XII

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Il mattino successivo, quando aprii gli occhi, una tristezza pesante mi assalì.
Odiavo quel giorno, era il mio compleanno. Avevo sempre cercato di non festeggiarlo e le mie amiche, stranamente, riaspettavano questa mia scelta, ma puntualmente c'era sempre stato qualcuno che mi obbligava a sentirmi speciale in quel giorno, che per me, era come gli altri.
E no, non era la mia famiglia bensì Gabri e quest'anno, che non avrei voluto altro che sentirmi importante per anche solo un'ora, lui non c'era.
Sei patetica.
Grazie a quel pensiero trovai la forza di affrontare la giornata.
Presi il cellulare e vidi un messaggio veloce di auguri da Richy.
Mi alzai sbuffando; non avevo voglia di lasciare le calde coperte del mio letto per assistere tutto il giorno, in diretta, alla nuova coppia del momento.
Si ero gelosa, per quando mi dolesse ammetterlo, però era anche vero che l'avevo rifiutato io.
Veder Michele con un'altra non mi avrebbe fatto stare così male se la ragazza non fosse stata Simona.
Ma chi volevo prendere in giro? Mi avrebbe infastidito in ogni caso.
La testa, nonostante mi fossi appena alzata, iniziava già a dolermi, così mi convinsi a pensare ad altro.
Mi guardi allo specchio: avevo un aspetto spaventoso
Che cosa ci aveva trovato uno come Michele in una come me? Una che portava gli occhiali, che non era la più bella della scuola, che aveva spesso i capelli in disordine a causa dei boccoli indomabili, che non aveva il fisico da modella.
Indossai la divisa in preda allo sconforto poi presi lo zaino e raggiunsi la cucina.
Un piccolo post - it era posato sull'isola in cucina.

Sono uscito prima.

Non c'era bisogno lo firmasse, sapevo riconoscere la sua calligrafia.
Probabilmente era andato a prendere la sua nuova ragazza per mostrare a tutta la scuola la nuova coppia. Sicuramente al ballo sarebbero stati eletti re e reginetta.
Presi quel piccolo pezzo di carta e lo accartocciai con rabbia per poi buttarlo nel cestino.
Perfetto, quel giorno stava andando di male in peggio.
Avevo bisogno di parlare con qualcuno, chiunque, pur di non impazzire ma avrei fatto il tratto fino a scuola tutta da sola.
Indossai le AirPods e controllai se i miei mi avessero lasciato almeno un messaggio.
Niente, come sempre.
Esattamente come ogni anno, si sarebbero scusati il giorno dopo, ad andare bene, sostenendo che avevano perso la cognizione del tempo a causa del lavoro.
Diciassette anni e ancora non sapevano quale fosse il girono del mio compleanno.
Con passo spedito raggiunsi la scuola cercando di non pensare, di svuotarle la mente e di concentrarmi solo sulle parole delle canzoni che mi scorrevano negli auricolari.
Ma quel giorno era strano e me ne ero già resa conto quando avevo aperto gli occhi.
Nel momento in cui arrivai a scuola, i corridoi erano completamente vuoti e silenziosi.
Non c'era anima viva; controllai meglio continuando a camminare lungo i freddi pavimenti in marmo, arrivando persino a controllare la data sul telefono credendo fosse sabato.
Ad un certo punto udii una voce. 
- Chiara!
Sembrava tutto così assurdo che mi tirai un pizzicotto per assicurarmi di essere sveglia.
- Chiara! Chiara!
Lo riconobbi immediatamente: era Nicolò. Nella sua voce c'era ansia e terrore.
Gli corsi incontro il più in fretta possibile abbandonando lo zaino vicino ad un armadietto a caso. Appena lo raggiunsi, notai che perdeva sangue dal labbro, che gli aveva macchiato la camicia della divisa.
Non mi diede il tempo di far domande; mi stava già trascinando da qualche parte.
- Michele sta picchiando Davide.
- Dove sono? - Chiesi terrorizzata. Era colpa mia. Dovevo stare zitta e lasciargli vivere la sua vita; non avrei dovuto far vincere la mia gelosia.
Ecco cosa facevo: rovinavo la vita alle persone.
Mi fermai un attimo, in preda all'ansia, e Nicoló dovette sorreggermi.
- Io. Sono stata io. È colpa mia.
Lui mi scrutò con uno sguardo serio che non avevo mai visto sul suo volto, solitamente sempre solare.
- Chiara, non c'è tempo. Ha bisogno di te.
Annuii e presi fiato. Sarei crollata più tardi. Probabilmente concluso tutto, dopo aver realizzato cosa era accaduto, sarei salita su un bus e avrei iniziato a vagare per la città ma adesso dovevo dare una mano al mio coinquilino.
- Dove sono? - Domandai cercando di trattenere i singhiozzi.
- In cortile.
Perché succede tutto in cortile?
Credo di essere stata impalata per un po' perché mi ripresi solo quando Nico ripeté più volte il mio nome.
- Chiama un'ambulanza.
- Addirittura? - Sembrava un po' titubante.
- Tu chiamala.
Senza attendere una sua risposta, corsi verso il cortile.
Tutta la scuola era in cerchio, chi col telefonino in mano, chi urlando "rissa rissa" ma nessuno che intervenisse per fermali.
Era uno spettacolo troppo interessante per essere interrotto e sicuramente tutti volevano sapere il perché di quella lite.
I professori urlavano per farli smettere ma le voci degli studenti sovrastavano le loro e tutti i loro sforzi parvero inutili.
Riuscii a scorgere un breve scambio dì battute.
- Per una scommessa? - Iniziò il mio coinquilino.
Avrei voluto ucciderlo con le mie stesse mani.
- Anche tu hai scommesso su di lei. - Rispose, senza nascondere un ghigno, Davide.
- Si, ma a differenza tua, lei mi piace.
Probabilmente in quel momento ero di un colore simile ad un pomodoro ma non me ne preoccupai; tutti erano troppo concentrati sulla conversazione e nessuno notò il mio arrivo.
Un sussulto generale e poi le urla della folla ancora più forti. Sembrava quasi di essere allo stadio. Infastidita soprattuto dal fatto che il discorso principale della conversazione fossi io, iniziai a farmi spazio tra la folla che non si fece molti problemi a farmi passare; avevo dimostrato che potevano prenderle se si fossero messi contro di me.
Avevo quasi superato tutti quando iniziai a vedere la situazione.
Davide aveva qualche graffio e un occhio nero ma in linea di massima stava bene.
Il problema vero era Michele che era un ammasso unico di sangue.
Un dettaglio che quasi nessuno conosceva, lui stesso tendeva a tenerlo nascosto, era che Davide fosse un campione a livello nazionale di pugilato.
Avevo già una lista di insulti pronti nella mia testa per quell'irresponsabile di Michele ma non avevo tempo di elencarli tutti.
Non feci in tempo a mettermi in mezzo per dividerli che Davide aveva già caricato un pugno che mi arrivo sulla tempia. Caddi per terra e per un attimo persi il senso dell'equilibrio, per non parlare del senso di vomito che mi prese all'altezza dello stomaco.
Purtroppo quel pugno peggiorò solo la situazione: il mio coinquilino attaccò ancora, nonostante orami fosse un ammazzo di sangue e ferite, ma l'avversario parò e contrattaccò tirandogli il colpo di grazia e facendolo svenire davanti ai miei occhi.
Vidi una luce strana negli occhi del giornalista così, con le poche forze che mi rimanevano (il pugno mi aveva stordito) mi misi davanti a Michele per evitare che Davide lo colpisse ancora.
Una fitta alla testa, forse a causa della botta o forse a causa dei ricordi, poi tutto bianco.
Non di nuovo, non era il momento.
Il sangue sul pavimento, il corpo sul suolo.
Non potevo cedere adesso.
Non dovrò farmi impossessare dal ricordo di Gabri.
Feci un respiro profondo, poi un altro fin quando non mi tranquillizzi.
Quando riaprii gli occhi i professori erano finalmente riusciti a portare tutti gli studenti nelle rispettive classi.
In tempo zero, la folla si era eclissata seguita a ruota dagli insegnanti che non erano mai stati così sollevati.
Mi girai verso Davide cercando di risultare aggressiva ma sembrai più che altro esausta, cosa che effettivamente era vera. 
- Sparisci. Subito.
- Ha iniziato lui. - Si difese subito. - E tu lo sai?
- Si. Lo so. - Un altro conato di vomito e un'altra fitta alla tempia. - Ho detto sparisci.
Non se lo fece ripetere due volte e non lo vidi più. Nonostante tutto non ero così convinta se ne fosse andato davvero.
Mi sedetti per terra e appoggiai la testa di Michele sulle mie gambe iniziando a macchiare la divisa scolastica.
- Stupido. Stupido. Idiota. Ma si può sapere che ti ha preso?
Ogni insulto era seguito da una carezza che rendeva il tutto meno credibile.
Non mi interessava se le mie amiche mi stavano fissando preoccupate e confuse o se Simona stava ridendo di me.
Sentii una mano sulla spalla e mi voltai vedendo Nicoló ma, un attimo dopo, non vidi più niente se non il bianco più totale.
Il pugno mi aveva davvero destabilizzato.
- Sarà qui tra un paio di minuti.
Annuii tranquillizzandomi un po'.
Lui si sedette accanto a me e mi controllò la fronte.
- Dovevi dividerli, non buttarti nella mischia.
- Lo stesso vale per te. - Dissi alludendo al suo labbro spaccato che ancora sanguinava.
- Davide. - Concluse lui facendo spallucce.
- Davide. - Confermai io.
Le mie amiche mi portarono un po' fazzoletti così tentai di togliere parte del sangue cercando di migliorare la situazione sul corpo tumefatto di Michele, poi ne passai uno al suo migliore amico affinché si desse una sistemata anche lui.
- Lo sapevi. Per questo mi hai detto di chiamare l'ambulanza.
- Sapevo solo che Davide è campione nazionale di pugilato, tutto qui.
Non era la verità, ma non avevo voglia di parlarne. Non in quel momento, almeno.
Ero stressata, stufa, confusa ma soprattuto stanca che a diciassette anni dovessi affrontare cose più grandi di me.
Ad interrompere la conversazione, fortunatamente aggiungerei, fu Elena.  
- Chi salirà sull'ambulanza con lui?
- Simona. È la sua ragazza. - Tutti mi fissarono e, più degli altri, Nicoló che mi osservò incredulo.
- Cosa avete da guardare? Per una volta Bianchi ha detto una cosa giusta. - Si intromise la ragazza che fino ad un secondo prima se ne stava in disparte a godersi la scena. Ero parecchio convinta si fosse  divertita un mondo, fin quando non aveva scoperto che non era lei la causa della lite.
Ma conoscendola, avrebbe rigirato la frittata e si sarebbe iniziata a vantare con il resto del corpo studentesco che i due ragazzi si erano picchiati per lei.  Non che mi importasse ma non mi piaceva come giocava con le persone, come le considerava delle bambole.
Avevo voglia di farle male.
Infondo era partito tutto per colpa sua e, se fosse successo qualcosa a Michele, gliela avrei fatta pagare questa volta.
Cercai di pensare lucidamente ma l'ovattato che sentivo nella testa e le ripetute pulsazioni non mi aiutarono affatto. Ciò nonostante riuscì a formulare un pensiero.
- Elena vai in moto con Ricky, Lia con Nico. Io vi raggiungo con il bus.
Alla fine mi stupii di me stessa, ero riuscita ad esprimere quello che volevo dire.
Una volta arrivata in ospedale avrei dovuto far controllare anche la mia tempia.
- Dovresti andare tu con Nico. Vi raggiungo io. - Disse Lia affabile.
- No, davvero. Vengo... - Un altro conato mi colpì all'altezza dello stomaco e questa volta, nonostante gli sforzi, dovetti allontanare di scatto il corpo inerme di Michele per vomitare poco più in là.
Le mie amiche vennero subito in mio aiuto e mi tirarono su allontanandomi da li ma stavo già leggermente meglio, così mi spostai sulla panchina e, dopo aver sistemato il mio coinquilino, posai nuovamente la sua testa sulle mie gambe affinché rimanesse inclinata.
- Viene in moto con me. - A parlare era stato Davide. Non volevo accettare ma era evidente che non avevo la forza di prendere i mezzi di trasporto ne tantomeno di farmela a piedi.
- Giuro che non ti faccio niente. - Aggiunse poi.
Probabilmente avevo un'aria truce che era un misto di rabbia e sofferenza.
Se non avessi avuto questa urgenza non avrei mai accettato perciò, anche se parecchio scontenta, annuii.
Dopo pochi minuti arrivò l'ambulanza, che lo caricò, prese Simona e sfrecciò verso l'ospedale.
I miei amici mi domandarono più volte se non avessi voluto essere accompagnata da qualcun altro ma non mi lasciai convincere. Alla fine, anche se controvoglia, salii sulla moto di Davide.
Gli chiesi di fermarsi un attimo a casa mia dove mi cambiai e misi la divisa macchiata di sangue e vomito a lavare.
Sicuramente avrei dovuto comprarne una nuova, pensai.
Stavo per raggiungere Davide, quando un altro conato di vomito mi colpì.
Quando finalmente mi ripresi, lo raggiunsi e sfrecciammo verso l'ospedale. Il problema fu riuscire a tenere gli occhi aperti perché il sonno stava cercando in tutti i modi di impossessarsi di me.
Pochi minuti dopo arrivammo al parcheggio dell'ospedale e, non appena scesi dalla moto, presi parola.
- Grazie. Ora puoi andartene.
Ero fredda ma non potevo certo dire di stimarlo.
Lui non se lo fece ripetere due volte e dopo un paio di secondi fu fuori dalla mia vista.
Non appena se ne fu andato, recuperai il mio cellulare e, nonostante vedessi doppio, riuscii a chiamare Lia.
- Allora?
- Pronto soccorso. Secondo piano, sala B. Hai bisogno di una mano?
- No grazie, arrivo. - Misi giù.
Non era vero ma non volevo mi vedessero in quelle condizioni, non prima del dovuto per lo meno.
La sala B era una stanza con una grande finestra che dava all'interno e un piccolo salotto d'attesa.
Mi sedetti in uno dei due posti liberi, uno di fianco all'altro. Di fronte avevo i miei amici e all'angolo una Simona intenta a fissarci dall'alto al basso.
Senza dire niente, mi sedetti sulla sedia e crollai addormentata.
Quando mi risvegliai erano passate almeno quattro ore.
Davanti a me c'era un dottore in attesa.
- Ti ricordi come ti chiami?
Non ne ero certa.
- Credo Chiara.
Vidi la testa di un ragazzo, che probabilmente conoscevo, annuire speranzoso.
- Okay, non dovrebbe essere tanto grave. - Il dottore mi si sedette accanto. - Tu ricordi cos'è successo?
Ci pensai attentamente prima di rispondere. - Una lite credo. Stavo separando qualcuno e mi è arrivato un colpo alla tempia.
- Secondo i tuoi amici è corretto.
Ecco come si chiamava il ragazzo, Nicoló.
Nonostante il forte mal di testa, stavo iniziando a ricordare un po' tutto.
- Come ti senti?
- Mi pulsa la tempia ma per il resto meglio.
Lui si alzò e si rivolse ai miei amici. - Nulla di grave, un trauma cranico leggero. Poteva andare molto peggio.
- Quanto tempo le ci vorrà per stare bene? - Domando Richy ansioso.
- Non molto. Totalmente in forma è difficile dirlo ma sembra che lo stia superando bene.
Rimanemmo in silenzio e Lia mi andò a prendere una bottiglietta d'acqua per mandar giù gli antidolorifici che mi aveva portato il dottor.
Aspettammo almeno altre quattro ore, le quali le passai quasi completamente in silenzio se non per un paio di parole scambiate con i miei amici.
- Come ti senti? - Chiese Elena un po' preoccupata. Non l'avevo mai vita così agitata.
- Bene davvero.
Arrivò Lia, con un muffin del distributore e una candelini.
- So che non è il migliore dei tuoi compleanni...
Nonostante la pessima giornata, apprezzai enormemente quel pensiero; stava cercando di distrarmi.
Le sorrisi e, quando si avvicinò, l'abbracciai.
Vidi Nicoló pensieroso così gli domandai che avesse.
- Credi che Michy sapesse che oggi è il tuo compleanno?
A rispondere, però, fu Riccardo. - Onestamente sono passati due anni prima che mi dicesse quando fosse nata, quindi lo vedo altamente improbabile.
Io annuii abbastanza convinta e da lì calò nuovamente il silenzio.
L'ansia mi stava logorando ma mai quanto il senso di colpa. Se non avessi premesso alla mia gelosia di accecarmi, non avrei mai raccontato nulla sulla vera natura di Simona e Davide a Michele e ora lui non sarebbe in una sala del pronto soccorso.
Quasi allo scoccare della quarta ora, uscì il medico, lo stesso che mi aveva medicato, e gli corsi incontro preoccupata nonostante il leggero giramento di testa.
Trovai strano il fatto che il medico e Simona si conoscessero (lui le aveva rivolto un cenno di saluto) ma, al momento, non ci feci caso.
- Allora? - Domandai impaziente. Ero veramente preoccupata per lui. Da quando l'avevano portato via con l'ambulanza non l'avevo visto.
- Sta bene. Non ha nulla, se non tanti lividi. Stasera teniamo sotto controllo entrambi e domani mattina, se è tutto apposto, vi rilascio. 
- Grazie.
Feci un lieve sorriso, tentando di trattenermi ma il mio sollevo era evidente.
- Sei la sua ragazza?
Ci misi un attimo a comprendere quello che mi aveva appena chiesto, probabilmente per la botta in testa.
- Chi io? No, no. Sono la coinquilina.
Sentivo le guance in fiamme e lo sguardo truce di Simona su di me.
- Ah, pensavo. - Qualcosa nel suo modo di fare mi era parecchio famigliare. - Potete entrare ma solo uno alla volta.
E l'uomo, seguito dal suo camice bianco, sparì dalla visuale.
- Vai, Chiara. - Disse Lia, accomodandosi e porgendomi un sorriso.
Mi alzai e sentii lo sguardo di tutti su di me però nonraggiunsi la porta bensì mi fermai davanti alla capo cheerleader. - No. Va prima la sua ragazza.
- Invidiosa? - Rispose lei, sentendosi chiamata in causa, superandomi e ignorandomi totalmente.
La presi per il cappuccio della felpa e lei si bloccò.
- Assolutamente no. Ma sappi che se lo fai soffrire quello che ha patito lui oggi in confronto sarà una passeggiata.
Si volto, mi guardò con aria di sfida poi entrò entrò.
Nel frattempo presi il cellulare e chiamai la madre di Michele.
Le spiegai in breve la situazione riferendogli che stava meglio ma che la mattina successiva entrambi avevamo bisogno di che qualcuno cinturasse fuori di li. Non appena conclusi la chiamata, mi rivolsi ai miei amici.
- Ragazzi, se vi lascio le chiavi di casa, organizzate una piccola festa di bentornato per lui?
Mi fissarono perplessi e gli spiegai che l'idea era della madre; loro accettarono di buon grado probabilmente perché diedi loro le chiavi e avevano tutta casa a disposizione finì alla mattina successiva. Stavano per andarsene quando chiamai Nicolò e lo presi in disparte.
- Tu non vuoi restare a parlare?
- No, preferirà vedere te.
Arrossii e mi girai dall'altra parte, aspettando che Simona uscisse quando lui prese nuovamente parola.
- Sapevi delle intenzioni di Michele, non mentirmi.
- Io...
- Ti stai dannando da stamattina. 
Mi voltai nuovamente verso di lui. - Ieri sono andata a parlargli. Gli ho detto tutto e lui mi ha risposto dicendo che avrebbe ucciso Davide. Quando ho capito fosse serio, l'ho pregato di non farlo.
Rimase in silenzio un attimo. - Perché hai deciso di raccontarglielo? Prima eri contraria.
Mi sentivo davvero una persona orribile in quel momento e non volevo ammetterlo ma dovevo essere sincera almeno con lui. Glielo dovevo. - Li ho visti baciarsi e sono impazzita per la gelosia. Scusa.
Silenzio. Poi, d'improvviso, mi abbracciò. - Va bene così. Hai fatto bene, Chiara.
Non appena si staccò, iniziò a camminare verso l'uscita ma udii comunque quello che mi disse. - Ci vediamo domani mattina.
Dopo una ventina di minuti, la porta si aprì e la bionda se ne andò ignorandomi totalmente come se neanche esistessi e, soprattuto, più furente che mai.
Un po' titubante, presi coraggio e decisi di entrare. Vidi il castano, seduto sul letto, in attesa di qualcosa o qualcuno e la poltrona, sulla quale avrei passato la notte, già pronta nell'angolo.
- Ciao.
Era stato così soffocato e timido che dovetti ripeterlo nuovamente per paura non mi avesse sentito.
- Ciao.
- Ehi.
Mi fece un sorriso raggiante seguito subito dopo da una smorfia dì dolore così mi avvicinai a lui.
Mi arrabbiai o, per lo meno, ci provai.
- Ma sei impazzito? Ti ha dato di volta il cervello? Cosa ti...
- Tu come stai? - Mi domandò interrompendomi.
Sorrideva e lo faceva per la mia faccia buffa.
- Eh? Non capisco.
Era lui quello che le aveva prese da Davide, era lui quello che era in uno stato pietoso eppure si stava preoccupando per me.
- Capisci benissimo invece. Rispondi sinceramente. Come stai? - Continuò imperterrito, senza mai levare quel sorrisino ironico che in passato avevo tanto odiato ma che adesso era quasi una droga.
- Meglio. - Ammisi alla fine. Il silenzio tra noi si fece nuovamente imbarazzante cosicché ripresi parola.
- Ma tu niente affatto. - Dissi cercando di mantenere il broncio anche se orami era evidente mi fossi addolcita.
- Oh, eccome se sto meglio.
Sembrava davvero serio; non riuscivo proprio a capirlo. Ah, i ragazzi.
Dopo pochi minuti entro il medico.
- Domani potete tornare a casa. La madre di Michele ha già firmato tutto.
Poi, dopo avermi osservata attentamente si rivolse nuovamente a me. - Sicura di non essere la sua ragazza? - Disse alludendo al fatto che Michele mi aveva presa per mano un istante esatto prima che entrasse.
- Si, ne sono sicura. - Risposi a denti stretti spostando di scatto la mano per l'imbarazzo.
Mi misi ad osservarlo meglio anche io con la sicurezza di averlo già visto.
Quella sicurezza si rivelò esatta e fu come un fulmine a ciel sereno.
- Come tornate a casa? - Domandò ancora il signore.
- In pullman. C'è la fermata proprio davanti a casa nostra.
Dopo un attimo di indecisione, la curiosità ebbe la meglio. - Lei è il padre di Davide, vero?
- Si. perché?
Era una domanda così strana?
Io e Michele ci guardammo imbarazzati.
- Farebbe meglio a controllare come sta suo figlio.
Si girò verso il mio coinquilino, ridacchiando. - Non avrai mica...
lo interruppi io, imbarazzata. - Si, l'ha fatto.
- Allora tu sei quella Chiara.
Avrei voluto sprofondare o, ancora meglio, tirarmi un altro punto in fronte.
- Vedo che suo figlio le ha parlato di me.
Lui annuì soltanto per poi sparire nuovamente.
La nottata passò tranquilla. Io mi accomodai sulla poltrona che il dottore mi aveva preparato e prima di dormire guardammo insieme un po' di video su YouTube.
La mattina successiva, il risveglio fu un po' tragico.
Avevo ancora una sensazione di ovattato nella testa e Michele non era affatto messo meglio: diceva di avere dolori ovunque e non ne dubitavo affatto.
Quando il padre di Davide venne a controllarci prima di lasciarci andare, cercai di tagliare corto per evitare altri discorsi imbarazzanti. Presi il moro per un braccio e lo trascinai via mentre parlavo.
- È stato davvero un piacere rivederla. Arrivederci.

(Un)happier than everWhere stories live. Discover now