VI

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Il pranzo passò molto lentamente.
Dopo avergli risposto male poche ore prima, non sembrava più disposto a parlare.
Non mi pentivo affatto di quello che gli avevo detto; lui non aveva alcun diritto di parlare di Gabriele, soprattutto con me.
Era tornato il Michele di tutti i giorni ed era proprio il quello che non mi piaceva affatto.
Antipatico, saccente e prepotente, credeva di essere a scuola e di poter comandare su tutto e su tutti.
- Ti piaceva?
Non doveva permettersi di parlare di lui, benché meno di fare queste domande assurde.
- Non parlare di Gabriele con me.
Tirò un pugno rabbioso contro il piano di marmo, per poi tentare di calmarsi l'attimo successivo.
- Chiara, non è colpa mia.
- Davvero?
Provai a restare calma ma avevo una voglia di fargli male, di fargli provare tutto quello che avevo, e che aveva, passato a causa sua.
- Non è colpa mia se De Angelis si è buttato giù dal tetto.
Come poteva parlarne con questa calma e tranquillità? Come poteva credere che non fosse anche anche colpa sua il fatto che Gabriele si fosse suicidato?
- Ti piaceva?
Perché ancora questa domanda? Cosa ti cambia se mi piaceva o no?
- E anche se fosse?
Notai il suo sguardo farsi glaciale, ma dalla sua bocca non uscì nemmeno un suono.
- No, non mi piaceva. Era come un fratello però. E adesso non parlarne mai più se vuoi che ti rivolga ancora parola.
I muscoli di Michele, sotto la maglietta aderente, sembrarono sciogliersi un po'.
- Mi sento in colpa ogni giorno.
Si fece silenzioso e non disse più nulla. Non volevo credergli ma sembrava sincero.
Cercai di cambiare discorso e di essere nuovamente gentile. Non potevo, anzi non dovevo, mostrarmi debole davanti a lui.
- Allora, proponi un argomento. - Dissi dolcemente mostrando il sorriso più falso che avessi mai fatto in vita mia.
Rimase in silenzio per un po' a studiarmi; probabilmente non capiva il mio cambio di stato d'animo.
In quel momento di quiete, mi concessi il privilegio di osservarlo: i capelli castani scuro, quasi neri, un po' spettinati gli contornavano il viso quasi perfetto dove due occhi blu osservavano in giro assonnati l'ambiente circostante.
Dovetti ammettere che era bello, ma una bellezza oggettiva; sapevi di mentire se dicevi che Lorenzotti non era bel ragazzo.
Aveva il suo fascino che lo rendeva ancora più magnetico e conosceva tutti i suoi punti di forza, sfruttandoli per far sentire inferiori gli altri.
Mentre ero persa nei miei ragionamenti e nel mio studio approfondito della sua personalità, la sua voce mi chiamò facendomi rinvenire dai miei pensieri.
- Sai che le foto durano più a lungo?
Mi disse la stessa frase di due giorni prima, della volta in cui era venuto nella mia casa precedente e al contrario dell'altra volta decisi di non dargliela vinta e non mi arrabbiai.
Non lo feci probabilmente perché avevo capito che l'aveva detto solamente per fare conversazione, e quindi senza cattiveria, o forse perché il suo fascino stava iniziando a fare effetto anche su di me.
Mostrai un sorriso divertito e notai che anche la sua rabbia si placò leggermente.
- Che facciamo?
Lui si guardò intorno pensando a qualche attività da propormi.
- Dipende da che ore sono.
Mentre discutevamo su come passare il resto della giornata, mi misi a sistemare i piatti del pranzo perché non volevo che i nostri genitori, al ritorno dal lavoro, vedessero il disordine lasciato da noi.
- Ma tu sistemi sempre?
La sua voce aveva un non so che di malizioso perciò decisi di stare al gioco.
- Solo in questi giorni. - Risposi facendo un occhiolino. - Per fare una bella figura.
- E con chi?
Vidi i suoi occhi farsi leggermente più glaciali, ma fu solo un'istante.
- Con i tuoi genitori.
- Peccato. - Scoppiammo a ridere e nel suo viso notai, per un solo attimo, spensieratezza. Non mi era mai capitato. - Speravo volessi fare bella figura con me.

La sera, poi, si avvicinò piuttosto in fretta e iniziai a sentire subito l'ansia.
Il pomeriggio era passato tranquillamente ed era stato anche divertente; ero stata tutto il tempo in camera sua a giocare ai videogames.
Il tutto era partito dal fatto che Michele sosteneva che i ragazzi fossero più forti, convinzione che svanì poche ore dopo quando si arrese dopo le mie cinque vittorie schiaccianti.
- E con questa sono cinque.
Lui mi spinse con gentilezza buttandomi contro il sacco - puff.
- Tutta fortuna.
Il suo sguardo divertito non faceva altro che aumentare la mia risata.
- Sono davvero molto fortunata, allora.
- Ovvio, vivi con me.
Alzai gli occhi al cielo e questa volta fu lui che non riuscì a trattenere le risate.
- Rivincita, Chiara?
Presi il cellulare.
18.56
- Mic, siamo in ritardo. - Dissi scattando in piedi, passandogli il joypad e correndo nella mia stanza.
Mi doleva ammettere che avevamo passato un buon pomeriggio insieme; mi sembrava di tradire la memoria del mio migliore amico.
Spalancai l'armadio e sbancai ricordando solo in quel momento cosa avessi dovuto fare quel pomeriggio: comprare un abito.
Lanciai un urlo disperato e Michele entrò in camera mia, un po' preoccupato.
- Che è successo?
Probabilmente in quel momento il mio volto esprimeva solo terrore perché mi si avvicinò, quasi spaventato.
- Chiara?
- Mi sono dimenticata di comprare l'abito.
Fece un profondo sospiro di sollievo, mi guardò con soddisfazione e, dopo essere andato non so dove, tornò con una scatola in mano.
- Mi sono dimenticata di darti questa.
Mi passò una busta e solo in quel momento mi resi conto che era stato tutto un piano del ragazzo farmi perdere il pomeriggio. Era evidente che quella busta era in sua possesso da almeno un giorno. Probabilmente l'aveva acquistato quando era andato a comparare la cena; solo più tardi mi resi conto di quanto stessi sbagliando.
La scritta bianca Chanel, con la camelia del medesimo colore, sul sacchetto nero opaco mi fecero intuire che Michele mi conosceva meglio di quando facesse credere.
Aveva scelto la mia casa di moda preferita e non è un dettaglio noto a qualsiasi sconosciuto, tanto meno a uno con cui non hai mai scambiato altro se non insulti.
- Non posso accettarlo. - Dissi cercando di ridargli il regalo che lui non accettò.
- L'ho preso per te. E non hai tempo di cercare altro.
Fu l'ultima cosa che disse prima di sparire nuovamente dalla mia stanza, tutto gongolante.
Guardai nuovamente l'orario; aveva ragione, non avrei mai trovato un altro abito in tempo per la serata ma d'altro canto non avrei nemmeno potuto accettare un regalo così costoso che valeva probabilmente quanto la mia vecchia casa.
Mi arresi; l'avrei restituito non appena si fosse conclusa la serata.
Dal sacchetto, tolsi una scatola finemente impacchettata. Notai immediatamente un bigliettino con una calligrafia stranamente elegante, per essere quella di un ragazzo di quattordici anni.

(Un)happier than everDove le storie prendono vita. Scoprilo ora