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Michele insistette col fare una passeggiata lungo la Senna, giusto per alleggerire un po' la serata.
Io non ero affatto concorde ma mi sembra stupido sentenziare su una cosa così futile così, dopo vari tentennamenti, mi arresi.
Il vento era pungente e anche Parigi sembrava un po' in attesa della nostra conversazione; era come se tutto si fosse fermato per consentimi di parlarmi.
L'aria era fredda ma ciò nonostante avevo le mani sudate e mi sembrava di stare in una sauna.
Mi dispiaceva pensare che poco dopo gli avrei fatto del male, ovviamente solo se ci teneva davvero a me, ma ero giunta ad un limite oltrepassato ormai troppe volte.
Dovervi farla finita perché era tutto così assurdo e tossico; era quella tipica storia che io avrei giudicato male.
Adesso che ci ero dentro era ancora peggio perché nonostante mi rendessi conto della posizione orribile nella quale mi trovano, ero tentata di non uscirci.
Dall'esterno sembrava tutto così facile; perché mi ero messa di nuovo con lui se già mi aveva ferito? Perché trovavo così difficile lasciarlo se mi aveva tradito?
La risposta era una: perché lo amavo e mi odiavo per questo.
Durante la passeggiata tentò varie tecniche di approccio, tutte fallimentari, perché rimasi fredda e distaccata.
Vedevo la sua espressione ma, alla fine, questa situazione l'aveva creata lui.
Allo stesso tempo, però, non riuscivo a credere di doverlo lasciare; fino a quella stessa mattina, era riuscito a riavere la mia totale fiducia e,
in un attimo, l'aveva fatta crollare.
Mi sentivo come una torre del Jenga quando si toglie il pezzo sbagliato e in un secondo crolla tutto.
Io lo amavo nonostante tutto quello che mi aveva fatto e lasciarlo era una cosa che mi faceva male. Ma, allo stesso tempo, ero anche stanca di soffrire, stufa di starci male la notte e non volevo far parte di una relazione tossica; era l'ultima cosa che mi serviva nella mia vita.
Ad interrompere il filo dei miei pensieri fu proprio lui.
- Ehi, Cenerentola. Non mi stai neanche ascoltando. - Disse fermandosi e prendendomi la mano.
Cercai di fissarlo negli occhi ma, più ci provavo, più i miei si riempivano di lacrime. Mi sentivo stupida è inerme allo stesso tempo. - Io devo parlarti.
Lui noto la mia faccia seria e, il sorriso che aveva sul volto si spense. Attesi che dicesse qualcosa ma, poiché non arrivò mai una risposta da parte sua, presi nuovamente parola io.
- Michele, io non so quando ti sia cambiato così tanto, ma...
Lui mi interruppe subito e assunse un'aria confusa. - Che cosa intendi?
C'era anche da chiedere? O forse ero io quella che era cambiata troppo per accettare certe cose. Magari si era sempre comportato così, anche la prima volta che eravamo stati insieme e io ero stata così cieca da non rendermene conto.
- Sei, sei... Come trovare il termine giusto per non ferirlo troppo? Era come se le parole mi morissero in gola, troppo gravi per essere pronunciate davvero. - Sei un po' troppo... evasivo?!
Lui mi fissò ma stette in silenzio così trovai il coraggio di fissarlo negli occhi e ripresi a parlare.
- Io non credo di riuscire a farcela. - Se prima mi sembrava che tutto si fosse fermato, adesso era come se tutto corresse più veloce, persino le luci della Torre Eiffel brillavano troppo in fretta da farmi girare la testa. - Dopo che mi hai lasciata sull'altare avevo giurato a me stessa di non perdonarti. Mi ero detta che tutto ciò avrebbe portato solo a conseguenze peggiori ma ho deciso di farlo: ho deciso di darti la mia fiducia ed eccomi qui, nuovamente ferita e nuovamente con le lacrime agli occhi. - Singhiozzi ma mi diedi immediatamente una calmata. Forse non ero forte come credevo. - Lo so che ti sembrerà stupido affidarmi ad una frase detta sette anni fa; eravamo io quindicenne e tu quattordicenne! Eppure era tre anni che mi svegliavo e mi ripetevo la frase che mi dicesti: Non ti farei mai del male. La ripetevo e mi chiedevo per quale diavolo di motivo tu l'abbia fatto e, ad essere sincera, ancora non capisco.
Aveva le lacrime agli occhi e mi sentivo incredibilmente cattiva anche se era la cosa giusta da fare.
- Ma Chiara...
- No, - Lo bloccai immediatamente - fammi finire o non troverò più il coraggio di dirtelo.
Annuii sottomesso e continuai col mio discorso.
- Anzi si invece, non ti sono mai interessata veramente.
- Questo non è vero.
Il suo volto era rosso e sapevo che stavo dicendo falsità o, almeno, ci speravo.
- Quando ieri ho deciso di riporre nuovamente in te tutta la mia fiducia mi sono sentita finalmente felice. Felice che tutte le parole che mi sono ripetuta per tre anni non sono state vane, felice che tutto quello che c'è stato non é stato una menzogna. Ma quando questa mattina ho visto che ci sei stato alle avance di Genevieve senza crearti grandi problemi, mi sono sentita esattamente come tre anni fa.
Non l'avevo mai visto così ferito e questo mi faceva male, ma, d'altronde era lui che aveva creato tutto ciò.
- Io... - La voce era tremante e non l'avevo mai visto così a pezzi, nemmeno quando aveva confessato di sentirsi colpevole per la morte di Gabri. - Io ho avuto paura, come tre anni fa.
Vedevo che la gente intorno a noi si stava fermando a fissarci e, a essere onesti, avevo il terrore che spuntasse da qualche parte Davide.
- Paura di che cosa?
Mi fece cenno e ci accomodammo su una panchina lì vicino.
- Io non lo so, è una sensazione che mi prende. Non so controllarla.
- Tu capisci che non posso stare con uno che non sa nemmeno dirmi perché mi lascia?
Il vento gli mosse un po' i capelli che gli si appiccicarono al volto, ancora bagnato dalla lacrime.
- È finita? - Domandò con il magone.
- Non credo sia mai iniziata.
Mi dispiaceva vederlo così ma Martino aveva ragione; non potevo dipendere sempre dalle sue scelte sbagliate. Ci avevo messo così tanto per riconquistare me stessa e non dovevo permettere a nessuno di privarmi della mia felicità.
- Lo so. Sono stato stupido. Non hai ragione di perdonarmi ma non posso pensare di andare avanti sapendo di aver ricevuto il tuo perdono e averlo buttato così all'aria. Dammi un'ultimissima possibi...
Lo interruppi nuovamente. Non volevo sentire più niente altrimenti avrei ceduto.
- No, Mic. Basta. È finita.
Che ci credesse o meno, era difficile anche per me. Volevo rimangiarmi tutto, dire che era tutto una scherzo stupido, dirgli che mi mancava, tornare a casa insieme, magari guardare un film e addormentataci l'una tra le braccia dell'altro. Ma non era possibile; non c'era più un noi altrimenti saremmo diventati come i protagonisti di quelle storie che tanto trovavo stupire.
- Non ci vedremo mai più?
Sembrava che questa ipotesi lo spaventasse più di tutto il resto.
Il rosso mi aveva detto di tagliare tutti i ponti ma se ero riuscita a perdonare Martino e restarci amica, perché non avrei potuto perdonaste anche lui?
- Saremo semplicemente amici.
- E come si fa? Siamo passati da nemici a fidanzati, a nuovamente nemici e poi nuovamente una coppia . Cercò di ironizzarci su ma non fu per niente divertente.
- Ci comporteremo come sempre.
Da qui in poi non sapevo più come comportarmi. Era una storia nuova; la prima rottura, per certi versi, era stata più semplice. Non l'avevo più visto.
- Come sempre?
Mi corressi immediatamente. - Solo con due differenze: niente contatto fisico e mi presenterai le tue ragazze. - Conclusi facendogli l'occhiolino.
Una lacrima tentò di solcarmi il viso ma fu bloccata da una carezza di Michele.
- E tu i tuoi. Disse in tono scherzoso, nonostante si vedesse lontano un miglio la sua tristezza. - MA dovrai consentirmi di essere geloso.
- Ho perso fiducia nella razza maschile. - Quel commento lo ferì ma niente era mai stato più vero. Certo, era anche per colpa sua ma la mia misandria era cominciata diversi anni prima e non a causa sua. - Farò la zitellona acida del gruppo che sarà dolce solo con i figli di Ele, di Lia e con quelli della tua ragazza.
Mi morsi il labbro con forza nell'udire le mie stesse parole; da quando ero diventata così crudele pesino con me stessa.
Sentii il sapore ferroso del sangue in bocca e allentai la morsa.
Lui rimase impressionato. - Lo sai che la cosa che hai appena detto è la più crudele che potessi mai dire?
Annuii ma non aggiunsi altro.
- Ti stai tirando la zappa sui piedi.
- Sarà crudele ma è realistico.
Lui mi prese anche l'altra mano con dolcezza. - E se la ragazza fossi tu e i figli fossero i tuoi?
Staccai le mani bruscamente e mi allontanai di scatto.
Non poteva avermelo detto veramente.
- No! - Mi mancava l'aria dai polmoni infatti le parole uscirono quasi soffocate. - Avevamo già chiuso questo argomento, mi sembra.
Lui annuì ma non si scoraggiò. - Qui l'unico che dovrebbe soffrire, dovrei essere io e invece è tutto il contrario.
- Non dire così. - Gli sorrisi; in quel momento vidi il ragazzo della quale mi ero innamorata. - È sempre dovuto essere così. Tu hai sempre avuto successo e io sono sempre rimasta sola. In più ci sarà una ragione se all'inizio ti odiavo. - Dissi facendo un'occhiolino divertito.
- Sarà. - Rividi in lui un attimo uno sguardo carico di soddisfazione, come se avesse avuto un lampo di genio. - Tra amore e odio la barriera è sottile.
Perché non si arrendeva all'evidenza?
- E infatti io adesso ti amo. È sette anni che è così. Ma questa storia non ha senso di esistere.
- Ma Chiara... - Lo stroncai sul nascere. Non potevo resistere più di così; stavo già crollando. Se avesse insistito ancora un po' avrei ceduto.
- Amicizia o niente. - Gli porsi la mano. -Amici?
Lui annuì abbattuto. - Amici. - Ci pensò su poi riprese parola. - Posso abbracciarti?
Diventai bordeaux e capii immediatamente dove stesse andando a parare.
- L'hai detto anche tu ieri. Anche tra amici ci si abbraccia. - Concluse divertito.
Annuii e lentamente mi abbracciò. Senti il suo corpo a contatto con il mio. Le sue braccia forti, i suoi capelli, tutto. Restammo cosi per un po', nessuno dei due volte va allontanarsi realmente dell'altro. Fu lui a proporre di tornare a casa.
Fuori dal portone, lo ringraziai e gli sorrise quando, dopo un cenno sfreccio via sulla sua macchina nera opaca. Non mi era sfuggita, però, la lacrima sul suo volto.
Mi mancava già.

(Un)happier than everDove le storie prendono vita. Scoprilo ora