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Quando sembra che tutto vada bene, non bisogna gioire troppo perché succederà qualcosa di interessante che scombussolerà la tranquillità della vostra vita.
Dalla serata micidiale, dal mio punto di vista, erano passate due settimane.
Avevo pianto tutte le lacrime in corpo, e anche quelle esterne, e avevo accettato il fatto che non avevo mai smesso di amarlo.
Da quel giorno ci incontravamo, ognuno faceva quello che doveva fare e la sera uscivamo col resto del gruppo senza però mai scambiarci uno sguardo o una parola.
Eravamo l'uno il fantasma della vita altri e io vedevo che un po' ne soffriva; per questo ne gioivo.
Per quanto fosse brutto da dire non ero una santa, ero molto più umana di quanto si credesse ed erto stata così male e vedere che non poteva avermi mi faceva sentire un pochino più invincibile di lui.
Eppure desideravo parlargli, rimettere le cose al loro posto, tornare al passato, per quanto non fosse possibile.
Frequentavo il lavoro con voglia, energia ed entusiasmo e mi stavo impegnando veramente tanto, nonostante fossi solo una semplice cameriera.
Mi trovano bene con Bianca e Tiziano, il posto mi piaceva e la mia mente rimaneva libera da tutti i vari pensieri tristi che tentavano di ingombrarla.
Il mio turno iniziava alle nove del mattino, quando dovevo portare i caffè alla MN, dopodiché restavo tutti il giorno al bar fino alla chiusura verso le ventitré.
Credevo fosse un giorno come tutti gli altri, per le lo era davvero ma non sapevo che avrebbe totalmente rivoluzionato la mia vita e cambiato la mia visione.
Quella mattina, Michele non era in ufficio e, ed quanto fosse difficile da ammettere, avevo vissuto quella giornata con una calma e con una pace interiore incredibile. Purtroppo mi condizionava ancora e questo non piaceva affatto anche se sapevo di non poterci fare nulla.
Il locale era vuoto, non era mai particolarmente frequentato a quell'ora e io e Bianca ci eravamo sedute dietro il bancone a chiacchierare quando, verso le diciassette, udimmo la campanella è un'ombra entrò nel bar.
Mi alzai a vedere chi fosse e, non appena lo vidi, mi nascosi dietro al tavolo.
Michele si sedette in un tavolo abbastanza appartato, lontano dalla vetrata e in un punto nella quale, anche all'interno del locare era difficile vederlo.
- Cameriera.
Biascicava e, anche quando l'avevo visto entrare, non pareva molto in se.
Il servizio al tavolo era mio compito ma, dopo quella sera, mi ero rifiutata di parlargli anche in presenza dei nostri amici.
- Cameriera. - Continuò lui, con tono sempre più alto.
Guardai Bianca supplichevole; non le avevo raccontando nulla dell'accaduto ma evidentemente il mio sguardo parlava già da sola tanto che mi rivolse un sorriso complice.
- Tranquilla, ci penso io.
Il resto del pomeriggio passò tra la terribile sensazione che qualcosa sarebbe andato storto e tra servizi vari ai tavoli.
Condizionata dalla situazione e agitata, feci cadere tre piatti e due bicchieri.
Mi sentivo osservata e non era solo una sensazione perché Michele, dal suo ingresso, continuava a fissarmi.
- Sicura di star bene? - Mi chiese Bianca, non appena lo raggiunsi.
Non le risposi, continuavo a guardare di sottecchi il mio ex coinquilino che teneva d'occhio ogni mio movimento.
- Chiara, - Disse prendendomi per un braccio e facendomi accomodare dietro il bancone - dimmi che succede.
Decisi di raccontarle l'accaduto.
- Non vuoi che faccia io la chiusura?
La chiusura? Era già ora? Com'era possibile?
A me pareva che il tempo non passasse mai quel giorno. Per non parlare del fatto che Michele era in quel bar da ore ormai.
- No, tranquilla, ci penso io. - Le feci un occhiolino. Vai pure da Tiziano.
La mia collega, dopo essere arrossita violentemente, iniziò a prepararsi dopo avermi fatto un gestaccio divertita e io finii di sistemare gli ultimi bicchieri.
Continuando a tenere il cliente indesiderato sotto controllo, iniziai a tirare giù le serrande e chiusi la porta, ancora consapevole del fatto che Michele fosse all'interno ma avevo visto quanto aveva bevuto ed ero conscia non potesse bere ancora.
Avrei chiamato Nicolò, non appena concluso con tutte le mansioni, che l'avrebbe riportato a casa sua.
- Cameriera!
Mi avvicinai e mi squadrò da testa a piedi. Aveva gli occhi rossi e stanchi, come se avesse pianto a lungo e pizzava di alcol.
A interrompere il silenzio imbarazzante fu proprio lui che, più che parlare, biascicava.
- Elena, da quando lavori qui? Con la grravidanzaa dovresti staare a casa.
Non che ci volesse un genio ma adesso ne ero sicura; era ubriaco fradicio.
- Michele. - Sussurrai. Non ero sicura di volergli parlare. - Sono Chiara.
Lui mi udì. - Si, lo so sono stato un mostro con lei. Povera Chiara.
Alzai gli occhi al cielo; non riusciva neanche a connettere le parole. Ero convinta che se avesse bevuto anche solo un paio di shot non avrebbe mai detto una cosa del genere.
Ancora silenzio; pareva di fosse addormento. Saltavo per andarmene quando riprese a parlare.
- Cameriera, un altro bicchiere di vodka.
- Ma il locale è chiuso da un'ora.
Non era per quello che non volevo portarglielo; non so quanto avrebbe retto ancora. Sembrava una spugna quanto è talmente piena di acqua che non riesce più a contenerla. Non volevo essere responsabile se si fosse sentito male.
- Non mi interessa!
Il suo tono era veramente aggressivo, tanto che ebbi un sussulto.
Raggiunsi Bianca che tornata dietro il bancone per recuperare le ultime cose prima di tornare a casa.
- Bianca, ho un problema. Lorenzotti é ubriaco fradicio ma vuole che gli porti ancora da bere.
- Tranquilla, è normale. - Disse indossando la giacca.
La fissai confusa. - Non che che Michele conosci ma quello che viveva con me non era un alcolizzato.
Lei mi rivolse uno sguardo triste. - Succede una volta al mese.
- Gli altri lo sanno?
Che i miei amici ne fossero a conoscenza ma non mi avessero fatto partecipe potevo anche capirlo che loro non ti preoccupassero mi lasciava stranita.
La rossa prosegui. - Il diciotto di ogni mese beve più del solito, magari è un po' brillo ma non è mai ubriaco.
- A me non pare sia solo un po' brillo.
Intanto in sottofondo, il diretto interessato mugugnava parole incomprensibili.
- A maggio sparisce e poi si presenta qui in queste condizioni.
In queste condizioni ovvero ubriaco fradicio. Anche a metri di distanza si sentiva l'odore di alcol che emanava. 
Sbuffai stanca; che mi stava a significare tutto questo? Il diciotto maggio: il giorno del nostro matrimonio.
Prima di uscire Bianca, che aveva notato il mio sguardo afflitto, mi diede un ultimo consiglio.
- Se non vuoi che si alteri, dagli quello che ti chiede.
Anche se non proprio contenta di quella scelta, andai a preparargli l'ennesimo shottino.
Fui estremamente sollevata quando, nel portarglielo, lo vidi addormentato.
Era dura da ammettere ma avevo ancora a cuore la sua salute e non mi piaceva che beveva fino a non capire più niente.
Dopo aver chiamato Nicoló, che aveva il telefono staccato, mi misi a pulire il locale e quando ebbi finito, decisi di portarlo a casa mia anche se non ero proprio entusiasta di questa scelta.
A Parigi, Michele era una figura di spicco, che aveva sempre tentato di mantenere un profilo basso per evitare scandali o prime copertine; sicuramente fargli usare la metro publica o il taxi non era il modo giusto per evitarle, non nelle condizioni in cui era. 
Presa da non so quale attacco di bontà improvvisa, decisi di guardare se avesse le chiavi dell'auto con se.
Non che la cosa mi rassicurasse molto; era arrivato lì già ubriaco e se le aveva significava che aveva guidato in quello stato.
Sono troppo buona con lui.
Scacciai questo pensiero cona la stessa velocità con la quale era arrivato e continuai a cercarle finché, imbarazzata, non le trovai.
Bene. Mi dissi. È solo un anno e mezzo che non
guido.
- Andiamo Michele. - Lo presi sotto braccio e iniziai a trascinarlo verso l'uscita. Lo dissi più a me stessa che lui ma mi udii e parve destarsi da quel torpore nel quale era caduto.
- Amelia, ma non dovresti essere con Nicolò? - Gli venne un conato di vomito che trattenne stento. - Tre anni.
- Eh? -Non poteva averlo detto veramente.
- È da tre anni che l'ho abbandonata.
Dopodiché cadde in un sonno profondo e e ne fui fermante fatta; durante il tragitto verso casa fui anche felice che lui fosse abbastanza incosciente da rendersi conto che in realtà ero Chiara.
In più, dopo la sua ultima frase, il poco buon umore che mi era rimasto aveva deciso di abbandonarmi del tutto sostituito da dubbi e ansia.
Se lui davvero soffriva nel avermi abbandonata, allora perché l'aveva fatto?
Parcheggiai l'Audi nero lucida di Michele nel parcheggio destinato al nostro appartamento. Solitamente vi erano parcheggiate o l'auto di Nicolò o quella di Riccardo ma fortunatamente era vuoto. Ne approfittai e mi complimentai di non ver lasciato neanche un graffio; sperai anche che nessuno fosse i casa.
Entrando tutte le luci erano spente.
- Ehi, bella casa. - Disse lui facendomi sussultare dallo spavento.
Ma se ci vieni ogni giorno. Decidi di tenere quel pensiero per me e non infierire oltre.
- Seguimi.
Lo feci entrare nella mia stanza e lo misi a letto, O meglio, lo feci sdraiate sul materasso buttato a terra e ancora sfatto dalla notte precedente.
- Ho molta sete. - Iniziò a piangere, così, senza una ragione. Piangeva in silenzio, vedevo solo le sue lacrime in controluce, bagnargli il viso rossiccio.
- Vado a prenderti un po' di acqua. Poi vedi di dormire. - Lui annuii e tentò di asciugarsi il volto mancandolo, però, diverse volte.
Quando uscii dalla porta della mia stanza mi trovai davanti Elena che, con il suo solito sorriso beffardo, mi stava studiando.
- Chi c'è nella tua camera?
Iniziai a sudare freddo.
- Nessuno.
- Chiara, l'ho sentita la voce.
Sbuffai agitata; non volevo ammettere di averlo aiutato. - Un ragazzo che ho conosciuto al lavoro.
- Uhu, interessante. - Si vedeva lontano un miglio che non credeva affatto alla mia storia. - Me lo presenti? - Disse tentando di entrare in camera.
- No. - Risposi secca bloccando l'ingresso con il mio corpo.
Non volevo che sapesse che all'interno c'era Michele, almeno per il momento.
- Ma dai, Michy non lo verrà a sapere. - Continuò scherzosa.
Diventai pallida, troppo per far sì che non si notasse e lei mi conosceva fin troppo bene.
- Chiara, cosa ci fa Michele nella tua stanza? - Domandò più che altro preoccupata. Non voleva sgridarmi, aveva paura ne rimanessi scottata un'altra volta.
- Tranquilla. Niente di grave. - Sbadigliai; dopotutto avevo lavorato tutto il giorno. - Ora vedo come sta e vado a dormire.
- Devo andare anche io. A domani.
Mi diede un bacio sulla fronte e se ne andò. La gravidanza la stava proprio cambiando; era più materna.
Andai in cucina, presi una bottiglia di acqua e un bicchiere e tornai in camera.
- Come va? - Dissi sedendomi a terra accanto al letto passandogli l'acqua aiutandolo per evitare che lei bagnasse.
Lui si tirò su e si fece dare una mano.
- Grazie, Amelia.
Bevve avidamente così lo riempii nuovamente; forse avrei dovuto preparargli anche del caffè ma il mio ragionamento fu interrotto dalla sua voce melliflua e allo stesso tempo roca.
- Mi distruggerebbe se Chiara mi vedesse conciato così.
Era decisamente ubriaco fradicio; non riusciva neanche a distinguere le persone davanti a lui e, nonostante fosse sbagliato, decisi di sfruttare questa situazione a mio favore.
Avevo bisogno di risposte e si dice che in vino veritas.
- Posso farti una domanda?
Lui annuì e nel frattempo lo aiutai a sdraiarsi di nuovo. Quanto ci avrei messo a cancellare il suo profumo dalle lenzuola?
Perché te ne se andato il giorno prima del no...vostro matrimonio senza darle una spiegazione?
Nella penombra della stanza, vidi il suo viso nuovamente bagnato, stava nuovamente piangendo e non capivo se fossero lacrime sincere.
- Io ho fatto una grandissima stupidata. - I singhiozzi si fecero sempre più forti. - Io la amavo troppo. Avevo paura che qualcosa andasse storto. Avevo paura che mi lasciasse. Avevo paura che si stancasse di me. Avevo paura di perderla.
Una lacrima solcò il mio viso. Che giornata deprimente.
- Ma così l'hai persa lo stesso.
Iniziò a piangere ancora più forte. Mi distruggeva vederlo in quello stato, avrei voluto stingerlo, dirgli che non importava ma invece imporrava eccome perché mi aveva lasciato lì distrutta, col cuore a pezzi.
Io lo fissavo in silenzio e lui osservava il muro come stesse cercando le parole per dire qualcosa; pochi istanti dopo riprese a parlare.
- Quando sono atterrato a Parigi, quel giorno...
Lo vidi trattenersi, così corsi nella stanza affianco a recuperare una bacinella.
Aveva troppo alcol in coperto e prima o poi avrebbe dovuto espellerlo.
Fece qualche smorfia poi riprese a parlare.
- Mi sono chiesto cosa stessi facendo della mia vita. Mi sono chiesto perché l'avessi fatto. Poi ho iniziato a bere per tranquillizzarmi.
Si fermò di nuovo e gli passai nuovamente il contenitore insistendo; lui all'inizio parve rifiutare per continuare, poi cedette.
Sapevo quanto odiasse vomitare, piuttosto si finiva un contenitore di brioschi o di biochetasi.
- Starai meglio, vedrai. - Dissi tenendogli la testa.
Non avrei mai creduto che dopo tre anni, mi sarei ritrovata nella sua stessa stanza a consolarlo e a tenergli la testa.
Non appena credette di star meglio, riprese subito parola.
- E da lì non mi sono più chiesto niente.

(Un)happier than everDove le storie prendono vita. Scoprilo ora