III

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Tutto quello che desideravo quella sera era semplicemente dormire.
Dopo essermi spogliata e aver lanciato i miei vestiti in qualche angolo sperduto della mia camera, mi ero buttata esausta nel mio letto, sotto le calde coperte.
Quella giornata era stata fin troppo assurda: la scommessa, il bacio, la presidenza, il figlio dei soci e il lato umano di Michele. L'ultimo punto era stato in assoluto il più assurdo.
La chiacchierata con il ragazzo mi aveva lasciato addosso una sensazione assurda; pareva quasi gli interessassi, anche se probabilmente era solo una tattica per l'ennesima stupidissima scommessa.
Sentii un leggero bussare seguito dalla voce di mia madre.
- Possiamo entrare?
Istintivamente alzai gli occhi al cielo; l'unica cosa che desideravo era dormire e dimenticare tutto l'accaduto della giornata.
- E anche se vi dicessi di no?
Non avevo affatto voglia di intraprendere una conversazione con loro o meglio, di subire una ramanzina. Dopotutto stavolta non avevo fatto una delle mie semplici malefatte, avevo picchiato un ragazzo e me la meritavo.
- Loro entrerebbero comunque. Esperienza personale.- Disse mia sorella, appena tornata dal suo appuntamento, mentre aprì la porta ed entrò con i diretti interessati.
Ci mancava solo lei. - Allora sorellina, com'è andata?
Non avevo voglia di parlare; dopotutto sapeva che sarebbe venuto e, dopo averle raccontato l'accaduto, poteva farmelo sapere in modo tale che fossi più preparata.
- Tu lo sapevi! Sappi che ti sei giocata la mia fiducia.- Dissi fingendo di mettere il broncio ironicamente; era inutile litigare con lei, i miei genitori l'avrebbero difesa a spada tratta sempre e comunque.
Rebecca era la figlia perfetta: la migliore in tutto quello che faceva, che fosse la scuola, il lavoro, le relazioni o gli hobby. E tra le due, era anche stata l'unica desiderata; io ero più che altro un incidente di percorso e non c'era occasione in cui la mia famiglia non me lo facesse notare.
Sono arrivata sette anni dopo per errore; il fatto che non soddisfi le aspettative dei miei genitori, al contrario di mia sorella, non mi fa guadagnarne molti punti.
- Sopravviverò.
Ci fu in silenzio imbarazzante nel quale la mia famiglia si accomodò sull'altro letto e io dovetti abbandonare la mia posizione comoda, sotto il loro sguardo tutt'altro che contento.
- Allora... - Disse mio padre. Quando iniziava i discorsi così c'era davvero da preoccuparsi: significava che ne avevo combinata una grossa.
La prima volta che avevo sentito quella parola era stato a quattro anni quando, per sbaglio, avevo rischiato di prendere fuoco perché ero troppo vicino al camino a leggere. Ovviamente anche lì la colpa era mia perché ero stata imprudente e non loro perché non mi stavano controllando.
- Allora... - Ripetei io, non controllando uno sbadiglio.
- Dobbiamo parlare. - Decretò mio padre.
- Altrimenti non sareste qui. - Dovevo trovare un modo per tagliare il discorso il più velocemente possibile. - Senti, so di aver sbagliato e abbiamo chiarito. È tutto okay tra di noi.
- Ci fa piacere sentirtelo dire. - Continuò mia madre in tono calmo, cosa decisamente non da lei. Era come dire che Elena non stava criticando una qualsiasi cosa che la infastidiva ed Amelia non era arrabbiata per una ragione futile. - Ma è importante che tu ci dica cosa è successo.
Non avevo voglia di parlarne ancora ma il loro sguardo mi fece intuire di non avere molta possibilità di scelta.
- Mi ha baciato davanti a tutta la scuola per una stupida scommessa.
- È vero che ha sbagliato ma tu non avresti mai reagito così per uno stupido bacio. - Si intromise mia sorella. Facile per lei, non era così che aveva dato il suo primo bacio, però aveva ragione: non l'avevo pestato per uno stupido bacio.
Una lacrima mi scese lungo il viso ma questo non impietosì la mi famiglia; loro non capivano ma, per me, il ricordo era sempre doloroso.
- Lui era uno dei bulli di Lele.
- In che senso?
Che domanda stupida era? Cosa c'era da capire?
Volevo urlare, scappare, allontanarmi da tutto e da tutti ma feci una cosa che sorprese anche me.
Dopo un respiro profondo scelsi di raccontagli tutto: la vera ragione per cui Gabriele si era buttato giù dal tetto quella nevosa mattinata di dicembre, le varie scommesse, tutte le punizioni che avevo scontato per le litigate con lui.
Vidi la delusione negli occhi dei miei genitori; nonostante tutto quello che avevo subito, nonostante l'anno da incubo appena passato, io rimanevo la stupida ragazzina viziata che aveva rischiato di far saltare l'offerta.
Ai loro occhi rimanevo sempre il solito errore.

(Un)happier than everWhere stories live. Discover now