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- E il primo sarei io, vero?
Appena sentii la voce di Michele, un brivido mi percorse la schiena.
Quanta sfortuna potevo avere per far sì che passasse al bar nel momento esatto in cui parlavo di lui?
In più, ero abbastanza confusa da tutto quello che stava accadendo e non avevo affatto voglia di parlargli; temevo di ferirlo perché, nonostante lui continuasse a farlo, io ci tenevo.
- Non dovresti essere al lavoro? - Domandai visibilmente a disagio. Avrei voluto chiederli come mai non fosse con la super modella di poco prima ma mi morsi il labbro abbastanza forte da rimanere zitta.
- Non cambiare discorso. - Disse con quella sicurezza spocchiosa che lo aveva caratterizzato per anni. - Il primo sarei io?
- Si, Tiziano, arrivo subito! - Urlai fingendo di dover dirigermi in cucina ma Bianca mi bloccò.
- Tranquilla, ci vado io.- E si diresse nell'altra stanza nonostante sapesse che il suo ragazzo non mi aveva chiamato realmente perché al momento c'eravamo solo noi due.
- Chiara, puoi spiegarmi la tua reazione? Cambi stato umorale da un secondo all'altro.
Gli arrivò una chiamata sul telefono che mi consenti di non dire cattiverie.
- Ne riparliamo più tardi, va bene?
Annuii seccata. Il discorso poteva considerarsi chiuso li, per me. - Lavoro?
Mi fece un cenno positivo con la testa e, d'istinto, lo schernii. - Immagino.
Mi guardò confuso per poi voltarsi e uscire dalla porta dove notai l'ombra di un uomo.
Sperai di aver visto male e tornei a lavorare sperando che Bianca tornasse in fretta.
Le ore successive furono una tortura.
Nella mia mente continuavano ad alternarsi l'immagine di Michele con la sua "collega" e quella di Davide, che stava sicuramente tentando di combinare qualcosa.
Probabilmente dovevo aver fatto qualcosa di davvero crudele nella mia vita precedente per essere finita in quella situazione assurda.
A pranzo arrivarono tutti insieme, tutti tranne Michele ovviamente.
Visibilmente in imbarazzo, mi avvicinai a loro tentando di non far caso al nodo in gola che li si stava formando in gola.
- Iniziò già a portarvi i vostri ordini?
Fallì miseramente perché tutti notarono il tremolio nella mia voce.
Dopo essermi avvicinata, sussurrai a bassa voce a Ricky, che in quel momento era probabilmente l'unico che poteva capire, dove fosse Michele.
Lui rispose che non lo sapeva e gli altri, che dovevano aver già parlato tra di loro, mi diedero l'okay per portare loro il pranzo.
In cucina preparai anche quello per il mio "ragazzo" con una malsana voglia di tirarglielo in faccia.
Quando tornai in sala, vidi  non solo che Michele era arrivato ma anche che con lui c'era questa tanto nominata Genevieve.
Portai i piatti e lui mi salutò come se niente fosse.  - Ciao amore.
- Amore un cazzo. - Dissi sbattendogli il piatto sotto gli occhi voltandomi, dimenticando quasi della presenza della modella al suo fianco.
- Genevieve, what do you want? - Chiesi in inglese sapendo che lei non parlava italiano.
Volevo mostrarmi superiore ma ero ferita e il compreremmo di lei, che  avvicinò la sua sedia a quella di Michele e iniziò nuovamente a fare la gatta morta, non mi aiuto affatto
Non dovevo reagire, dovevo mostrami adulta, ma in quel momento il biglietto da visita che avevo nella
tasca pesava più di un macigno.
Avrei potuto andare da Davide, raccontargli ogni dettaglio della vita di Michele per far sì che lo pubblicasse, dirgli dove aveva trovato i soldi per aprire la MN e raccontargli di tutte le relazioni segrete che avuto.
Queste non me le aveva raccontate lui ma le avevo scoperto per vie traverse e, che non fossero del tutto veritiere, poco mi importava. 
Adesso li ammazzo entrami fu il mio pensiero.
A destarmi da quei pensieri orribili fu la voce, perfetta anche quella, della ragazza. 
- A mediterran salad without... - Lei si avvicinò all'orecchio di lui per chiedergli l'ingrediente e rispose lui.
Ero arrabbiata con entrambi ma la colpa non era della ragazza; lei ci aveva provato, era Michele che c'era stato nonostante fosse già impegnato.
- Fai come lo prepari a me, grazie Tesoro.
- Tesoro. Un. Cazzo.
Andai in cucina e, dopo aver preparato il piatto, mi venne una grande voglia di sputarci dentro, molto in stile Rachel di FRIENDS, cosa che però non feci.
Tolsi il biglietto da visita bianco dal grembiule e lo osservai in silenzio; decisi di bruciarlo.
Io non ero Michele.
Tornai in sala chiedendomi  che senso avesse essere gentile con le persone se tanto, loro, non facevano altro che sputarmi addosso; per mezzo secondo mi pentii di aver bruciato quel foglietto ma, fortunatamente, fu solo una sensazione passeggerete.
Diedi il piatto alla ragazza ma, a riprendere parola, fu Michele.
- Chiara, sei gelosa?
Non risposi ma il mio sguardo era eloquente.
- È entrata in ufficio solo per lavoro.
Schioccai la lingua contro il palato ma continuai a non parlare; avrei detto solo cattiverie.
A salvarmi da qualche insulto pesante fu Ricky, che fece finta di tossire ma disse testuali parole.
Michy, ti conviene restare zitto.
Lo sguardo di Mic si fece duro e continuò la sua farsa; perché credeva fossi stupida?
- Ma non è successo niente. È solo entrata a consegnarmi dei bozzetti.
Lei gongolò.
Quel gesto mi irritò e allo stesso tempo mi fece strano; se non capiva l'italiano, perché aveva compiuto quel genato? Forse me l'ero solo immaginata.
Nanetto fece nuovamente finta di tossire. - Michele, smettila. Vi ha visto.
Il ragazzo divento bordeaux ma non si scompose tanto che Lia, visibilmente irritata, prese parola. - Certo che te le cerchi proprio.
- È già tanto che ti abbia perdonato dopo il matrimonio. - Continuò Nicolò che mi lanciò un'occhiata eloquente, la stessa della mattina. Sapeva che non ero scema.
- Da quando sei così? Fossi stat in lei io non ti avrei perdonato. - Concluse Ele.
Ci fu un attimo di silenzio; era raro che la biondina prendesse le parti di qualcuno che non fosse lei stessa e io riamasi immolata.
Mi faceva piacere che i miei amici mi dessero ragione ma non volevo dipendere da loro, volevo dimostrare di essere abbastanza forte da sola, anche se era tutta una maschera.
- Grazie ma mi difendo da sola. - Lasciai sul tavolo il conto e mi avvicinai a quello che teoricamente doveva essere il mio ragazzo. - Ah, scusa ma stasera non riesco proprio venire.
- Perché? - Mi fissò perplesso.
Aveva pure il coraggio di chiedere? Mi sentivo presa in giro e allo stesso tempo avevo bisogno di vendetta.
- Devo uscire con Davide.
- Tu non lo farai. - Disse infuriato.
Avevo ottenuto la reazione che speravo e il risultato qual era? Che credeva di poter decidere della mia vita.
- Già, non lo farò. - Dovevo restare calma e non fare scenate perché ero comunque sul posto del lavoro - A) Se possibile, lui mi fa ancora più schifo di te. B) Non mi chiamò mica Michele.
Detto questo me ne andai dietro al bancone e lo osservai da lontano; vidi la sua espressione metà tra il cane bastonato e il ferito.
Che cosa credeva? Che mi bevevo tutte le sue balle? L'unica cosa che gli aveva chiesto era di non ferirmi e non ci aveva messo neanche un giorno per farmi ancora del male.
Fine della storia. In tutti i sensi.

Quando arrivai a casa mi buttai sul letto e presi il cellulare. Senza rendermene conto il mio dito fino sulla chat di whatsapp di mia sorella, che stranamente era online.
L'impulso di scriverle era troppo forte ma mi trattenni e feci scorrere il mio dito fino ad un'altra chat.

Tu: ho bisogno di parlare
Tu: ci saresti?

Passarono pochi secondi che arrivò una chiamata sul cellulare e d'istinto sorrisi.
- Psicologo Longo al suo servizio.
Finalmente una voce che mi fece sentire protetta. Certo, le mie amiche mi stavano difendendo ma, allo stesso tempo, diventano restare pur sempre abbastanza neutrali o avrebbero putito perdere il lavoro in uno scatto d'ira di Michele.
Appena sentii la sua voce, scoppiai in lacrime e lo aggiornai su tutto.
La lite con Rebecca, tutto quello che era accaduto con Michele e persino di Davide.
Mi piaceva parlare con Martino; ti sapeva ascoltare e sapeva dare degli ottimi consigli.
Restammo al telefono per ore e quando finalmente attaccai mi sentii più leggera.
Dopo aver conclusa la chiamata, sentii bussare alla porta.
- Non ho voglia di parlare. Andatevene tutti e quattro.
Loro entrarono lo stesso e Amelia prese parola. - Come facevi a sapere che eravamo noi?
Elena parve più offesa. - Non hai voglia di parlare con noi. Sei al telefono da almeno tre ore.
Ignorai la biondina e risposi alla ricca tentando, nel frattempo, di assumere una posa dignitosa. - O voi o un ladro.
- Come va? - Chiese in imbarazzo Nico. Odiavo quando faceva così, quando si prendeva carico delle colpe di Michele per far sì che non mi arrabbiai troppo.
- A meraviglia. - Sentivo il viso secco a causa delle copiose lacrime che avevo versato durante la chiacchierata con il rosso ma almeno non stavo più piangendo. - Se si esclude che mi sento così stupita...
- Che è esattamente quello che sei. - Continuò Elena che, poco dopo, rimediò ma solo a seguito di un'occhiataccia da parte di Riccardo. - Ma non in questo caso, ovviamente.
Lia mi fissò. - Allora che hai intenzione di fare?
I consigli di Martino erano stati preziosi e prima o poi avrei fatto come mi aveva consolidato ma avevo bisogno di tempo per ammettere che avevo bisogno di tagliare tutti i legami con Michele.
- Di guardarmi 13 Reason Why su Netflix.
Ricky mi guardò torvo ma restò al gioco. - Troppo deprimente. Se proprio ti devi guardare qualcosa allora Stranger Things.
Nicolò lo guardò male e prese parola. Sapevamo tutti che non era quello il nocciolo della situazione.
- Ha appena chiamato. Ha detto che sarà qui tra dieci minuti.
- Bene.
Continuai a fissarli ma non aggiunse altro. Che volevano da me? Che lo perdonassi un'altra volta?
Lia sbuffò; ondava cavarmi le parole di bocca. - Che hai intenzione di fare?
Dovevo fare quello che era giusto, non quello che mi andava. La "Chiara" di una volta l'avrebbe invitato finché non si sarebbe arreso ma ero un'altra, ero rimasta scottata e odiavo le ingiustizie. Dovevo sorbare e il coraggio di chiuderla lì.
- Ho scelta?!- Perché doveva essere tutto così complicato? - Uscirò.
Per me, quella discussione poteva considerarsi conclusa, tant'è che cercai di recuperare il mio portatile che Nico mi aveva sequestrato quando erano entrati.
- E? - Domandò Elena.
Chiara e coincisa. 
- E metteremo le cose in chiaro.
- E? - Chiese a sua volta Ricky.
- Dio li fa e poi li accoppia. - Dissi alzando gli occhi al cielo. - È finita. Stop. Basta. Ciao. Chiaro?
- Ma Chiara...
Sapevo cosa stava per dirmi Lia ma non avevo voglia di ascoltata.
- Niente Ma Chiara...
Il suo viso assunse una sfumatura rabbiosa. - No, tu mi ascolti.
- Lia, soffrirò. Ma sarà sempre meglio che essere tradita. - Dissi alzandomi e sbattendoli fuori dalla stanza. - E adesso fatemi dare una sistemata.
Controvoglia, mi alzai dal letto e misi i primi abiti decenti che trovai nella pigna che si era lentamente creata sulla sedia e mi diressi verso la porta quando udimmo suonare il campanello.
Amelia andò ad aprire nonostante le mie proteste.
Sentii una voce in sottofondo, ancora nascosta dietro la porta socchiusa della mia camera, ma compresi lo stesso le parole. - Chiara verrà?
- È troppo buona con te. - Rispose Lia. Ormai era troppo tardi per tirarmi indietro cosi mi affacciai e lui mi sorrise.
- Andiamo? - Domandai, tentando di non sentire le palpitazioni nel petto accelerare.
Lui diventò rosso in viso e io mi maledii. Non potevo trovarlo adorabile, non dopo che mi aveva tradito. Ero una stupida che amava crogiolarsi nel proprio dolore.
- Non mi stava prendendo in giro?
Lia mise un finto broncio. -Ehi, per chi mi hai preso, scusa?
Scoppiammo tutti a ridere, io e lui principalmente per non pensare alla situazione imbarazzante nel quale ci stavamo andando a cacciare.
Presi la giacca e mi avvicinai a lui, impaziente. - Allora, andiamo si o no? Non ho mica tutta la sera, scusa.
Mi guardò confuso. - Che altro devi fare?
- Finire FRIENDS e iniziare Stranger Things, ovvio. - Dissi ironica avviandomi al vecchio ascensore che mi terrorizzava coi suoi suoni sinistri e cigolanti. Nonostante fossi terrorizzata di restare bloccata al suo interno, la pigrizia vinceva sempre.
- Ah ecco. Allora andiamo. - Disse seguendomi, chiudendo la porta alle spalle.

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