XIV

146 11 5
                                    

Dovevo smettere di pensare a me e lui come ad un noi; non avrei fatto altro che procurargli dolore perché così era la mia vita.
A diciassette anni appena compiuti, avevo vissuto in una famiglia che più volte aveva ammesso di non volermi, avevo avuto un amico, il più caro di tutti, che io non ero riuscita a salvare ed ero sempre stata un'insicura di prima categoria.
Non che il mio fisico aiutasse; con la mia corporatura robusta e il mio portamento goffo, con il mio naso enorme e quegli stupidissimi occhiali non potevo ambire a chissà quale autostima vivendo con una modella e col ragazzo più bello che avessi mai visto.
E a complicare tutto ci si era messa anche la rissa, quella stupida lotta tra due ottusi maschi alfa che era stata la chiara dimostrazione che non facevo altro che portare dolore nelle vite altrui.
Inoltre, a Michele me avevo già fatto parecchio, di male: l'avevo ingiustamente accusato della morte di Gabriele, quando era stato uno dei pochi dalla sua parte, e ciò l'aveva portato all'autolesionismo. L'avevo sempre giudicato una persona orribile nonostante tutti gli errori commessi erano solo stati il suo modo per riuscire ad avvicinarmi.
Erano stati i miei pregiudizi a farlo soffrire così a lungo e decisamente non se lo meritava.
Era inutile pensare di dargli qualche speranza.
Mi piaceva? No, io lo amavo.
E come facevo ad esserne certa? Dopotutto avevo solo diciassette anni.
Ne ero sicura perché avrei fatto di tutto per lui anche se, come sostenevano i miei amici, avrei fatto qualunque cosa per ciascuno di loro. Letteralmente qualsiasi cosa.
Allora cosa rendeva effettivo il fatto che non fosse solo una cotta passeggera?
Io lo amavo perché avevo il bisogno di stargli vicino, perché mi mancava anche quando lo avevo appena visto, perché non riuscivo a smettere di pensare a lui.
Ma sopra ogni cosa, lo amavo perché avevo deciso di lasciarlo fuori da quel disastro che tutti continuavano a sostenere fosse la mia vita, nonostante ciò non faceva altro che aumentare la mia tristezza e il mio malessere.
Sbuffai e trattenni le lacrime, presi il cuscino e ci urlai dentro; qualsiasi cosa pur di non uscire da quella stanza e corrergli incontro.
Mi sarebbe bastato un semplice abbraccio o anche un suo sorriso anche se orami, da quando avevo letto la lettera, avrebbe significato perdermi a osservare le sue perfette labbra che desideravo vacuare una volta ancora.
Per lui; dovevo ricordarmi che lo stavo facendo per Michele.
In quel momento avevo bisogno di supporto, di consigli, necessitavo di qualcuno che mi dicesse che c'era del buono in me, che ero meglio di come tendevo a considerarmi e quel qualcuno si era buttato giù dal tetto di una scuola perché non ero stata capace di salvarlo.
Era inutile che dare la colpa agli altri come avevo sempre fatto perché Martino aveva sempre avuto ragione: ero io la sua migliore amica.
E stavo decisamente iniziando a dare i numeri se mi convincevo che in qualche modo, in uno qualsiasi, Martino potesse avere ragione.
Sbuffai ancora e guardai davanti a me; inutile scappare, dovevo affrontare il suo fantasma che se ne stava lì, inerme e freddo ad osservarmi.
Una stupida scatola ben impacchettata con un bigliettino.
Era questo che restava di Gabriele De Angelis: una stupidissima scatola.
Se non avessi notato la scrittura su quel piccolo pezzo di carta, avrei dubitato fosse davvero suo; detestava mettere i bigliettini di auguri suoi regali poiché li considerava ipocriti. Era senza succiò particolare come persona, forse per questo avevamo legato tanto.
Ma forse aveva fatto bene a metterlo, aveva capito che necessitavo davvero dei migliori auguri del mondo per trovare il coraggio di spalancare quello scrigno di Pandora.
Rimasi lì a fissarla e a fissarla ancora; persi il senso del tempo.
Sarebbe stata l'ultima cosa che mi legava a lui e aprirla significa digli addio per sempre.
E se, in qualsiasi modo, mi avesse creato false speranze? O, ancora, se mi avesse distrutto più di quanto non lo fossi già?
Rimettere insieme i pezzi era stato veramente complicato in quei mesi e non avevo voglia di ricominciare tutto il lavoro da capo.
Non avrei più potuto prendermela con lui perché lui non c'era più ed era proprio questo a spaventarmi.
Ma ero forte, lo ero sempre stata e non potevo far vincere una stupida scatola.
Staccai con tutta la calma del mondo il bigliettino scritto con cura e lo aprii.

(Un)happier than everDove le storie prendono vita. Scoprilo ora