza per far sì che i miei amici si svegliassero in tempo per leggere i miei messaggi.
- Con chi stai chattando? - Chiese incuriosito Michele cercando di ridacchiare.
Per evitare che mi scoprisse, entrai sulla chat di mia sorella, che ancora non mi aveva fatto gli auguri, e gli risposi con malizia. - Sapessi.
Il viaggio passò abbastanza silenzioso per lo più per il fatto che Michele si addormentò e, purtroppo, per tutta la durata del tragitto, non feci altro che osservarlo, cosa che a tratti mi innervosiva e a tratti mi metteva a disagio.
Mi ero ripromessa di non innamorarmi di lui e alla fine ci ero cascata. E nonostante fossi consapevole dei suoi sentimenti nei miei confronti non potevo permettermi di farlo entrare in quel casino che era la mia disastrosa vita.
Quando arrivammo nella nostra via, lo svegliai con dolcezza cercando di non toccare punti dove avesse lividi, il che risulto molto difficile.
- Mic, dobbiamo scendere.
- Dovresti svegliarmi più spesso. -Rispose lui ancora assonnato.
-Tu stai ancora dormendo - Controbattei raggiungendo la porta posteriore, seguito dal mio coinquilino.
Lo accompagnai per tutto il tragitto fino a casa assicurandomi che non cadesse e cercando di non tenerlo per punti che potessero provocargli dolore.
Quando arrivammo alla porta la aprii senza usare le chiavi e alzai gli occhi sperando che i nostri amici non l'avessero lasciata aperta tutta notte.
Michele se ne accorse subito ma non fece in tempo a dire nulla che loro urlarono dal centro esatto del nostro salotto!
- Sorpresa!
Gli corsero subito incontro ma non lo abbracciarono per evitare che si facesse male poi lo fecero sedere sul divano.
In poco tempo, avevamo legato moltissimo ed eravamo diventanti un gruppo molto unito; inutile nettare che mi vergognavo molto dei pregiudizi che avevo avuto nei suoi confronti e in quelli di Niccoló.
Presi il cellulare in mano; ancora nessun messaggio da nessun membro della mia famiglia.
Ecco qual era la differenza tra nelle nostre famiglie: la sua organizzava feste di bentornato e la mia si dimenticava il giorno del mio compleanno.
Notai, subito dopo, che mancava una persona e senza farmi vedere da mio coinquilino, andai a chiedere ad Elena, che era la più vicina a me.
- Simona dov'è?
- Non l'abbiamo invitata. - Rispose sottovoce.
- Perché?
Io non ero stata altrettanto attenta a mantenere un tono di voce basso.
- Perché cosa?- Mi domandò Michele dall'altra parte della stanza.
Per quale ragione non sapevo controllarmi e la mia voce era così squillante e acuta?!
-No, niente. - Gli urlai sfoggiando il sorriso più falso di sempre.
- Dammi il numero. - Dissi poi alla mia amica quando fui sicura che il mio coinquilino non ci stesse guardando.
- No. Non la vogliamo. - Continuò imperterrita lei.
Senza farmi notare, la trascinai in terrazzo affinché potessimo avere una conversazione senza risultare troppo sospettose.
- Neanche io, Ele. Ma è la ragazza di Mic e visto che la festa è per lui dobbiamo invitarla. - Proseguii imperterrita anche se, il solo pensiero di vederla vicino al mio amico, mi faceva venire una certa fitta allo stomaco.
D'istinto, osservai la piscina dove solo un paio di giorni prima si stavano baciando e mi rattristii. A distogliermi dai miei pensieri fu una domanda di Ele.
- Mic?
Il tono della sua voce era malizioso e divertito.
- Si. Ora dammi il numero. - Risposi indispettita.
Rassegnata, obbedì e mi strappò il telefono dalle mani scrivendo le cifre con tutta la calma del mondo, facendomi innervosire maggiormente.
Poi uscii osservandomi e finalmente chiamai la capo Chearleeder.
- Ciao Simona.
- Che vuoi? - Rispose lei acida. Decisi di ignorare il suo modo di fare e di essere superiore per una volta. Non volevo farle sentire che, ancora una volta, ero gelosa di lei.
- Stiamo facendo una festa per Michele. Vuoi venire?
- Perché non me l'avete detto prima? È il mio ragazzo e perciò...
La bloccai sul nascere. - SI O NO?
La risposta tardò ad arrivare, ci mise un paio di secondi e, per un solo istante, sperai dicesse di no.
- Arrivo.
E mi attaccò il telefono in faccia.
- È insopportabile. - Sussurrai fissando il prato davanti casa, sperando quasi il vento potesse darmi ragione.
Una voce allegra alle mie spalle mi fece sobbalzare per lo spavento facendomi cadere il telefono di mano.
- Chi?
Sempre nel momento sbagliato.
- Mic - Dissi sorridendo raccogliendo il cellulare e cercando un modo per sfuggire a quella conversazione. - Chi cosa?
- Chi è insopportabile?
Avrei voluto davvero seppellirmi ma mi feci coraggio e gli sorrisi cercando di far finta di nulla.
- Nessuno. - Ma l'imbarazzo era evidente così cambiai subito argomento. - Allora, entriamo?
Lui annuii e mi trascino dentro tenendomi per mano; feci finta di non averlo notato.
Trovammo i nostri amici seduti sul divano divisi a coppie.
Avrei tanto desiderato andarmene in camera mia perché, nel momento in cui sarebbe arrivata Simona,  sarei rimasta da sola, come sempre.
Questo pensiero mi fece venire un po' di malinconia ma lo scacciai subito poiché avevo notato che Michele mi stava osservano con un misto di curiosità e perplessità.
- Venite a giocare? - Chiese Riccardo che stava giocando coi biondi capelli della stessa ragazza che mi stava guardando male.
- A cosa? - Domandò curioso il mio coinquilino.
- Obbligo o verità. - Continuò lei senza distogliere lo sguardo omicida da me.
- Arrivo. - Rispose lui entusiasta, allontanandosi da me, raggiungendoli.
Se volevo fingere un malanno, quello era il momento giusto. Ma non l'avrei data vinta a Simona ancora una volta.
- Allora? - Mi fissò Lia in attesa.
- Arrivo. arrivo. - Dissi alzando gli occhi al cielo, arrendendomi. La mia possibilità di fuga era appena andata in fumo.
Perché tra mille passatemi, proprio questo gioco?
Lo detestavo con tutta me stessa perché lo trovavo solo un modo per mettersi in ridicolo davanti agli altri, per mostrare la propria parte più vulnerabile perché, per quanto ci provassi, non ero in grado di mentire, nemmeno se si trattava di Obbligo o Verità.
Non feci in tempo a sedermi che suonò il campanello.
- Vado io. - Dissi alzandomi nuovamente,  raggiungendo la porta; sapevo chi stava per entrare.
Non appena la aprii, un tornado chiamato Simona entrò in casa con la sua solita maleducazione al seguito.
- Ma quando ci metti? - Disse lanciandomi in mano la sua borsa che per poco non mi colpì in faccia. Dopodiché si diresse dal mio coinquilino, non prima di avermi fucilata con lo sguardo. - Amoruccio caro!
Lui mi guardò confuso e io distolsi lo sguardo imbarazzata.
- E questa chi l'ha invitata? - Chiese perplesso.
- Io. - Continuai desiderosa di essere altrove non muovendomi da dov'ero; sentivo i piedi fissato al pavimento con la colla.
- E perché scusa? - Domandò ridendo.
Io ed Elena ci guardammo e per fortuna prese parola lei perché altrimenti avrei iniziato a balbettare per l'ansia. - È la tua ragazza.
- No, non lo è.
- Si, invece. - Continuammo all'unisono io e la bionda che si senti chiama in causa.
- No, invece. L'ho lasciata.
Guardammo Simona imbarazzati, soprattutto io. L'unica parola che mi viene in mente per descrivere quel momento? Disagio.
Michele mi guardava con viso curioso e divertito, pensando a quanto, ancora una volta, avessi dimostrato che tenevo a lui più di quando volessi ammettere.
Fu un brutto colpo da digerire ma, per quanto fosse crudele da parte mia, provai un immenso sollievo quando lui ammise che tra i due fosse finita; mi stavo comportando da egoista, ne ero consapevole, ma forse i miei sentimenti per lui erano più forti di quanto volessi ammettere.
Il viso della ragazza assunse una sfumatura rosso carminio, decisamente in netto contrasto con il suo incarnato naturale.
Quello che non sapevamo era che la conversazione stava per diventare parecchio assurda. 
- Solo io posso lasciare le persone, chiaro? Non posso essere lasciata. Decido io, QUANDO, COME e PERCHÉ! - Prese un respiro profondo cercando di distendere le piccole rughe che le si stavano formando sul volto poi proseguì. - Non mi interessa se io non ti piaccio, ok? Tu non mi interessi anche perché, diciamocelo, Nicolò era molto meglio. Mi interessa solo la tua popolarità. Quindi decido io quando mollarti, ok?
Notai immediatamente lo sguardo divertito tra i due amici; Nico, dopo essersi sentito chiamato in causa, stava tentando di trattenere le lacrime.
- No. - Disse Michele fingendo noncuranza; o forse non stava fingendo. Non distolse mai lo sguardo da me che ero rimasta impalata davanti alla porta e stavo tentando di nascondermi dietro la borsa della ragazza per via dell'imbarazzo.
- COME NO?!
Dovemmo tapparci le orecchie e credo di non aver mai sentito un acuto così forte in vita mia. Avevo finalmente trovato qualcuno che possedeva una voce più stridula della mia. 
- Io ti ho già lasciata.
- Non è vero.
- Si invece. E Chiara più testimoniarlo.
Diventai ancora più rossa in viso ed era evidente non potessi essere a suo favore, altrimenti non l'avrei mai invitata.
Lei non se ne accorse e, avendo paura potessi metterla in imbarazzo, cambiò tattica.
- A me non va bene. Io non sono mai stata lasciata, chiaro?
- Ma che cosa stai dicendo? - Prese parola Nicolò, la quale frase fu quasi incomprensibile a causa delle grasse risate che si stava facendo.
- Tranne una volta, ok? Ma una basta e avanza. - Rispose visibilmente imbarazzata.
Chissà quante volte in realtà le era successo; con un carattere del genere, non ne dubitavo affatto.
- Tu non mi interessi. - Continuò il mio coinquilino, quasi con freddezza. - Ora, se accetti di essere stata mollata dal sottoscritto tutto sarà molto più semplice.
Lo disse con una tranquillità e noncuranza, forse addirittura menefreghismo, che mi spiazzò.
Io, Ele, Lia e Ricky guardavamo la discussione cercando di capire chi la potesse spuntare mentre Nicolò rideva sotto ai baffi, probabilmente conoscendo già l'esito.
A prendere parola fu di nuovo Michele, che però continuò ad osservare me mentre parlava.
- Lo so, è difficile accettarlo. Troppa bellezza e intelligenza in un ragazzo solo.
È arrivato mister Modestia, fu il mio pensiero istintivo ma, nonostante l'assurdità del momento, trattenni a stento una risata.
Simona rimase a bocca aperta, evidentemente incredula che qualcuno avesse il coraggio di respingerla.
- Ehi bellezza, chiudila prima che ci entrino le mosche. - Poi tornò a guardare me e ridacchiò. - Poteva essere una battuta molto più cattiva.
Cercai di non scoppiare a ridere e di mantenere un'espressione seria, quasi disinteressata.
Dopotutto non potevo mettermi a ridere in un momento così importante: Simona stava venendo lasciata sotto i miei occhi. Quanto avevo aspettato questo momento? Anni, indubbiamente.
La capo-cheerleeder iniziò ad urlare in preda ad un crisi isterica e ringraziai mentalmente i vicini che, fortunatamente, non ci denunciarono per disturbo della quiete pubblica, dopodiché prese la borsa e, sbattuta la porta, se ne andò.
Tirammo tutti un sospiro di sollievo e notai che mi stavano osservano così cercai subito di cambiare argomento.
- Ma che fai? - Chiesi sedendomi sul divano. - Ricicli le battute?
- Pensavi che le facessi personalizzate per ogni ragazza? Sarebbero troppe. - Disse dandosi delle arie, con tono scherzoso.
Lo spinsi con malizia e nei suoi occhi vidi quasi speranza, poi si sedette accanto a me.
- Si, ti piacerebbe... - Continuai stuzzicandolo.
- Cavolo, scherzano pure insieme... - Disse Nicolò. - Gabri aveva ragione.
Mi girai di scatto. - Gabri?
Cosa centrava il mio migliore amico in quella conversazione?
- Abbiamo fatto proprio un bel lavoro. - Concluse Amelia battendo il cinque, tentando di tirarlo fuori da quell'impiccio. Ma il mio sguardo era evidente: ora volevo sapere.
- La smettete? - Chiesi sbuffando.
Io e Michele? Sentii una sensazione all'altezza dello stomaco ma decisi di non darci peso e trattenni il mio sguardo su Nico che si arrese.
- Avrei volturo dartelo quando eravamo da soli. - Disse lui passandomi una scatola che aveva tirato fuori dallo zaino in quell'istante stesso. - Auguri Chiara.
- Auguri? - Domandò il mio coinquilino incredulo.
Ma io ero troppo concentrata sul regalo per potergli rispondere.
Osservai il bigliettino: era la scrittura di Gabriele.
- Lo apro più tardi. Grazie Nico.
Lui mi sorrise.
- Auguri? - Continuò imperterrito Michele che non capiva cosa stava accadendo.
Feci un cenno negativo ai miei amici ma non mi ascoltarono ed Ele prese parola.
- È il suo compleanno.
Lui mi guardò. - Oggi?
- Ieri.
Lui mi fissò e, vedendo quell'espressione sul suo voto, capii immediatamente che avrei dovuto stare zitta.
- Scusami, se solo avessi saputo...
Lo interruppi sul nascere. - Non importa.
- Caspita, come cambia il mondo... - Disse Ricky, divertito, che ci stava studiando con particolare attenzione.
- Perché? - Domandai incuriosita.
Non pensavano davvero che io e Lorenzotti formassimo una bella coppia, vero? Non era possibile nutrissero quelle speranze o, per lo meno, me lo auguravo perché avrei portato solo grandi delusioni. 
- Perché era contro ogni tuo principio parlare civilmente con Lorenzotti Michele. Adesso addirittura ci scherzi... - Continuò lui facendo diventare il mio viso paonazzo.
Deicidi di rispondere.
- Già. Eppure era contro ogni principio di Elena avere un ragazzo e contro ogni principio di Amelia mettersi con uno un anno più piccolo. Ed eccoci qui. - Dissi ammutolendo non solo Riccardo, ma anche le mie amiche, che mi tirarono un cuscino, rabbiose.
- Ah, è così? - Domandò ironico Nicolò iniziando a scherzare, guardando con dolcezza la sua ragazza.
- Si, potrebbe essere vero. - Ammise Lia ridacchiando e rimanendo sul vago. Quei due si piacevano davvero e formavano una bellissima coppia.
- E se è per questo, Chiara, anche tu lo consideri un problema. - Continuò lei.
- Infatti io non ho un ragazzo.
Mi morsi la lingua perché, come al solito, avevo parlato più del dovuto.
- E quale sarebbe il problema? - Domandò Michele visibilmente colpito.
Sembrava quasi ferito e fui immediatamente aggredita dai sensi di colpa.
Non potevo averlo detto veramente, non dopo averlo già rifiutato una volta.
- Ma io non lo penso.
Fu la prima risposta che mi venne in mente ma era era evidente che fosse solo una bugia.
- Nooo. - Dissero in coro Amelia ed Elena. Odiavo quando facevano così.
- Non è vero. - Mi girai verso Michele in preda ai sensi di colpa. - Non è più vero.
Ma cosa stavo dicendo? Alzai gli occhi al cielo e cercai di nascondermi dietro ad un cuscino.
Lui mi sorrise. - In che senso non lo è più? - Disse ammiccando.
- Non lo è mai stato. - Risposi col broncio, tirandogli il cuscino.
Avrei dovuto cogliere l'occasione prima e fuggire in camera quando ne avevo avuto l'occasione. 
Poi mi venne l'idea più stana della mia vita consapevole fosse l'unico modo per distogliere l'attenzione da me. 
- Giochiamo a Obbligo o Verità, si o no?
Okay, non fu una delle mie idee più brillanti e i miei amici mi fissarono sbigottiti.
Io che proponevo una cosa del genere? Se mi conoscevi bene, capivi al volo che l'avevo fatto per salvarmi in corner.
- Va bene ma inizi tu. - Prese parola Lia. - Obbligo o verità?
Mi arresi sbuffando un po'; stava diventando il giorno peggiore della mia vita.
- Verità.
Meglio dire che fare, pensai. Se mi avessero detto "bacia Michele?" Come avrei potuto tirarmi fuori da quell'impiccio senza ferirlo ancora?
La mia scelta era stata decisamente la più saggia.
- Prima hai detto "non è più vero." -  Disse facendo le virgolette con le dita. - Vuol dire che ti piace Michele?
Quanto le odiavo quando facevano cosi; non stavano mai dalla mia parte.
Al momento ero più nei guai di prima; non potevo dire di sì perché sarebbe stato come ammetterlo anche a me stessa, cosa che non doveva assolutamente accadere, ma non potevo neanche dire di no. Non volevo tirare di nuovo questo colpo al mio coinquilino, non se lo meritava.
- Chi lo sa.
I miei amici sbuffarono e si lamentarono sostenendo più e più volte che la mia risposta non poteva essere considerata valida.
Il mio coinquilino mi sorrise. - Mi accontento di questa risposta.
Ricambiai il sorriso, ringraziandolo mentalmente e tutti alzarono gli occhi al cielo.
Ignorandoli, presi parola. - Mic, obbligo o verità?
- Verità.
Avrei avuto davvero un migliaio di domande da porgli ma optai per la prima che mi venne in mente,  che fu probabilmente anche la più stupida.
- Perché ti sei preso una cotta per me, me lo spieghi?
Tutti mi fissarono confusi, lui per primo.
- Ma che cavolo di domanda è?
Dovevo capire cosa gli piaceva di me e probabilmente era davvero un'idea stupida e immatura ma non avrei trovato il coraggio di domandarglielo in altri modi.
Non mi interessava che fossero presenti i nostri amici, dopotutto erano proprio loro che volevano vederci insieme.
- Che cosa ti piace di lei? - Disse Lia.
Grazie, fu il mio pensiero; se avessi dovuto spiegarlo io, sarei fuggita via per l'imbarazzo.
- Ah. -Non ci pensò neanche un attimo. - Sei bella, simpatica, aiuti sempre i tuoi amici, sei forte, sei...
- Okay, okay, concetto afferrato. - Dissi ridendo evidentemente in imbarazzo. - Comunque mi conosci appena.
Poi mi avvicinai e gli diedi un bacio sulla guancia. Tutti mi fissarono ma nessuno ebbe il coraggio di dire qualcosa e io feci finta di nulla.
Probabilmente il pugno alla tempia doveva aver fatto più danni di quando credessimo.
Il resto del pomeriggio trascorse tra chiacchiere varie, scherzi e risate. Per la prima volta mi sentii accolta in gruppo e fui davvero contenta di quel cambio repentino nella mia vita nonostante detestassi i cambiamenti.
Sia per pranzo che per cena ordinammo d'asporto e fu bello, per un giorno, non pensare che casino fosse la mia vita.
Intorno alle dieci, i nostri amici se ne andarono e noi due rimanemmo da soli in casa.
Mi misi a raccogliere i vari cartoni della pizza quando lui chiude la porta.
- Avrei voluto saperlo.
- Cosa? - Domandai voltandomi di scatto, non accorgendomi di averlo dietro di me.
Dallo spavento, lasciai cadere a terra i cartoni che lui raccolse l'istante dopo.
- Che ieri era il tuo compleanno.
- Tranquillo, non festeggio mai.
In preda a quel ricordo, recuperai il mio telefono e notai che la mia famiglia non si era ancora preoccupata di inventare una scusa. .
- Perché?
Odiavo quando diventava insistente su questioni che consideravo personali.
- È un giorno qualunque.
Lui osservò il telefono che avevo appena posato sul piano di marmo della cucina.
- Da chi stai aspettando gli auguri?
- Nessuno, davvero.
Rimase in silenzio per un po' e si sedette sulla sedia, poi riprese a parlare.
- Se l'avessi saputo non l'avrei picchiato. Non ieri, per lo meno.
Mi arresi, avrebbe insistito fin quando non avrebbe avuto la risposta che desidera.
- Sto aspettando gli auguri dai miei genitori.
Lui rimase sorpreso. - Non te li hanno ancora fatti?
Sbuffai con una punta di tristezza. - Non me li fanno mai.
Mi prese per mano e mi trascinò sul divano e mi abbracciò.
- Avrei voluto saperlo.
- È un giorno qualunque per me.
Lui mi strinse ancora più forte. - E l'hai passato in ospedale a causa mia.
Il silenzio in casa era quasi spaventoso. Si udiva solo il vento picchiare sulle vetrate in vetro ed ero contenta di essere lì con lui.
- Lo penso davvero.
- Cosa? - Chiesi voltandomi verso di lui.
- Quello che ti ho detto oggi. Sei più bella di quanto credi, sei davvero molto simpatica, hai sempre fatto di tutto per i tuoi amici.
- Ripeto: non mi conosci affatto.
Per quanto fosse assurda quella conversazione, non avrei mai voluto terminasse. - Sulla bellezza non sta a te giudicare.
Lo interruppi subito. - Sono obbiettiva. Ho il naso storto, porto gli occhiali, ho sempre i capelli in disordine, per non parlare del mio fisico.
Ma lui non si arrese. - Sei molto simpatica e me lo stai dimostrando sempre di più.
- Ma non ho fatto altro che avere pregiudizi su tu te.
- Tutti sbagliano, Chiara.
Sbuffai; quella conversazione stava rasentando il ridicolo.
- Non mi conosci affatto.
Lui mi sorrise o così vidi riflesso nelle vetrate; non avevo il coraggio di voltarmi. - Questo è quello che credi tu.
- Ah si?
- Ti studiavo. Quando stavi con Gabriele soprattuto.
- Non sono quello che stai cercando, credimi.
Mi allontanai dal suo abbraccio e mi alzai recuperando la scatola che mi aveva dato Nico.
- Devo essere io a deciderlo.
- Non farmi dire di no un'altra volta, per favore.
E mi allontanai cercando di non osservare il suo volto che sapevo già essere ferito.

(Un)happier than everDove le storie prendono vita. Scoprilo ora