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- Si, si. È fantastico! Adesso chiedo e ti richiamo. Si! Si! A dopo.
Lanciai il telefono sul divano.
Eravamo tornati al solito punto morto della mia vita.
Sarei mai riuscita a spezzare quel cerchio che mi riportava sempre nello stesso punto?
- No. No. No. Fantastico un corno.
Le mie coabitanti e i loro rispettivi ragazzi mi fissarono confusi.
Era il mio giorno libero e amavo passarlo in casa.
La verità era che avevo incontrato Davide sempre più spesso anche se, incontrato, non è il termine giusto.
Lo incrociavi ovunque mi trovassi io e quella situazione incominciava davvero a mettermi i brividi.
- Cosa, di grazia? - Domandò Ricky perplesso dopo che mi ero messa a fissare con orrore il telefono che giaceva abbandonato sul divano.
- I miei, e i genitori di Michele, vi hanno invitato a Natale a casa nostra, in Italia.
Rimasi in silenzio e, in preda all'agitazione, iniziai a creare un solco sul pavimento per quanto camminavo con forza.
- Beh, grazie. - Disse in tutta risposta Nico fingendosi offeso.
Lo guardai perplessa poi capii. - Ah, no. Anzi sono stra felice che ci siate anche voi.
- Vuoi ricomprare un pavimento nuovo? - Domandò perplessa Lia.
Mi bloccai nuovamente, confusa da quell'affermazione poi intuii.
In preda all'ansia, continuai a fare lo stesso percorso senza accorgermene. - No. - Mi lanciai sul divano trattenendomi dall'urlare. Avrei dovuto uscire, farmi una passeggiata ma vedevo sempre l'ombra di Davide dietro di me. - Ma voi proprio non capite, vero?
Parigi era caotica in quel periodo dell'anno; le vetrine si stavano riempiendo di glitter e regali, le strade di luminarie e tutto sapeva di felicità.
Tutto tranne la mia vita.
- No, altrimenti non saremmo qui a chiedere. - Rispose Ricky, che si accomodò sulla poltrona dopo aver recuperato un macaron dalla cucina.
- Ha invitato tutti.
- E allora? - Chiese Elena perplessa.
Forse stavo esagerando io e la vedevo più grave di quanto fosse ma il mio istinto mi diceva che la pace che si era creata da poco stava per crollare inesorabilmente.
- Compresi i nostri rispettivi ragazzi. Sia mio che di Michele. - Sbuffai.
-E il tuo problema è che non hai il ragazzo? - Domandò ancora Ricky.
- Si. In realtà no.
Non potevo spiegargli la mia reazione perché significava ammettere la mia gelosia.
Mi sentivo stupida o, ancora peggio, mi pareva di essere un'estranea intrappolata nel mio corpo.
Lia roteò gli occhi. - Okay, concetto affettato. Dobbiamo chiederti tutto tutto. - Alzò nuovamente gli occhi, prima di riprendere parola. - Allora?
- Ci sono tante cose. Ma partiamo dalla meno importante. - Mi alzai in piedi, in preda all'agitazione. - Quando i nostri genitori chiederanno cosa facciamo di bello nella vita, tutti voi gli parlerete del vostro fantastico lavoro ma io no perché a ventitré anni faccio ancora la barista.
- E parli come se fossi una quarantenne. - Disse Elena ridacchiando.
- Beh, non ho grandi prospettive sinceramente. Non posso lavorare in una azienda di moda qualsiasi poiché i miei migliori amici ne hanno una loro ma non posso chiedere di lavorare da loro, okay?
- E perché no? - Domandò Nico confuso fissando la sua ragazza in attesa di risposte.
- Orgoglio. Orgoglio, okay? Ti pare che chieda a Michele di poter lavorare da voi? - Mi misi le mani nei capelli e feci un respiro profondo. - Dopodiché chiederanno della nostra vita amorosa. E mia sorella dirà di sicuro quello che è successo sei mesi fa.
- E perché dovrebbe? - Chiese Lia.
- Perché aveva ragione e se ne vanterà.
- E il problema sarebbe?
Come facevano a non capire?
- Che dirà ai miei genitori che mi sono rimessa con una persona che è scappata al mio matrimonio e che, dopo neanche ventiquattro ore, mi ha tradita.
Ero in crisi e, allo stesso tempo, anche in ansia. Tutta la mia vita stava letteralmente sfuggendo via dal mio controllo.
- Poi Michele presenterà la sua nuova ragazza e i miei genitori inizieranno a chiedermi perché ci siamo lasciati (come se non lo sapessero) e come mai lui sia riuscito a rifarsi una vita ed io no.
In realtà era una cosa che mi chiedevo spesso anche io; perché lui ci aveva messo così poco a rifarsi una vita? Che i miei sentimenti fossero più forti dei suoi?
- Dai, puoi sopravvivere ad una cosa del genere. - Sostenne Ricky mostrandomi un sorriso un po' tirato.
- Già, lo fai da tre anni. - Continuò Elena. Fu uccisa con lo sguardo da tutti ma non si arrese. - Anzi no, da quando vi siete trasferiti insieme.
Nessuno fiatò per paura che scoppiassi ma le rivolsi solo un'occhiataccia e conclusi il mio discorso.
- E infine, io non sopporto Genevieve. Non c'è verso. Odio quando a la gattamorta. Anzi no, odio tutto quello che fa!
L'avevo detto; dopo mesi l'avevo finalmente ammesso. Era sfuggito dal mio controllo: era partito dalla mia mente, di nascosto, ed era corso fuori dalla mia bocca senza che potessi controllare quel pensiero.
- No, tu odi semplicemente il fatto che lei stia con lui. - Disse sicuro Nico.
- Ma non è vero.
- Perché tu sei gelosa. - Insistette Lia.
- Io non sono gelosa! - Li fissai e vedendo il loro sguardo mi arresi. - Okay, è vero ma...
- Cosa è vero?
Colta di sorpresa, urlai e mi girai di scatto.
- Da quanto sei qui? - In quel momento non sentivo più le gambe dalla paura. - E si bussa prima di entrare, Michele.
Non volevo credere di essermi cacciata in una situazione del genere.
L'aria nella stanza sembrava essersi ghiacciata o forse era solo il mio cuore che si era fermato dallo spavento.
- Sono qui da abbastanza per aver sentito tutto. - Disse lui sicuro.
- Tutto? - Domandai sbiancando. Potevo andare a seppellirmi con le mie stesse mani.
- No, scherzo. Ma è una frase che nei film fa effetto.
La voglia di strozzarlo in quel momento era veramente tanta ma mi trattenni dall'urlargli contro perché, se l'avessi fatto, avrebbe capito che stavo parlando di una cosa importante e, di conseguenza, avrebbe insistito per sapere.
Riprese parola lui. - Allora, sono venuto qui perché i nostri genitori ci hanno invitato a Natale da noi.
Era stranamente di buon umore, un po' troppo per i miei gusti.
- Lo sappiamo già. - Risposero in coro i miei amici.
- E come fate a saperlo? - Chiese perplesso.
Contavo così poco per lui da non ricordarsi nemmeno che avevamo vissuto insieme.
- Sei serio o stai scherzando? Dimmi che stai scherzando. - Dissi sbuffando dirigendomi in cucina per prendere un bicchiere d'acqua.
- Allora dirò che sto scherzando. - Poi sussurrò a bassa voce ai nostri amici credendo che, in una casa dove salotto e cucina sono un open space, non lo udissi. - Ero serio. Come fate a saperlo?
Tutti indicarono me oltre la finestrella sopra il bancone e io lo fissai offesa.
- Ops, vero. Mea culpa, Chiara. - Poi si voltò e fissò i nostri amici ignorandomi totalmente. - Vi prego, ci dovete essere. Presenterò Genevieve ai miei genitori.
I nostri amici passarono lo sguardo da lui a me, che lo avevo appena raggiunto.
- Arrivi tardi. Chiara ci ha già supplicato. - Disse Elena che fu uccisa con lo sguardo dal resto del gruppo.
E adesso come potevo uscirne?
- Wow, che bello.
Cercai di dirlo con il massimo entusiasmo ma si sentì tanto la mia ironia e si notò anche il mio sorriso parecchio forzato.
- Peccato che non potrò esserci, mi sarei divertita troppo. - Disse Elena alludendo a noi due.
I miei occhi si iniettarono nuovamente di sangue e sentii l'ansia assalirmi.
- Perché non potrai esserci? Ho bisogno di tutti voi.
- Ah si?
Guardai Michele, dal quale era provenuta la voce, e gli feci una linguaccia. - Di te no.
Ad interrompere i nostri bisticci, fu nuovamente la biondina.
- Chiara, sono al sesto mese e Natale è tra un mese esatto. Secondo la matematica, (te lo dico perché so che tu e lei non andate d'accordo) tra un mese sarò al settimo mese e perciò non potrò prendere aerei o navi.
Alzai gli occhi al cielo per il suo commento sulla matematica leggermente offesa. Obiettivamente non ero mai stata una cima ma sei più uno sapevo farlo anche io.
Ci pensai su un attimo, poi mi venne l'idea geniale. - Treno!
- Eh? - Domandò Lia perplessa.
- Treno. Prenderemo il treno. - Cercai di convincerli e, in preda all'euforia, mi sembrava di essere Lorelai Gilmore quando inizia a straparlare.
- Ma si, ci divertiremo! Ho bisogno di voi. - Conclusi poi con voce implorante fissando disperata la futura mamma.
- Vada per il treno. - Acconsentii Elena.
Avrei voluto festeggiare, era una piccola vittoria, ma mi feci riprendere dall'ansia e il mio tono non fu entusiasta come sperai.
- Ottimo. Avviso i miei e vado a fare i biglietti del treno.
Michele si sedette sul divano e assunse un'aria seria. - Avrei un favore da chiedervi.
Tutti annuirono tranne me; non aveva diritto di chiedermi nulla.
- Mi piacerebbe che rendeste un po' più partecipe nel gruppo Genevieve.
Gli altri annuirono solamente e mi rivolsero uno sguardo quasi dispiaciuto.
Poteva chiedermi tutto ma non questo.
- Non parlo francese, lo sai.
Lui mi guardò storto, quasi offeso, e continuò il discorso. - Dopotutto è quasi cinque mesi che stiamo assieme.
- Sei.
Io e la maledetta boccaccia; perché non sapevo fermami mai in tempo?
- Eh? - Lui mi guardò perplesso, quasi in cagnesco.
- Sei mesi.
- Cosa?
- Michele, sveglia! - Dissi secca. - Sono sei mesi domani.
Perfetto, ancora una volta avevo dimostrato che mi importava di lui più di quando facessi credere.
- E tu come lo sai, scusa? - Chiese dubbioso.
Lo fissai offesa ma non aggiunsi nulla; non aveva senso litigare con lui perché dimostrava solamente che a me importava ancora ma a lui no.
- Ho tanta memoria, lo sai.
Lo dissi quasi sussurrando e il suo viso si indurì ulteriormente.
- Già, lo so, tranquilla.
Quella era decisamente una frecciatina.
Ignorai il fatto che stesse continuando a guardarmi storto.
- Ho come l'impressione che Genevieve non ti stia tanto simpatica.
Lia, divertita dalla situazione, si rivolse ad Ele. - Secondo te come ci è arrivato?
Ignorai il commento e ripresi parola per giustificarmi. - Ti stai sbagliando; semplicemente non parlo francese e lo sai.
- Forse dopo sei mesi dovresti impararlo. - Disse Ricky che si zittì immediatamente dopo aver visto il mio sguardo.
- In realtà, tutte le mie ragazze non ti sono mai state simpatiche. - Continuò imperterrito lui.
Davvero stavamo entrando in questa conversazione?
In quel momento rimpiansi di non essere andata a passeggiare.
- Ti stai sbagliando.
Che poi, come ci eravamo finiti in questa conversazione?
- Simona non ti stava simpatica.
Scoppiai a ridere talmente forte che non riuscii a parlare e Nico rispose al mio posto.
- E grazie, chissà perché!
Adoravo quel ragazzo, mi leggeva nella mente e mi salvava sempre dalle situazioni imbarazzanti col suo migliore amico.
- Stai zitto tu che ci sei stato insieme.
- Michele, davvero? - Alzai gli occhi al cielo a metà tra il l'essere divertita e l'essere scioccata. - Stiamo parlando di una ragazza che hai avuto alle superiori.
- Anche tu sei stata con me alle superiori. E ci stavamo quasi per sposare.
Perché adesso tirava in ballo me?
- Già. Quasi! - Dissi sottolineando l'ultima parola. - E per fortuna. Da quando sei tornato un bambino?
- Da quando non apprezzi la mia ragazza!
Lo fissai incredula. - Ma io non ho detto nulla su di lei.
- Ma ti sei ricordata da quanto stiamo insieme.
Era offeso e io non ci volevo, anzi non ci potevo, credere.
Intanto i nostri amici ci guardavano divertiti.
- Il giorno prima stavi con me. E lo so che per te valgo poco più di un trofeo ma per me non è così.
Mi morsi la lingua ma anche questa volta fu troppo tardi.
Meno male che mi ero ripromessa di mostrami più distaccata; tutto quello che avevo fatto in quei sei mesi per dimostragli che lo vedevo solo come un amico, l'avevo bruciato con una singola frase.
Lo fissai incredula delle mie stesse parole.
- Senti, lasciamo perdere, okay? Sono solo stanca. Scusami.
Ci fu un attimo di silenzio talmente imbarazzante che la mia vita, a confronto, pareva una passeggiata.
- Chiara che chiede scusa. Tutti al riparo! - Disse Ricky che su ucciso con lo sguardo per la terza volta in nel giro di dieci minuti.
- Scusami tu, Chiara. - Disse Michele.
Lo fissi con la bocca spalancata; che davvero si rendesse conto del disagio che provavo mi sembrava quasi impossibile.
- Anche Michele che chiede scusa! Questa è l'apocalisse! Scappate sciocchi! - Urlò Nico che fu a sua volta ucciso da Michele.
Quest'ultimo si alzò e si avviò verso la porta.
- Il lavoro mi chiama.
- E da quando il lavoro si chiama Genevieve? - Lo interruppe Elena con malizia.
La guardai male; come poteva dire queste cose in mia presenza? Lo sapeva che si stavo male.
Michele la ignorò. - Li avviso io i nostri genitori. A dopo, gente.
Appenai uscii dalla stanza feci una constatazione che mi fece venire i brividi.
Sarà il Natale peggiore di sempre.
Non mi sbagliai affatto.

(Un)happier than everWo Geschichten leben. Entdecke jetzt