II

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Come già detto, mi é capitato diverse volte di finire in presidenza. Non ho mai commesso infrazioni gravi; la maggior parte dei richiami é dovuto ai miei articoli sul giornalino, alle mie proteste a favore della comunità LGBTQ+, spesso non troppo pacifiste, e alle mie occupazioni in ricordo di Gabriele.
Sono decisamente una piantagrane e ciò è dovuto al mio carattere schietto e impulsivo.
Realmente, queste non sono le uniche ragioni per qui ho frequentato l'ufficio della preside; è capitato diverse volte di essere stata una delle scommesse di Michele, cosa che ci ha portato a discutere e a frequentare questo posto.
La sua famiglia é particolarmente ricca e gran parte dei fondi scolastici sono presi dal suo patrimonio, cosa che lo ha sempre avvantaggiato e lo ha sempre portato ad evitare le punizioni.
Non appena la preside ci vide, alzò gli occhi al cielo, stufa di doverci sgridare almeno due volte al mese.
- Bianchi, Lorenzotti, é sempre un piacere vedervi. - Disse col suo strano accento Italo-americano, indicandoci le due sedie davanti a se.
Noi ci accomodammo, abituati a quel rituale. La donna fece finta di non vedere il sangue sulla divisa del giocatore di basket, almeno per il momento; obiettivamente la preside aveva sempre provato una strana simpatia nei miei confronti, soprattutto dopo la morte del mio migliore amico.
Probabilmente pensa sia pazza e crede che il modo migliore per gestirmi sia assecondare tutte le mie stranezze.
- Come mai Michele é sporco di sangue, signorina Bianchi?
Mentire non sarebbe servito a niente, tanto una sospensione era praticamente assicura. - Ha fatto l'ennesima scommessa e l'ho picchiato.
La donna volse lo sguardo verso il ragazzo, passandogli del ghiaccio istantaneo che aveva appena recuperato da uno dei cassetti dell'enorme scrivania in rovere.
- Quante volte le ho detto che la ludopatia é una malattia? - Gli disse scherzosamente.
- È un gioco. Sono scommesse innocenti. - Rispose lui volgendole l'ennesimo sguardo magnetico.
La donna non si lasciò affascinare e volse nuovamente lo sguardo su di me. - Su cosa ha puntato i suoi soldi?
- Voleva dimostrare di riuscire a baciarmi davanti a tutti.
- E ci sono riuscito. - Continuò lui facendomi  un'occhiolino, parecchio compiaciuto. - E poi tu sei così frigida.
Se non fosse stato per la presenza della preside mi sarei alzata volentieri a concludere il lavoro iniziato poco prima.
- Signorino Lorenzotti, attento con le parole. - La donna continuò a fissarlo un po' delusa, cosa che non era mai accaduta prima di allora. - E non é carino violare lo spazio personale di una persona.
La preside allungò la mano e aspetto che il ragazzo le porgesse la banconota da cinque euro, vinta poco prima.
- Nonostante la rissa, ho deciso che stavolta non prenderò provvedimenti e nessuno finirà in punizione. - Mi fissò coi suoi grandi occhi neri. - Signorina Bianchi, che sia l'ultima volta.
Io annuii silenziosa, ritenendomi fin troppo fortunata quel giorno. La donna allungò la mano e mi passò i soldi, in segno del riscatto di quel bacio, poi mi disse di andare, tenendo ancora lì Lorenzotti che dovette subirsi, per la prima volta, una bella strigliata.

Quando arrivai a casa, trovai mia sorella in salotto che si accorse delle mani sporche di sangue e io non riuscii ad evitare l'interrogatorio.
Rebecca ha sette anni in più di me e la differenza d'età la sentiamo spesso. Ciò nonostante è l'unica in famiglia ad accorgersi quando c'è qualcosa che non va.
Non sembriamo neanche lontanamente imparentate; lei é alta, bionda, ha un fisico invidiabile e degli occhi color ghiaccio che la rendono simile ad una dea. Io sono bassa, chiatta, ho capelli e occhi castani che decisamente non mi risaltano affatto.
Ho sempre avuto un po' di problemi di autostima perché, avendo lei come termine di paragone, qualsiasi essere umano si sentirebbe inferiore ed io, in particolare, essendo sua consanguinea, mi domando come abbiamo fatto a nascere così diverse.
-Bell'infame il tipo.
Si sistemò i capelli davanti allo specchio, dopo avermi trascinata in camera, poi continuò il discorso. - Come hai detto che si chiama?
- Michele. - Lanciai la penna un po' per rabbia nel sentire quel nome, un po' per frustrazione nel non riuscire a risolvere l'equazione di secondo grado di matematica che avevo avanti.
- Si, non me ne frega. Il cognome intendo. - Disse lei rassettandosi il vestito. Doveva uscire con il suo ennesimo nuovo ragazzo, uno dei tanti.
- Lorenzotti, ma perché ti interessa? - Ero curiosa di sentire la sua giustificazione ad una domanda così insolita e particolare.
- Uhn, no niente.- La sua reazione mi parve un po' troppo strana ma decisi di non farci molto caso. - Ci vediamo dopo, sempre che tu sopravviva.
Lei uscì dalla camera, senza aggiungere altro. Che diavolo voleva dire?
Continuai a fissare il libro di matematica sperando fosse lui a parlarmi e dirmi come risolvere quell'equazione maledetta, dopodiché mi arresi e lo chiusi con forza, scaraventandolo giù dalla scrivania e lanciandomi sul letto. Anche questa volta mi sarei presentata senza aver svolto gli esercizi.
- Chiara!
Qualcuno dal piano di sotto mi aveva chiamato; non l'avevo sentito solo io ma anche tutto il vicinato o, meglio, tutto il continente.
- Si, papà?
Che avesse scoperto della storia di oggi?
Improbabile. La preside mi aveva lasciata andare senza neanche mettermi in punizione quindi sul registro elettronico non risultava nulla. Inoltre il tono dell'uomo non sembrava affatto arrabbiato.
- Sistemati e fatto carina. Stasera cenano da noi degli ospiti: i nostri futuri soci.
- Si, papà.
Mia madre e mio padre, dopo alcuni anni, hanno finalmente deciso di realizzare un loro progetto a cui stavano lavorando da anni e hanno deciso di coinvolgere anche un'altra famiglia di questa città, più che altro come supporto finanziario.
Solitamente erano i soci ad ospitarci perciò, in un modo o nell'altro ero sempre riuscita ad evitare quelle cene noiosissime dove si parlava sempre dei soliti due argomenti: politica e finanzia.
Ero consapevole di quanto i miei genitori ci tenessero a mostrami come una persona pacata, tranquilla ed educata, cosa che spesso non ero, perciò decisi di sistemarmi in modo da non sembrare una appena uscita da scuola dopo aver picchiato un 2003 arrogante e fastidioso.
Se volevano mostrarmi come quello che non ero, mi sarei trasformata in una che non ero.
Trovai, non so dove, la forza di alzarmi dal letto, che al momento era fin troppo invitante, e mi diressi verso l'armadio di mia sorella; li avrei trovato quello che stavo cercando.
Scelsi un vestito nero a pois bianchi smanicato, molto anni 50, abbinai una piccola cintura rossa in vita e aggiunsi delle ballerine nere che avevano un po' di tacco. Almeno così non sarei sembrata l'ultimo dei nani.
Mi appropriai della toeletta di mia sorella dove acconciai i capelli in uno chignon spettinato, misi le lenti a contatto e passai un velo di trucco.
Mi guardai allo specchio: ero irriconoscibile e riuscivo quasi a considerarmi carina. Presi il cellulare in mano, dove trovai una trentina di notifiche nel gruppo de "le rimbambite" che decisi di  ignorare e misi a scrivere.

(Un)happier than everNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ