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Salii sull'Audi di Michele del quale non avevo esattamente ottimi ricordi.
Restammo in silenzio e mi misi ad osservare fuori dal finestrino.
- Sei offesa?
Mi voltai a guardarlo incuriosita. - Di che...
- Non lo so, non mi parli.
Mi morsi il labbro ma non aggiunse altro e tornai ad osservare la bella Parigi dia finestrini oscurati della macchina.
Non avrei mai ammesso che ero a disagio; nonostante andassimo nuovamente d'accordo, non mi piaceva stare sola con lui.
Era da ammettere, però, che si stava impegnando parecchio per migliore il nostro rapporto e io dovevo riuscire a fare lo stesso.
- Non eri pieno di lavoro tanto da non poter pranzare?
Lo dissi con ironia, per scongelare la situazione.
- Stavo cercando di avere più tempo per stare con te.
Arrossi violentemente e distolsi lo sguardo, che gli avevo rivolto poco prima, per poi ammutolirmi nuovamente.
- Prossima fermata: Casa Brambelli-Puma-Bianchi. - Disse lui imitando le voci dei treni, alcuni minuti più tardi, quando finalmente riuscimmo ad uscire dall'ingorgo.
- Dubito. - Controbattei io. Avevo ancora un leggero tremore nella voce dato dall'imbarazzo della situazione. - Non ho neanche un mobile.
- Scusa ma sapevi che dovevo venirti a dare una mano, prima o poi. - Rispose perplesso.
- Oggi sarei andata a prenderli. - Dissi alzando gli occhi al cielo.
Stavamo tornando a battibeccare e questo non era un bene, lo sapevamo entrambi. Sapevamo che quando venivano punti sul vivo, ferivamo l'altro. Era già successo tante volte in passato.
- Okay, okay, prossima fermata: un mobilificio.
Apprezzai il suo sforzo nel rimanere calmo; doveva essere difficile sopportarmi.
- Vada per Ikea?
Lui diventò bianco in viso e io scoppiai a ridere.
- Quando stavamo insieme, mi tenevi dentro per mesi.
- Hai detto bene: quando stavamo insieme. Ora puoi buttarmi fuori quando vuoi.
Mi sorrise diverto, probabilmente a causa dell'imbarazzo, quando, scuotendo la testa, aumentò la velocità e si diresse verso il negozio di mobili.

- Quindi mi stai dicendo che mi tocca sistemare i libri? Un'altra volta?!
Dopo aver montato il mobile bianco e averlo sistemato nella mia stanza, Michele insistette nel aiutarmi ancora.
Nonostante la mia decisione di non chiedergli più aiuto e di non dipendergli più , lui continuò ad insistere e, come al solito, vinse.
- Le scatole sono quelle. - Dissi indicandogliele.
Non che fosse impossibile notarle, la mia stanza ne era piena.
- Hai usato tutto il tuo spazio disponibile per portare libri? - Chiese perplesso più che mai.
Era una domanda stupida, dopotutto mi conosceva ed era proprio una cosa nel mio stile.
Dopo aver sistemato i mobili, il leggero imbarazzo che aleggiava sempre tra di noi se ne era completamente andato, sostituito da una strana malinconia che ci ricordava i vecchi tempi.
- Si, per lo più. Ma anche qualche altro ricordo. Cose varie... - Dissi iniziando a sistemare i libri storici.
Lui prese una scatola enorme, forse la più pesante, dove troneggiava la scritta fandoms.
- Leggi davvero ancora Percy Jackson?
Sorrisi divertita. - Mi sembra un deja vu.
- Okay, colpito e affondato.
Ci eravamo già passati; sembrava che la nostra vita stesse ricominciando da capo, allo stesso modo, e non volevo che il risultato fosse lo stesso.
Nel silenzio della stanza, si udivano solo i nostri passi e movimenti e il traffico proveniente dalla strada.
Lui continuò a sistemare finché non arrivò alla fine dello scatolone.
- C'è l'hai ancora? - Domandò avvicinandosi a me. Notai che aveva una piccola cornice in mano e non appena lo raggiunsi, me la mostrò.
Era una foto di noi due, qualche anno prima, nel nostro primo viaggio insieme. Avevamo scelto Parigi come metà e nonostante fossimo giovanissimi, mi aveva chiesto di sposarlo, proprio sulla torre Eiffel, come nei più scontati romanzi o film d'amore, anche se il riuscito non era stato quello sperato.
Forse, infondo, avevo sempre sperato di rincontrarlo a Parigi anche solo per chiarirci e il mio desiderio era stato esaudito.
- Certo. Cosa pensavi? Che avessi bruciato ogni cosa che c'entrasse con te?
Lui sì imbarazzò e abbassò lo sguardo. - No, no.
Si fermò un attimo a riflettere e sbuffò. - Beh, ecco si.
- Interessante. - Dissi divertita recuperando la cornice e posandola nella libreria.
Finito di sistemare anche la mia scatola, gli proposi una pausa.
Avevo voglia di chiacchierare con lui anche se non sapevo se fosse la scelta più saggia.
Forse era più giusto lasciare il nostro rapporto in quel limbo di odio e amore anziché tentare di trasformalo in qualcosa.
- Ma se abbiamo appena iniziato a sistemare?! - Disse sbuffando. Mi pentii subito della mia idea ma era troppo tardi per tornare indietro.
- Amo le pause - Risposi semplicemente.
- Ti fa male frequentare Lia. - Sospirò arreso, alzando gli occhi al cielo.
Tempo di piegare le scatole finalmente vuote, che ci spostammo nella piccola cucina. Mi faceva uno strano effetto stare noi due soli.
Mi sembrava di essere tornata a casa anche se, allo stesso tempo, sentivo una strana fitta allo stomaco.
- Allora che vuoi da mangiare?
- Come se tu non lo sapessi. - Mi sussurrò all'orecchio dopo avermi abbracciata all'improvviso. Un brivido mi percosse la schiena ma decisi di ignorarlo. Era solo un rapporto di amicizia il nostro e così doveva restare. Dopotutto le manifestazioni d'affetto tra amici erano normali e non importava affatto che io lo amassi ancora.
- Certo che non cambi mai. - Ridacchiai e lui mi strinse ancora più forte ma senza cattiveria o foga come a dimostrare che ero una proprietà sua.
Era un abbraccio carico di affetto; eravamo vicini ma ci mancavamo.
Io cercavo di nasconderlo ma vedevo che provava i miei stessi sentimenti, non ero scema e soprattuto lo conoscevo bene.
Udimmo una voce che lo fece allontanare di scatto.
- Ragazzi, facciamo dietrofront che abbiamo interrotto qualcosa. - Disse Nicolò con malizia.
Diventai un pomodoro, per la milionesima volta in un giorno. Avevo decisamente bisogno di farmi una dormita e tonare alla mia routine.
- Tu stai fraintendendo... - Balbettò Michele, anche lui rotto rosso in viso.
- Anche gli amici si possono abbracciare. Cosa c'è? Sei in carenza d'affetto. Lia, mi cadi su queste cose?! - Ancora a disagio, andai ad abbracciarlo. Gli altri scoppiarono a ridere ma non tutti.
- Andiamo? - Chiese Michele trafiggendomi con uno sguardo gelido. Non poteva essere davvero geloso del suo migliore amico, vero?
- Dove? - Chiesi usando le mie doti da attrice fallita. La realtà era che avevo già visto quello sguardo e ne avevo paura, anzi no, ne ero terrorizzata. Era lo sguardo che aveva avuto anni prima, che aveva dato il via ad una lite memorabile.
- A finire di sistemare la stanza. - Rispose a denti stretti. Non era solo una sensazione, era geloso del suo migliore amico.
Lo seguii, pensando a quanto stesse diventando assurda questa situazione.
L'ultima cosa che volevo era litigare.
Entrammo in camera e lui sbatté la porta con violenza, facendomi sussultare.
In quel momento, una parte di me iniziò ad avere davvero paura.
- Allora... - Iniziò lui.
Nonostante l'irritazione che avevo addosso in quel momento, mi persi a fissarlo negli occhi. Fu forse l'errore più grande in quella situazione ma non riuscivo proprio a distogliere lo sguardo.
I suoi occhi si stavano facendo sempre più glaciali e io quello sguardo lo avevo già visto.
Una stupida lite, per il quale non ci eravamo parlati per giorni.
Il motivo non lo ricordo neanche più ma indimenticabile era il gelo nei suoi occhi.
- Allora... - Dissi cercando di far sentire l'irritazione nella mia voce. Forse lo stavo provocando un po' ma essere geloso di Nicoló era ai limiti dell'assurdo.
Rimase a fissare il vuoto.
In quel momento, mi sentii parecchio a disagio. Non che io avessi fatto qualcosa di sbagliato, a parer mio, ma sentivo che lui era piuttosto adirato nei miei confronti.
- Non sarai mica geloso? - Dissi scherzosa, sperando di far scemare l'imbarazzo che si era formato. Volevo che tutto tornasse come pochi istanti prima quando mi stava abbracciando. Ma quello era stato un segnale lampante: la calma prima della tempesta.
Succedeva sempre così.
- Beh, si. - Si stava grattano le braccia, proprio dove aveva i tagli e alcuni iniziarono a sanguinare leggermente.
Era parecchio nervoso ma io adesso mi sentivo offesa. Non ero un oggetto e soprattuto non ero una sua proprietà.
- Spero tu stia scherzando, vero? È il tuo migliore amico!
Non ero mai stata così furiosa. Non poteva concedersi il lusso di farmi scenate di gelosia, non dopo quello che mi aveva fatto.
La conversazione si interruppe nel momento in cui sentimmo delle voci da dietro la porta.
- Non sento più niente. - Sussurrò Lia dall'altra parte del sottile strato di legno che separava le due stanze.
In silenzio, feci cenno a Michele di spostarsi e aprii la porta.
Loro erano in posizione accovacciata ad ascoltare. Tutti e quattro.
Se prima ero irritata, adesso ero veramente furiosa.
- Ehi, Chiara. Stavamo passando di qui...
Ero già nervosa di mio e questa azione non contribuii certo a calmare il mio carattere piuttosto burrascoso.
- Non. Sono. Affari. Vostri. - Risposi secca, sbattendo la porta per poi girarmi e voltarmi verso il ragazzo che non sembrava affatto più calmo di me. - E tornando a te... NON CI POSSO CREDERE!
- Mi ha dato fastidio, okay? - Lo disse come se io fossi in torto.
- È il tuo migliore amico. Ed è fidanzato con la mia migliore amica. - Parlai senza pensare come al mio solito e mi pentii subito delle conseguenze. - Non si chiama certo Michele Lorenzotti.
Rimasi a bocca aperta io stessa per la mia affermazione. Avrei tanto voluto tornare indietro e ritirare le mie accuse perché sapevo che quello che avevo detto non era vero, che quello non era il Michele che conoscevo. - Scusa, io non volevo...
- Ma l'hai detto. - Non avevo mai visto i suoi occhi tanto gelidi. Sentii il mio corpo iniziare a tremare leggermente dalla paura.
- Lo so ma non era mia intenzione...
- Ma l'hai fatto. - E il suo tono era ancora più glaciale. Era più tagliente di mille coltelli.
- Hai ragione. Ho sbagliato. Ma se tu non mi avessi provocata...
- BASTA! - Sbraitò. Non aveva mai urlato tanto. Ero terrorizzata tanto che non riuscivo a muovermi. - Non c'è l'ha faccio più!
- Cosa non c'è l'ha fai più, Michele? Cosa? - Urlai furiosa. Il mio corpo era paralizzato ma la mia mente stava lavorando più del dovuto. - È da quando sono qui che non fai che complicarmi la vita!
Anche se i nostri amici si erano davvero allontanati dalla porta, cosa di cui dubitavo, riuscivano a sentire senza problemi la nostra conversazione, dato il volume di voce.
- Prima quel tipo al bar, poi abbracci Nico. Tu mi farai uscire da questa stanza matto!
Io faticavo a capirlo; perché era così geloso? Perché non poteva accettare che mi sarei potuta benissimo fare una vita senza di lui?
Dopotutto era finita da tempo.
- Ma non so neanche chi sia il tizio al bar.
Questa era una bugia ma non potevo complicare la conversazione che, già da sola, stava sfociando nel ridicolo.
- Mi ha dato fastidio che qualcuno ci abbia provato con te. - Aveva le lacrime agli occhi, nuovamente per colpa mia. Sentii una stretta al cuore ma decisi di non darci peso. O meglio, la mia parte buona voleva scusarsi ma, quando stavamo insieme, usciva la parte peggiore ed era quella al comando al momento.
- Io non sono una tua proprietà, lo vuoi capire?
Sentii dell'umido sulle mie guance e mi resi conto che Michele non era l'unico che stava piangendo.
- Mi stai dicendo che gli avresti detto di sì?
Le nocche delle sue mani si fecero bianche come il latte e i suoi pugni si strinsero più di quanto pensassi fosse possibile.
- Oh, cavolo, Mic, sei serio? Lo sai che io amo te, te l'ho già detto.
Mi stupii io stessa con quanta franchezza l'avessi ammesso.
- Se è vero, dimostralo. Torna con me. - Stava annegando nelle sue lacrime e io non potevo aiutarlo. Non potevo crollare un'altra volta.
- Se entrambi proviamo lo stesso sentimento, perché non possiamo stare insieme?
- Lo sai bene il perché!
Non avevo mai urlato così tanto in vita mia.
Stavamo gridando perché esternavamo cosi la rabbia repressa di quegli anni.
Iniziai a tremare e mi strinsi nelle braccia.
- Ho sbagliato, ho capito! Ma non me lo puoi far pesare tutta la vita. - Disse scocciato. Il suo cambio di umore era impressionante ma sapevo dove stava andando a parare: puntava sui miei sensi di colpa.
- Certo che posso! Te ne sei andato via il giorno prima del matrimonio, lasciandomi sola, in mezzo ad una strada e senza soldi. Michele: CERTO CHE POSSO!
- Adesso ti stai comportando da bambina.
Questa affermazione mi fece dare di matto.
Lui non aveva alcun diritto di trattarmi così perché non aveva idea di quanto io avessi sofferto. Onestamente non sapevo nemmeno dove trovano il coraggio di parlargli ancora.
Spalancai la porta con rabbia e uscimmo, dove i nostri amici ci guardavano con occhi sbarrati.
- Lo so che avete sentito tutto, cosa avete da guardare così?
Mi diressi in cucina più infuriata che mai e fui raggiunta da Ele, al seguito del suo pancione, e Lia.
- Chiara, tutto bene? - Chiese visibilmente in imbarazzo Amelia.
Scoppiai a piangere. Nella testa avevo una confusione assurda e non riuscivo s trovare una via d'uscita.
- Prova a capirlo, si sente uno schifo per come ti ha abbandonato. - Provò a dire Ele, per tranquillizzarmi.
- Doveva pensarci prima di farlo. - Cercai di dire tra i singhiozzi.
- Forse dovresti evitare di ricordarlo ogni due secondi. - Disse la riccia rimproverandomi.
- Mi é scappato, okay? Non volevo ferirlo in quel modo ma mi ha provocata.
- Lui sta soffrendo. - Continuò la biondina in tono pacato.
- E io no? - Urlai andando in collera. Neanche le mie amiche erano più dalla mia parte. Forse ero io la pazza in quella storia ma non mi pareva affatto. - Pensate che io non ci stia soffrendo? Stargli vicino ma sapere che non posso fidarmi di lui...
Loro si scambiarono uno sguardo di intesa.
- Pensate anche voi che mi stia comportando da bambina?
I brividi facevamo avanti e indietro sulla mia schiena mentre le lacrime continuavano a scorrere copiose.
Avevo bisogno di parlate con qualcuno che mi potesse confortare, non che proteggesse il principino della casa ancora una volta. Ma quel qualcuno non c'era più da anni.
Alla mia domanda, annuirono debolmente.
Divenni nera dalla rabbia.
- Sarei dovuta restarmene in Italia. Lo sapevo. L'ho sempre saputo. - Dissi raggiungendo la mia stanza, poi sbattei la porta con violenza quando entrai.
Decisi che avevo bisogno di darmi decisamente una calmata; avrei chiamato Martino ma, se mi avesse vista in quelle condizioni, sarebbe venuto lui stesso a a portarmi via da lì.
L'idea migliore era quella di cambiarmi e andare in palestra. Mi diedi una sciacquata e indossai i vestiti sportivi.
Quando uscii dalla stanza, tutti mi stavamo fissando in attesa.
Mi avvicinai alla porta d'ingresso e la aprii con calma. - La qui presente bambina vi comunica che sta andando in palestra. Addirittura senza chiedere il permesso.
A prendere nuovamente parola fu Michele. - Ho detto che ti stavi comportando come una bambina, non che lo eri.
Lo osservai con attenzione prima di parlare. - Va a farti fottere, Michele.
Poi sbattei la porta con violenza dietro di me non dandogli la possibilità di replicare.
Non vedevo l'ora di sbollire la rabbia.

(Un)happier than everWhere stories live. Discover now