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Io e Genevieve eravamo lì, pronte.
Non aveva più una famiglia e mi aveva chiesto di accompagnarla all'altare.
Ancora una volta avevo acconsentito anche se c'era un qualcosa di così sbagliato in quello che stavamo per fare, che rimasi ferma alla convinzione che stava per crollare tutto.
Quella finzione, quella messinscena.
Non c'è l'ha farò mai.
La sposa tremava e mi guardava in cerca di rassicurazioni che però non potevo darle perché, se possibile, io stavo peggio.
Percorrere una navata, per me, era già complicato ma sapere che alla fine c'era Michele che avrebbe sposato un'altra, era ai limiti del concepibile.
Solo una cinquantina di metri di quella mastodontica chiesa e poi non avrei fatto altro che accomodarmi in prima fila ad assistere ad uno dei più grandi fallimenti della mia vita.
L'unica gioia di quel matrimonio, al momento, era che gli sposini avevano deciso di fare la funzione in una chiesa italiana a Parigi, poiché gran parte dei famigliari di entrambi parlavano italiano, e,
di conseguenza, non mi fu necessario sforzarmi di comprendere la funzione.
- Pronta? - Domandai cercando di essere entusiasta, di trasmettere tranquillità e, allo stesso tempo, di non vomitare.
Lei annuì e la porta della navata centrale si aprí.
Tutti si girarono immediatamente verso la sposa che, bellissima e aggraziata solcava con leggiadria il marmo del pavimento; a fianco, un sacco di patate che doveva esserle di supporto ma che pareva più che altro un peso.
Metà navata, dovevo solo tenere la mente vuota, libera da qualsiasi preoccupazione e non guardare davanti.
Eppure la mio cervello non riusciva a smettere di pensare a quella situazione tanto divertente quanto assurda: la ex fidanzata lasciata sull'altare e la futura moglie per cui non provava nulla oltre ad un po' di attrazione fisica.
Le aspettative di concludere quel matrimonio senza problemi erano veramente basse.
Accompagnai la sposa all'altare, le diedi un bacio sulla guancia e andai a stendermi sulla panca in prima fila ad assistere a quelli spettacolo gratuito.
Fortunatamente Michele pensò a fissare la sua futura moglie, cosa che non diedi tanto per scontato fino al secondo prima di entrare in chiesa, e mi tranquillizzai un attimo.
- Questo matrimonio andrà bene. - Mi sussurrò Lia che era seduta di fianco a me e che vedeva quanto fossi tesa.
Il matrimonio procedeva tranquillo tanto che non mi accorsi che erano giunti alle promesse nuziali.
Lia ed Ele mi strinsero la mano; erano la mia famiglia e, ancora una volta, mi dimostrarono che non mi avrebbero abbandonato.
Il prete iniziò a rivolgersi alla sposa.
- Ripeta: Io Genevieve, prendo Michele come mio legittimo sposo, nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, finché morte non ci separi.
La ragazza, con la sua immensa dolcezza e il suo smisurato amore per quel ragazzo tanto orribile nei suoi confronti, replicò.
Poi il prete si rivolse a Michele.
- Ed ora lo sposo. - Sentivo che una parte di me se ne stava andando e, incredibilmente, mi sentii più leggera. - Io Michele, prendo te Genevieve come mia legittima sposa nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, finché morte non ci separi.
Ma quella sensazione durò esattamente un millesimo di secondo.
- Io Michele, prendo te Chiara...
Ecco i momenti in cui desideravo non essere mai nata.
- ... Genevieve, Genevieve come mia legittima sposa, nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, finché morte non ci separi.
Tutte le persone che in quella chiesa mi conoscevano mi fissarono e, ben presto, lo fecero anche quelle che non sapevano chi fossi.
Bene, ero riuscita a rovinare il matrimonio in modo ben peggiore di quanto mi fossi immaginata.
Quando il prete prese parola per far riprendere la funzione, allontani le mani delle mie amiche e imboccai il corridoio più nascosto della chiesa.
Tutti mi stavano osservano com sguardi arcigni e, onestamente, non li biasimavo.
Avevo bisogno di uscire e la porta mi sembrava ancora così lontana; una chioma rossa, che si era alzata al mio passaggio davanti alla sua panca, mi prese per mano e mi trascino fuori.
Era tutto così strano perché, per una volta, mi sembrava che Michele fosse veramente preso dalla sua ormai non più futura moglie.
- Chiara.
Il tono di Martino era agitato anche se cercava di mostrarsi calmo.
- Non chiamarmi così.
Era una specie di strillo e, preoccupato, il ragazzo mi trascinò fino all'albergo e mi fece stendere a letto.
Avevo voglia di andare all'anagrafe a farmi cambiare il nome.
La mia mente era piena di domande; la prima, Michele lo aveva fatto apposta o era stata la sua mente che, ormai abituata, non aveva pensato prima di parlare?
La seconda era cosa ci facesse Davide nell'ultima fila della chiesa anche se, a quello una risposta ce l'avevo; la terza era se pensare al suicidio o uccidere Michele con le mie stesse mani ed entrambe parevano opzioni molto valide.
E la quarta, cosa ci facessimo io e Michele abbracciati sulla prima pagina del giornale di Davide.
Il fatto di aver trovato una copia sotto la mia porta non mi sembrava affatto casuale; avevo il terrore che anche chi non mi conosceva, a quel matrimonio, in poco tempo avrebbe scoperto chi fossi.

(Un)happier than everDove le storie prendono vita. Scoprilo ora