Epilogo

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17 anni dopo

- Ah si, sarebbe giusto?
Una voce maschile proveniva dal piano di sopra e distruggeva l'armonia che regnava nella casa.
Per l'ennesima volta, fissai il figùrino a ancora spoglio senza esserne realmente soddisfatta.
- Ragazzi, abbassate la voce. Sto cercando di lavorare.
A rispondere, fu la voce aggraziata di Diana. - Scusaci, zia Chia.
Ovviamente, questa breve conversazione fu inutile in quanto ripresero la discussione in brevissimo tempo e, dopo aver perso la concentrazione per l'ennesima volta, rinunciai a disegnare e mi misi così a cercare ispirazione sul cellulare.
Non feci neanche in tempo ad aprire whatsapp che in casa irruppe, come un terremoto, Elena.
- Allora, torno adesso dall'azienda.
- Ciao.- Provai a dirle ma come sempre fu inutile perché riprese a parlare così velocemente che non sembrava neanche stesse respirando.
- Tutti hanno adorato la vostra collezione, tanto che tutte le piccole case hanno già iniziato a sfornare, come se fossero panini, capi ispirati alla vostra collezione. In più... - si fermò poco meno di un istante e mi rivolse una domanda. - Si può sapere cosa sta succedendo in questa casa? Sembra di essere allo stadio!
Da come lo disse, urlano cercando di constatare quella confusione, compresi che fosse più per i ragazzi che per noi.
Tirai un sospiro esasperato; di solito era brava coi bambini ma orami i nostri figli non lo erano più.
- È tutto il giorno che va avanti. - Dissi continuando a scorrere svogliata nel mio feed di Pinterest alla ricerca dell'illuminazione. 
- Era meglio quando erano piccoli e riuscivi a gestirli, Chiara. - Disse Lia sbuffando, dirigendosi direttamente alla dispensa.
- Si può sapere da dove spunti? - Chiese dubbiosa Ele che tentò di nascondere lo spavento fallendo miseramente.
- Oggi ho finito prima le riprese. - Sorrise divertita al pensiero. - Peccato, Vincent Cassel è un uomo così affascinante.
- Ti ricordo che sei felicemente sposata e hai un figlio. - Mi intromisi io morsicchiando la matita.
- Come sei pesante. - Disse senza mai smettere di sorridere; non compresi se stesse scherzando o stesse ancora pensando la collega. - Ho capito che non ti vadano a genio i matrimoni ma respira ogni tanto.
- È circa diciotto anni che respiro. - Risposo alzando gli occhi cielo, vizio che col tempo non avevo ancora perso.
Lia era pronta a contrastare ma la nostra conversazione fu interrotta nuovamente dalla voce delicata, ma un po' sopra le righe, di Diana. - Andiamo a parlarne con loro.
E mentre i cinque ragazzi scendevano dalle scale come una mandria di elefanti, noi ci guardammo parecchio preoccupate.
Mi arresi, abbandoni il blocco per gli schizzi sull'isola in cucina e seguii le mie amiche che si erano già dirette verso il nostro soggiorno, ci sedemmo sul divano mentre il nostro piccolo esercito personale si accomodò sul tappeto.
- Abbiamo un problema. - Introdusse Giovanni sicuro.
- L'ho notato. È tutto il giorno che va avanti. - Dissi un po' indispettita.
Ci fu un coro di "scusaci, zia Chia" e di "scusa, mamma" che non potei non addolcirmi nonostante il fastidio che provavo.
- Alt!- Si intromise Lia, guardandomi storta; sosteneva che fossi troppo buona domenica loro. - Non volete aspettare anche i papà?
Diana e Vittoria diventarono bordò e intuii che fosse una questione di cuore o una cosa simile.
- Veramente no. - Dissero in coro, poi la seconda si rivolse a me. - Tu la potresti prendere ancora bene, ma papà...
Mi rivolsi a mia figlia con aria confusa.
Il nome non era stato scelto a caso;  lei era stata davvero una grande vittoria per noi. Durante il parto accenno rischiato di perderla; secondo i dottori, una conseguenza del primo aborto.
- Si può sapere di che stiamo parlando? - Chiesi sempre più tra l'indispettito e l'arrabbiato; ero sicura che i nostri mariti centrassero qualcosa.
- Il fatto che quattro di noi abbiano il proprio ragazzo/la propria ragazza in casa. - Rispose secco Gabriele che rispetto alla sua gemella era molto più schietto proprio come il padre.
- Alt! - Disse Ele continuando a scorrere le notizie sul cellulare. - Riassunto.
A prendere parola fu Edward, fortunatamente il più tranquillo del gruppo. Doveva aver preso tutto da Nico perché di Lia non aveva proprio nulla.
- Quattro di noi stanno insieme, in teoria tutti e cinque...
- Ed, più schietto.
Certe volte pensavo che Lia fosse la madre di Gabriele e io quella di suo figlio tanto i caratteri erano scambiati
Coms se si fosse sentito chiamato in causa, a prendere parola fu mio figlio. - Terra, terra: Giovanni sta con Vittoria, Diana con Edward e io con un altra ragazza.
Noi tre ci guardammo un po' sotto shock per questa notizia; possibile che non ce né fossimo mai accorte? Iniziavo a capire i miei genitori.
- E il problema qual è? - Domandò Ele perplessa.
- I problemi sono due. - Rispose Giovanni abbassando lo sguardo dopo avermi chiesto aiuto con lo sguardo.
- Uno - Prese parola Vittoria che, quando le faceva comodo, somigliava al fratello. - Papà non vuole che io viva con il mio ragazzo.
A risponderle fu Lia perché io stavo ridendo senza riuscire a fermarmi.  - Ma lui viveva con la ragazza in casa.
Noi tre ci scambiammo un altro sguardo e io mi trattenni dal ridere ancora anche se l'impulso era veramente forte.
- Proprio per quello. - Continuò Vittoria studiandomi stranita.
- In che senso?
C'era qualcosa che, in questa storia, non riuscivo a cogliere; loro rimasero in silenzio finché non domandai. - Quindi?
A prendere parola come sempre fu Gabriele, sempre quello senza peli sulla lingua; ogni tanto, speravo migliorasse un po' questo suo lato.
- Tutto bello, tutto caro, ma tu ci hai raccontato solo parte della vostra storia.
Diventati di una sfumatura carminio, non per l'imbarazzo ma per la rabbia e d'improvviso mi venne voglia di farmi metà Parigi a piedi solo per fare una strigliata di capo.
- Sapete tutto? - Chiese Lia sospirando; non capivo se ne fosse contenta o triste.
Tutti annuirono e lei riprese parola. - Oh, grazie. Non se ne poteva più di dire le cose a pezzi.
Era contenta e non mi trattenni dal fucilarla con lo sguardo.
A prendere nuovamente parola fu Vittoria che pareva un po' offesa.
- Ci avete sempre detto cose tipo la sua fuga, il fatto che abbia sposato un'altra prima di mamma ma, ad esempio dell'aborto o di Davide no. Non pensate che fossimo abbastanza grandi?
Diventai ancora più rossa in volto e le parole mi si fermarono in gola mentre Elena e Amelia si fissarono confuse e compiaciute.
Anni prima avevamo fatto un patto: quanto tutti e cinque avrebbero avuto diciotto anni avremmo raccontato la versione completa dei fatti. Giovanni e Diana ne avevano diciannove, Edward diciotto e i miei figli ancora diciassette
Lia aveva nascosto la gravidanza per un po' ma, durante la famosa sfilata, avevo notato qualcosa di diverso.
Le guardai in cerca di aiuto, sapevano quanto questo discorsi mi mettessero in crisi.
L'avevo superata, avevo superato tutto, ma ciò non significava che quelle sensazioni sgradevoli mi avessero abbandonata totalmente
- Si, beh, più o meno. - Disse Ele poco interessata alla conversazione mentre studiava Edward.
Diana intuì immediatamente la ragione del comportamento di sua madre e si giustificò subito.
- Mamma, è molto più sveglio di Giovanni o di Gabriele.
Si scambiò un'occhiata con Vittoria che, per correre in suo soccorso, rispose sicura.  - Più intelligenti di Gabriele lo sono tutti.
- Simpatica. - Disse lui in tutta risposta iniziando a infastidirla.
Non avevo voglia di sentirli discutere, anche perché il mal di testa che mi avevano procurato stava peggiorando, tanto che ripresi parola immediatamente. - E il problema sarebbe?
Rispose nuovamente mia figlia che si imbarazzò, timorosa della mia risposta. - E se accadesse come a voi due?
Alzai gli occhi al cielo mentre le mie amiche scoppiarono a ridere.
- Questo chi ve l'ha detto dei tre? - Chiese Lia, con le lacrime agli occhi, alludendo ai nostri mariti.
- Più sfigata di Chiara non esiste nessuno. - Continuò Elly, tenendosi la pancia dal ridere.
- State ancora ad ascoltare Michele? - Risposi io più irritata dal comportamento immaturo dei nostri mariti che dal commento di Elly.
L'espressione dei nostri figli era impagabile e un po' li comprendevo, d'altronde, erano situazioni che capitavano a chiunque con pure il vivere tutto insieme.
Avevano provato a trasferirci in tre case separate ma, causa lavoro e costi vari, la soluzione più comoda fu quella di abitare tutto insieme.
- Tranquilli, potete continuare a frequentarci. - Dissi con fare ironico. - Vi do la mia benedizione.
Questa volta non riuscii a trattenere una risata.
- Scusami tesoro ma Ed non è un po' piccolo per te?- Domandò perplessa Ele. Sia io che Amelia la guardammo confuse e leggermente infastidire, dopotutto avevano solo un anno di differenza.
Edward.
Io capisco l'amore di Lia per Robert Pattison, o ancora di più per il giovane Cullen della saga di Twilight, ma sono dell'opinione che Nico avrebbe dovuto impedire un nome così.
- Mamma, te l'ho già detto. È molto più maturo di molti altri ragazzi della mia età. - Rispose Diana sicura; poi, di colpo, si fermò e iniziò a balbettare imbarazzata. - E poi l.. mi... pi...
- Scusami, tesoro, puoi ripetere? - Chiese scherzosa Lia che sapeva sempre mettere a suo agio gli altri.
La ragazzina diventò bordò. - Ho detto che mi piace. - Disse roteando gli occhi al cielo ed Edward le strinse la mano cercando di non farsi notare, fallendo miseramente.
- E quale sarebbe il secondo grande problema?- Domandai tentando di aiutare i due poveretti in imbarazzo. 
Notai che Gabriele rimase stupito e per, un attimo, dentro di aver fatto la cosa giusta. Io e Gabriele eravamo spesso in contrasto esattamente come accadeva con suo padre alla sua età.
- Allora qualcuno mi ascolta. - Sorrise grato. 
- Ti sembro papà? - Dissi scherzosa e alzò gli occhi al cielo. - Quindi?
Lui sembro titubante, finché Vittoria non gli tirò una pacca sulla schiena, per la quale sentii male io, e si decise a parlare. - Non so mai quando uscire con la mia ragazza e...
Non avevo mai visto mio figlio così in imbarazzo ma mi ricordava tantissimo Michele quando aveva provato ad essere più gentile con me; d'istinto sorrisi.
- Nome, cognome, descrizione. - Disse Lia già pronta ad insistere se non avesse ricevuto le risposte richieste.
- Zia Lia... - Stava provando a nascondere il suo imbarazzo e ad inventare una scusa, lo conoscevo, ma si arrese consapevole che la ragazza non si sarebbe arresa facilmente. - Si chiama Francesca, è del mio anno e fa la cheerleader.
D'istinto ridacchiai; finalmente una cosa su così non erano così simili, a meno che, questa Francesca non fosse come Simona ovvero una scusa.
- Ti prometto una cosa: ti permetto di farla venire quando vuoi e anche di non mettervi in imbarazzo ma, per le altre due, dissi indicando le mie amiche - non garantisco.

- Chiara, sei sempre la migliore nel gestire le situazioni. - Disse sicura Ele, sorridendomi.
- Stai male? - Risposi distaccando gli occhi dallo schizzo che, finalmente, stava prendendo vita.
- Dice così perché sta aspettando di vedere come te la caverai nel comunicare al resto della casa che, dopo sedici anni, sei nuovamente incinta. - Continuò Lia mostrando la sua espressione più divertita.
- Questa si che è amicizia. - Borbottai ritornano al lavoro.
Loro due avevano compreso la mia situazione nel momento in cui avevo smesso di presentarmi al lavoro. Il mio corpo era un po' debole e, dopo l'ultima gravidanza, sapevo che era meglio non strafare.
Sentimmo tre voci maschili irrompere in casa e loro mi guardarono ilare.
- È il momento, Chiara. - Disse Lia con una punta di malizia.
Tornammo in salotto e come ogni sera aspettai che mi aggiornassero sulle varie novità nell'azienda
Sorrisi alle mie amiche e aspettai il momento giusto.
Ma la mia felicità era causata dalla tranquillità; non avevo mai desiderato altro nella mia vita e ora, che tutto andava per il verso giusto, ne apprezzavo ogni singolo istante; le discussioni, quasi sempre inutili, tra i nostri figli, le conversazioni tra i ragazzi riguardo a questioni lavorative, la loro richiesta di aiuto a me e Elena che orami risolvevamo tutto, i racconti sul set o le prime di Lia.
Il passato era un ricordo dolce amaro, il presente gioia pura e il futuro una sorpresa perché, col tempo, avevo scoperto che il trucco per accettare la propria vita, era comprendere il fatto che ogni giorno fosse un viaggio unico e irripetibile, che fosse il viaggio di ogni giorno a renderci speciali e unici.

Fine

(Un)happier than everWhere stories live. Discover now