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La sveglia suonò alle quattro di mattina e mi apprestai immediatamente a spegnerla per non svegliare gli altri.
Presi il cellulare e la rimandai per altri dieci minuti, girandomi dall'altra parte.
Stavo per richiudere gli occhi e tornare in quello stato di incoscienza, tra l'essere sveglia e il dormire, quando mi accorsi che c'era qualcosa di strano.
Michele non era più li; ancora confusa e con la mente assonnata, tentai di recuperare il mio cellulare che era seppellito dalle coperte per ricontrollare che l'orario fosse giusto.
4.03
Dove poteva essere a quell'ora? Un brutto presentimento mi assalì all'altezza dello stomaco, facendomi svegliare di soprassalto.
Controllai se mi avesse lasciato un messaggio ma non c'era nulla né sui social, né tra gli SMS, tanto meno nella segreteria telefonica.
Consapevole che non sarei riuscita a riaddormentami, mi alzai controllando se avesse lasciato un bigliettino da qualche parte.
Una brutta sensazione prese possesso di me e, subito, mi sentii in colpa; non potevo dubitare di lui, gli avevo promesso che mi sarei fidata.
Decisa a lasciarmi quei pensieri così sbagliati e, allo stesso tempo, sempre più reali alle spalle, andai in bagno e mi feci una doccia veloce.
Recuperai un body nero, dei jeans a vita alta, un cardigan grigio e le mie adorate All Star.
Avrei tanto voluto fare come al solito, ovvero ripuntare la sveglia e rilanciarmi sotto le coperte per altri dieci minuti in attesa che quell'aggeggio infernale rintoccasse nuovamente, ma rimasi incantata a fissare la foto di noi due, sulla mensola, mentre il mio cervello pensava a scenari non molto piacevoli.
A destarmi da quella trance, fu il tumore di passi fuori dalla stanza; guardai l'orologio e mi accorsi che erano passati più di venti minuti così presi il cellulare e andai in cucina, dove trovai Nicolò.
Gli feci un cenno col capo e lui mi salutò.
- Giorno. - Mi studiò in silenzio poi riprese parola. - Perso il buonumore?
Si notava tanto che non mi ero svegliata col piede giusto? E, soprattuto, come faceva ad essere attivo così presto?
- Ho sonno. Tu come mai sei in piedi a quest'ora? - Biascicai mentre mi preparavo del caffè.
- Lavoro.
Sbuffai facendomi scappare una risatina.
- Quante volte l'ho sentita questa frase in due giorni?
- Michy? - Chiese lui, sapendo già la risposta.
Annuii e colsi l'occasione per parlarne; dopotutto quei due erano come fratelli.
- Non è in camera.
Mi fisso di scatto ma tentò di restare calmo; mi conosceva e sapeva che, anche la più piccola cosa, mi agitava. Purtroppo per lui, però, anche io lo conoscevo e sapevo cosa significasse quello sguardo.
- Magari è al lavoro.
- Magari. - Ingurgitai il caffè di fretta accorgendomi di essere in stra ritardo, prima di concludere il discorso. - Quando mai Michele si alza presto?
Mentre corsi fuori dalla cucina per prendere giacca e la borsa, Nico mi bloccò. - Un paio di volte è successo. E smettila di correre che ti di un passaggio io.
- Sicuro? Non sono d'intralcio? - Domandai sorridendogli.
- Tranquilla.
Il tragitto in macchina fu piuttosto silenzioso, cosa parecchio strana perché noi due trovavamo sempre  un argomento di cui parlarle.
Ma c'era anche da dire che erano le 4.40 del mattino e quel svegliarmi così di soprassalto mi aveva un po' rintontita. In più, ero parecchio meteoropatica e quella foschia quasi densa che aleggiava per le strade di Parigi non mi aiutava affatto.
Stavo scendendo dall'auto quando, dopo averlo ringraziato ancora, prese parola.
- Chiara, non è così scemo da fare due volte lo stesso errore.
Gli sorrisi e mi avviai verso la saracinesca del bar.
Odiavo fare l'apertura ma mi miei amici avevo uno stile di vita costoso e, per riuscire a pagare l'affitto, avevo bisogno di coprire più turni.
Lia ed Ele mi avevano ripetuto più volte di non preoccuparmi, che non serviva nemmeno che pagassi, ma era più una questione di soddisfazione personale. 
La mattina, però, trascorreva inesorabilmente lenta; pochissimi clienti, tantissimo sonno e un'ansia incredibile di incontrare Davide. Un conto era averci a che fare con Bianca o, ancora meglio, Tiziano presenti; un altro era doverci parlare senza che nessuno fosse lì ad aiutarmi in caso di bisogno.
Aspettai impazientemente le nove quando arrivò Bianca e, finalmente, potei andare dai miei amici per la consegna dei caffè.
Michele non mi aveva scritto nulla ed ero curiosa di capire perché era fuggito da casa mia come se fosse un'amante segreto.
- Giorno. - Arrivò tutta allegra la rossa raggiungendo dietro il bancone.
- Sei andata da Tiziano? - Scherzai mentre mi misi a preparare i caffè.
Lei diventò bordò. - Attenta a come parli, ragazza di Michele.
Scoppiai a ridere. - Si, certo.
Questa volta però, a differenza degli altri giorni, ero arrossita visibilmente e lei lo notò immediatamente, dopo avermi fissata incuriosita.
- Non hai reagito come al solito. Sputa il rospo!
- Spara cosa?! Sono solo stanca.
Ma le mie guance continuavano a tradirmi assumendo un colore sempre più accesso.
- Tu stai con lui! - Urlò tutta entusiasta e i pochi clienti presenti si voltarono a fissarci.
Le tappai la bocca con le mani. - Shhh. Ma sei impazzita?
Non volevo che si sapesse, sopratutto non in quel momento in cui non avevo la più pallida idea di dove fosse.
- É così?! - Chiese rispettando la mia richiesta, abbassando, finalmente, il volume della voce.
- Si ma ora respira e dammi i caffè.
Ridacchiò ancora e, dopo avermi passato il vassoio, mi diressi alla MN
Feci il giro dell'azienda e conclusi salutando tutti i miei amici, ringraziando ancora Nicolò per avermi salvata, dopodiché andai da Michele.
Ero agitata e provano una strana sensazione all'altezza dello stomaco.
Gli avevo promesso che mi sarei fidata e stavo già fallendo.
Bussai e lui mi fece entrare.
- Buongiorno Cenerentola. Dormito bene?
Era strano parlare civilmente con lui, figuriamoci sentire certi nomignoli che speravo fossero spariti per sempre.
- Dormito poco. - Risposi dandogli il caffè. - E sai quanto non sopporto essere chiamata Cenerentola.
Lui rise.
- Vieni giù a pranzo?
- Se ti fai vedere allora si.
Decisi di parlarne subito, per togliermi il dubbio. Com'era il detto? Tolto il dente, tolto il dolore?
- Perché stamattina non c'eri?
Voleva essere una semplice domanda ma parve quasi che lo stessi aggredendo.
Lui mi fissò confuso. - Avevo del lavoro da sbrigare e sono venuto qui presto.
Che sciocca ero stata. Perché dovevo sempre cercare il lato negativo delle cose?
- Io... scusami. Sono solo stanca.
Mi sorrise e mi sentii ancora più in colpa; come avevo potuto dubitare così?
- Ci vediamo dopo, allora.  - Dissi uscendo dalla porta in preda ai sensi di colpa.
Appena misi piede fuori dalla stanza, mi ritrovai di fronte una ragazza incredibilmente bella e incredibilmente snob che mi guardò in cagnesco e mi superò raggiungendo la sedia sulla quale era seduto Michele.
Adesso i sensi di colpa erano stati sostituiti da una strana gelosia.
Forse non avremmo dovuto tentare di ricominciare, non era possibile che funzionasse, sopratutto non dopo aver udito le frasi della giovane che probabilmente non credeva capissi il francese.
Uscii cercando di non mostrarmi infuriata cosa che, probabilmente, mi riuscì ben poco e mi fermai a metà corridoio per tranquillizzarmi quando incontrai Ricky.
- Chiara, tutto ok?
Non mi ero neanche accorta di lui.
- Chiara, sembri un po' infuriata e sei appena uscita dall'ufficio di Michele, il che non è in buon segno. Dovevo decisamente darmi una calmata. Non potevo ingelosirmi per ogni bella ragazza che incontrava, visto e considerato che faceva lo stilista e lavorava nel campo della moda a stretto contatto con modelle.
- Tutto ok, Ric.
- Devo portare questi a Michy. Sai se c'è dentro qualcuno?
Sbuffai, ripensando a quella ragazza. - Si, c'è una certa Genevieve. Mi sembra di aver sentito che si chiami così.
Lui sbiancò. - Genevieve, hai detto?
Annuii e lo fissai. Forse non era stato solo un presentimento o un attacco di gelosia insensato. - C'è qualcosa che mi devi dire, Riccardo?
Era raro che io chiamassi i miei amici per nome completo, o addirittura nome e cognome, e, quando questo accadeva, significava che mi stavo arrabbiando.
- No, tranquilla, Chiara. Tranquilla.
Era parecchio a disagio perciò decisi di lasciare perdere; dopotutto lui non centrava nulla e, soprattutto, non era la persona giusta dalla quale ricevere rispose.
- Okay, a dopo.
Lo lasciai andare ma, nel momento in cui lui entrò, intravidi la ragazza seduta in braccio a Michele.
Era un deja vu; vidi immediatamente la nostra piscina e lui e Simona.
Ero stata davvero stupita; non avrei mai dovuto cedere. 
Decisi di raggiungere Lia poiché, per uscire, dovevo passare dalla segreteria e, di sicuro, da lei avrei scoperto qualcosa di più.
- Hey, Lia.
Lei fece un cenno col capo e si staccò dal monitor.
- Ehi, Chia.
Mi fermai da lei, presi una sedia e mi accomodai di fronte a lei. Avrei inventato una scusa, o magari sarei stata persino sincera, sulla causa del mio ritardo ma era un problema che mi avrebbe toccato più tardi.
- Parlami di questa Genevieve.
- Perché?
La sua espressione non mi piacque, era la stessa sul volto di Richy.
- Così.
- Dove l'hai vista? - Domandò perplessa la mia amica. Da quando faceva tutte queste domande?
- Sono curiosa, tutto qui.
Il suo sguardo si fece più cupo ma cedette. Sapeva che, con o senza il suo aiuto, avrei scoperto quello che volevo sapere.
- È la più grande spasimante di Michele.
Cosa mi stava a significare quella frase?
- E lui?
Odiavo quando concludeva le frasi così, lasciandomi sempre il dubbio e, nel novanta percento dei casi,  facendomi fraintendere la risposta.
- Dipende.
Sbiancai. Quella parola non mi piacque affatto. Non era la risposta che avevo sperato, ad essere sincera.
- Lia, posso affrontarlo.
Lei sbuffò preoccupata ma non si fece pregare due volte. Probabilmente Nico le aveva parlato di quello che mi era passato per la testa quella mattina.
- Si sono messi insieme due o tre volte e lei non si fa problemi quando lui ha altre.
Questo dettaglio avrei preferito non saperlo, ma d'altronde, l'avevo chiesto io.
Come sempre io ero solo una delle tante altre.
Ero stata nuovamente il suo trofeo da ottenere e, adesso che aveva ottenuto il suo scopo, non gli servivo più; forse Rebecca aveva ragione, forse era lei la Bianchi giusta per Michele. 
- E lui ci sta?
Amelia abbassò lo sguardo e si mise ed osservare un filo molle scappato dalla cucitura della sua maglietta. - Chiara, ti ho già detto troppo.
- Okay, ho capito. Ho sbagliato. Non dovevo perdonarlo. Ottimo. - Dissi sbuffando. - Sono sempre la solita illusa.
- No, non è questo.
Perché dovevo cavarle le parole di bocca? Lo sapevo il perché; non voleva ferirmi.
- E allora cos'è?
- Se la ragazza con cui sta gli interessa davvero, non da retta a Genevieve.
Ogni parola di Lia confermò i miei sospetti.
Non era il mio caso visto che non avevo fatto in tempo ad uscire dal suo ufficio che già stava baciando un'altra ragazza.
- Chiara, puoi stare tranquilla.
Ma anche nelle sue parole sentivo che ci credeva poco persino lei.
- A quanto pare, non gli interesso. - Dissi con una risata isterica. - Devo tornare al lavoro. Ci vediamo a pranzo.
Mi sorrise e tornò ad osservare lo schermo del computer così mi avviai verso il bar.
Dovevo decisamente darmi una calmata; magari mi stavo sbagliato.
Eravamo a Parigi e magari Genevieve era solo una ragazza eccentrica che baciava il suo datore di lavoro sulle labbra.
- Beh, questo non mi sembra il sorriso di una ragazza che ha appena visto il suo ragazzo.
- Perché non l'ho visto. - Risposi a Bianca seccata, pentendomi  immediatamente; lei non centrava nulla. - L'ho visto ma non è il mio ragazzo.
Tornai in postazione dietro al bancone quando una voce mi fece sussultare.
- Quindi non stai con Lorenzotti.
Non di nuovo, soprattutto non quel giorno.
Non ero pronta per mostrarmi forte; ero confusa e avevo la testa pesante. Volevo solo lavorare senza avere preoccupazioni così da svuotare la mia mente.
- Ciao Davide. - Presi un respiro profondo. Non dovevo mostrarmi debole, ne avrebbe approfittato. - Non è affar tuo.
- Sei sempre così dolce?
- Per questo lavoro in un bar. - Dissi sarcastica annuendo. - Cosa vuoi da consumare?
Lui fece un'espressione tra lo stupito e il perplesso; non ero la Chiara che si aspettava di trovare davanti. - Ti eri accorta che ero io?
- Non dimentico le facce delle persone che non sopporto. - Sbuffai; ultimamente era diventato un riflesso involontario. - Che cosa vuoi? Devo lavorare.
Notai uno sguardo da volpe che ci osservava da lontano; Bianca ci fissava in un angolo, divertita, e aveva il cellulare in mano. Mi augurai che non stesse filmando ma il sospetto era proprio quello.
- È una storia della prima superiore.
- Anche Simona lo era ma non mi sembra che tu mi abbia lasciato in pace.
Okay, ero scappata. Ora lo ammettevo: ero fuggita da quella piccola cittadina che non aveva fatto altro che soffocarmi e, adesso, i miei problemi mi stavano seguendo in quella metropoli.
- E poi c'è gente che ha fatto di peggio, no?
Se stava cercando di scusarsi non era il modo giusto.
- Cos'è? La sfida a chi ferisce di più tra te e Michele?
- Che caratterino. Non sei cambiata affatto.
C'era qualcosa nei suoi occhi, una luce folle, che mi intimidii.
- Neanche tu se è per questo.
Fu quai un sussurro perché mi sentivo in soggezione. L'avevo capito fin da subito che niente in quella giornata sarebbe andato come sperato.
Sentii una risatina da parte di Bianca e la uccisi con lo sguardo anche se sarebbe stato un problema futuro.
- Allora, che cosa consumi?
- Lo stesso dell'altra volta.
Avevo sperato si accomodasse al tavolo ma rimase al bancone.
- Arriva il suo caffè macchiato freddo.
- Vedo che te lo sei ricordato.
Mi immaginai la sua espressione, probabilmente stava ammiccando; repressi un conato di vomito e continuai ad armeggiare con la macchina del caffè.
- Vuol dire che ti ricordi le cose che mi riguardano.
Il suo tono mi infastidì a tal punto che cascai nel suo gioco e gli risposi.
- Vuol dire che so fare il mio lavoro. - Mi voltai porgendo il caffè, picchiandolo con un po' troppa forza sul marmo freddo; per un attimo temetti di aver rotto la tazzina. - Sono 1,50€, più altri 3 per avermi fatto perdere tempo.
- Il tuo umorismo è rimasto, Chiara. - Rispose ammiccando nuovamente. Ero veramente stufa; forse potevo essere finalmente libera solo se mi fossi trasferita oltreoceano.
- Non riesci a rompere le scatole a qualcun'altra? Qualcuna tipo Simona?
Ero nervosa già per conto mio e la chiacchierata con l'ex giornalista della scuola non mi aiutò affatto a tranquillizzarmi.
- Okay, bellezza. - Repressi un altro conato di vomito. - Concetto afferrato: non sono più un ospite gradito.
Non salutò e, finalmente, se ne andò ma solo dopo avermi lasciato il bigliettino da visita col suo numero che nascosi immediatamente nella tasca del grembiule.
Bianca mi si avvicinò, ridacchiando.
- Cancella immediatamente. - Le intimai.
- Hai presente chi era il ragazzo con cui stavi parlando? - Chiese entusiasta come una bambina davanti ai regali di Natale.
Mi venne da piangere; la mia vita stava precipitando sempre di più nell'oblio.
- Certo. Davide Abate, il più grande giornalista di moda di Parigi, dopo Ricky ovviamente.
Lei assunse un'espressione divertita. - Michele Lorenzotti e Davide Abate. La tua vita sembra un libro.
Recupera la tazzina e mi misi a lavarla. - Si, un libro di King, però.
- Ma che hai contro Davide?
Sbuffai e asciugai il disastro che avevo fatto. - È solo il secondo più grande stronzo della mia vita.
Ebbi un sussulto nell'udire una voce; la mia vita era molto peggio di un libro horror.
- E il primo sarei io, vero?

(Un)happier than everWhere stories live. Discover now