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- È Davide?
Scoppiai a riderle in faccia e così fecero i miei amici, tutti tranne Michele che, invece, si irrigidì.
Fu in quel momento che realizzai che la nostra copertura stava per cedere.
Da quando Amelia e Nicolò si erano messi insieme, Simona aveva lasciato l'ex giornalista della scuola che aveva passato i restanti anni scolastici a infastidirmi, vedendo in me la principale causa della sua rottura con quella vipera.
Si erano susseguite battute offensive, articoli non molto veritieri e, una volta, mi aveva persino pedinato fino a casa; inutile dire che tra lui e Michele non scorresse propriamente quello che viene definito buon sangue
- Davide? - Era piuttosto perplesso.
- Tranquillo. Non ascoltarla. - Dissi tornando seria; nemmeno il mio sguardo peggiore servì a fermare mia sorella. Quando la supplicavo di stare zitta, lei faceva esattamente l'opposto e questo era un dei tanti esempi.
- Vive a Parigi da un po', non lo sapevi?
Osservai il volto di Michele diversate rosso ma lo ringraziai con un sorriso quando vidi che si trattenne.
Ero cosciente che, a volte, fosse un troppo geloso, in special modo se si trattava di Davide, e che, se avesse fatto una delle sue scenate davanti a mia sorella, avrei dovuto iniziare una litigata con lei per la quale non ero affatto pronta.
- Ma si, Michy. Il ragazzo che ci provava con lei al bar. - Disse Nicolò indifferente.
Lo fulminai con lo sguardo; non potevo credere l'avesse detto davvero.
- Ma sei scemo o cosa?- Gli dissi col labiale; lui non comprese e fui costretta a ridirlo ad alta voce.
Non fu un sacco più problema ripeterlo perché Michele si stava già alzando per andarsi a rifugiare in camera mia.
- Perché? Non lo sapeva?
Guardai la riccia con uno sguardo omicida.
Il detto "Dio li fa e poi li accoppia" era proprio vero; creato appositamente su misura per Lia e Nico che a volte mi lasciavano basita.
Rimasi ferma a un paio di secondi a riflettere; rovinare quello che con lunghi mesi di lavoro stavamo iniziando a ricostruire continuando a mentire o litigare con mia sorella?
Optai per la seconda opzione, tanto non avrei potuto tenere segreta la mia relazione per sempre.
- Non fare così. È da stupidi. - Gli dissi attraverso la porta che avevo appena raggiunto.
La definivano come quella intelligente della casa ma Rebecca ci aveva messo parecchio a realizzare.
- Eh no. - La sua espressione stava iniziando a infastidirmi tanto che la ignorai tornando a fissare la porta bianca della mia stanza. - Tu stai con Michele.
Urlò come se avesse appena visto un assassino che squarta la sua vittima con armi di tortura.
- Stavamo! - Urlò in risposta lui, dall'altra parte del legno bianco, con una voce rabbiosa.
Poggiai la testa contro il muro e fui davvero tentata di pestarla ripetutamente contro ma mi trattenni e sbuffai solamente.
L'unica cosa che desideravo era una vita tranquilla ma non c'era una cosa, nemmeno la più piccola, che stava andando per il verso giusto.
- Mic, fammi entrare!
Nessuno risposta. Non poteva comportarsi così davanti a Rebecca; le dimostrava soltanto che aveva ragione. 
- Dai, è la mia stanza!
Stavo iniziando davvero a stufarmi di quella vita. Neanche stavamo insieme da mezza giornata che già  litigavamo anche se, in realtà, stava facendo tutto lui. Forse non era proprio destino.
Dopo un paio di minuti di attesa e dopo ripetute bussate da parte mia, aprii la porta e mi fece entrare.
Quando la porta si richiuse alla mie spalle, lo studiai.
Compresi immediatamente perché mi aveva lasciato a lungo in attesa: aveva avuto bisogno di alcuni minuti per calmarsi, affinché evitassimo discussioni. I suoi occhi stavano iniziando a tornare limpidi come il cielo d'estate; del ghiaccio, rimanevano solo poche venature. 
- Perché non mi hai detto che era Davide?
Osservai nuovamente le sue iridi che avevano perso ogni traccia di gelo e, ora, sembravano solo feriti.
Mi avvicinai e, quando fui certa che non si sarebbe allontansto, lo abbracciai. - Perché non pensavo fosse importante.
Lui mi strinse più forte. - La prossima...
- Come lui ha sbagliato, hai sbagliato anche tu. - Lo guardai ma non sciolsi l'abbraccio. - Vivi e lascia vivere.
- Ma...
Gli diedi un bacio per farlo stare zitto.
Sapevo cosa stava per dire e non volevo neanche pensarci. Se adesso sapeva dove lavoravo, cosa gli avrebbe impedito di importunarmi ancora?
Non volevo pensarci perché sarebbe stata un'ulteriore preoccupazione da aggiungere alla vita tutt'altro che perfetta, specialmente in quel momento.
Lui affondò il viso nei miei capelli. - Come l'ha presa tua sorella?
- Non mi interessa.
Mi strinse ancora di più e restammo così per un paio di minuti, dopodiché uscimmo mano nella mano. Mia sorella mi guardò male e io feci come se neanche avessi notato la sua presenza nel mio salotto. 
Non appena ci accomodammo, lei riprese parola.
- Rara, potremmo parlare?
Odiavo quel nomignolo; lo usava solo quando aveva bisogno di favori.
Non le risposi e lei guardò torva Michele. - In privato.
Faticavo davvero a capirla; Rebecca adorava, anzi venerava, Michele e, quando lui mi aveva abbandonato, aveva fatto di tutto per trovare il modo di far ricadere la colpa su di me.
Non riuscivo a capire se fosse gelosa di lui, del rapporto che avevamo oppure di entrambe le cose.
- No. - Ero stufa di questa situazione, ero stufa di tutto. Mi ero trasferita a Parigi perché la mia vita cambiasse ma mi sembrava di rivivere tutto da capo.
Perché tutti dovevano controbattere le mie scelte? Ero abbastanza matura per prendere decisioni, e nel caso, sbagliare da sola.
- Se devi dire qualcosa  dillo ora.
Alzò gli occhi al cielo. - Non approvo il fatto che tu stia con Michele.
La guardai e feci spallucce; a prendere parola fu lui questa volta.
- Rebecca, io la amo e lo sai. Te l'ho sempre detto.
- Sempre? - Elena si intromise nella conversazione con arisa confusa. Loro non sapevano che i due avevano continuato a scriverei anche dopo che lui se n'era andato e io l'avevo scoperto dopo poche settimane prima, durante una chiacchierata col ragazzo.
- Hanno continuato a sentirti.
La capacità di Lia, di sapere tutto di tutti e allo stesso tempo di non far trapelare dettagli, continuava a stupirmi anche a distanza di anni.
- Chiara, sono seria. - Continuò lei. - Ti ha lasciato il giorno del vostro matrimonio.
Il problema non era quello e lo sapevo bene.
Da piccola, avevo sempre creduto che mia sorella fosse dalla mia parte e, forse, prima dell'arrivo di Michele nella nostra vita, era stato davvero così ma poi le cose erano cambiate.
L'avevo scoperto a mie spese pochi giorni dopo il fatidico matrimonio quando Rebecca mi chiese, dagli Stati Uniti, di cercare dei documenti sul suo pc che aveva dimenticato in Italia.
Avevo letto le loro conversazioni da iMessage; ero consapevole che non fosse giusto ma in quel momento ero devastata e poco mi importava di cosa fosse eticamente corretto e di cosa non lo fosse.
Notai che si strinse le mani dalla rabbia e compresi che non c'era una via di fuga; l'uragano Rebecca stava scoppiare ma, questa volta,  non sarei corsa al riparo. Dopo ventidue anni stavo, finalmente, per affrontarla.
Proseguii tranquilla, cosciente a cosa stavo andando incontro. Volevo ottenere una sua confessione.
- Ha sbagliato ma ne abbiamo già parlato. É una storia chiusa.
Rebecca si stava innervosendo perché la stavo pungendo sul vivo.
Stavamo per rompere tutti i nostri legami e lei ancora non se ne rendeva conto.
- Ti devo ricordare che appena sei arrivata davanti alla chiesa, ti è venuto incontro Nicolò dicendoti che non si era presentato? Hai presente come hai reagito? Hai presente quanto hai sofferto?
Cosa voleva saperne lei di cosa avevo provato? Voleva solo infastidirmi, farmi crollare per evitare che uscissero argomenti spiacevoli.
- Quanto ho sofferto? È tu che cazzo ne sai?! Te ne sei andata due giorni dopo. E non è che ti sei trasferita da qualche parte in zona; no, sei andata dall'altra parte del mondo. Perché io stavo male ma era più importante continuare ad essere la viziata di casa. Non dirmi MAI più di ricordare cosa ho provato perché non ho sicuramente bisogno di te, chiaro?
- Sei ingiusta.
Sperava che qualcuno corresse in suo soccorso ma non sapeva che quello era solo l'inizio.
- Essere ingiusti è gioire quando tua sorella minore viene abbandonata il giorno del matrimonio per pura invidia.
Riccardo mi guardò con preoccupazione. - Chiara, attenta a quello che dici. Le parole hanno un peso.
- Stare con Michele ti sta dando alla testa.
Forse mia sorella aveva ragione ma lo sguardo pallido e imbarazzato del mio ragazzo mi confermava che non mi stavo inventando niente.
- Rebecca, diglielo.
Quello di Michele era stato solo un sussurro ma era parso quasi come un urlo tanto erano pesanti le parole appena dette.
- Non ho niente da dire.
Si sistemò sul divano col suo sguardo agguerrito convinta che avrebbe vinto lei ma, questa volta, non eravamo a casa e i nostri genitori non si sarebbero intromessi, difendendola a spada tratta.
Questa volta l'essere viziata non l'avrebbe portata da nessuna parte.
- Rebecca, dillo.
Avrei preferito che Michele stesse zitto perché, se confermava quello che avevo letto anni prima, avrei perso mia sorella.
- Non so di cosa sta parlando.
Trovai persino al forza di guardarla negli occhi.
- Sono contenta che alla fine tu non l'abbia sposata. È una persona insulsa come ti ho già detto molte volte. Non é bella, ha un carattere lunatico e vive un mondo utopico. Non è quella giusta per te ma io si.
Avevo letto e riletto quei messaggi così tante volte che, al solo pensiero, sentivo ancora bruciare gli occhi.
Ogni parola era stata una pugnalata al cuore e, ancora di più, lo erano state le risposte di Michele che non aveva mai smesso di difendermi; in quel momento, con quei messaggi dolci, non comprendevo il perché della sua fuga.
- Tu ti stai inventando tutto.
Lo disse con una risata isterica, la stessa che hanno i colpevoli quando cercano di non confessare anche se, ormai, non hanno via di scampo.
I miei amici erano pietrificati e Michele nascondeva la faccia dalla vergogna; probabilmente non sapeva che avevo letto anche tutte le cose carine che aveva sempre scritto in mia difesa.
- Perché, Rebby. Voglio solo sapere il perché.
Era inutile scappare, lo sapeva bene; dopotutto era viziata mica scema.
- Poteva avere me, nel senso, mi hai vista? Ma lui ha scelto te.
- Sono sempre più contenta di essere tua sorella... - Dissi schifata. - Ma non mi hai ancora risposto.
- Ero invidiosa.
Era tutto quello che sapeva dirmi.
I tre anni appena passati, li avevo trascorsi chiedendomi cosa avesse portato la mia famiglia a trasferirsi con quella di Michele.
Niente aveva mai avuto senso; perché trasferirsi a vivere insieme se si è semplicemente colleghi di lavoro? Per controllarci meglio, era stata la risposta di Claudia, madre di Michele, che temeva che suo figlio potesse combinare guai a causa della loro assenza. Claudia continuava a dire che avevo la testa sulle spalle, che l'avrei portato sulla buona strada.
La mia famiglia non si era nemmeno preoccupata di comunicarmelo fino a quando non eravamo finiti a dormire a un metro di distanza perché "avevano paura della mia reazione".
Mia sorella era sempre stata trattata come la reginetta della casa e lo accettavo, non me ne importava granché.
Finché avevo le mie libertà, finché potevo continuare a condurre una vita tranquilla, la cosa non mi toccava.
Ma io non volevo chiedere che lei fosse invidiosa di me; aveva sempre avuto tutto, era abituata ad ottenerlo. Io mi ero sempre accontentata e, lentamente, avevo inziato ad allontanarmi dalla mia famiglia che, chiaramente, mi aveva sempre vista come un peso.
- Tu? Hai sempre avuto tutto.
Per Rebecca non era una questione di amore, non le importava di Michele. Si, lo stimava ma lo vedeva più come una sfida; mi ricordava Davide, quando aveva scommesso, con Simona, su di me.
- E non potevo avere Michele perché l'hai stregato.
L'aveva detto e io non riuscivo a crederci; non le importava come stavo, era più importante ottenere tutto, anche il fidanzato di tua sorella.
- Ma ti ascolti?
La voce di Michele mi fece sussultare ma non aggiunsi altro; era tutto troppo difficile da digerire.
- Io credo che me ne andrò.
Era Joshua. Mi sentii immediatamente in colpa; per una volta avevo deciso di mettere me stessa al primo posto e lui, che non centrava assolutamente nulla, era venuto a scoprire che tipo di persona fosse la sua ragazza. Ma forse era meglio così; persone come Rebecca era meglio perderle.
Mi alzai e lo accompagni alla porta; mia sorella non sembrava minimamente sfiorata da quella azione. Ne avrebbe trovato un altro dopotutto.
Quando tornai in salotto, la conversazione non proseguì oltre. Le mie amiche, ancora scosse dal racconto, avevano fatto si che non toccassimo più quell'argomento.
Non aggiunse altro e io non dissi più nulla.
Ero troppo scossa elettrica parlare; un conto è convincersi di una cosa, un altro è averne la certezza.
Iniziarono a parlare del più e del meno e mia sorella continuò a guardare in cagnesco Michele nonostante quello che le avessi detto. Non le improbava di me, lei si sentiva tradita da lui; era offesa che, ancora una volta, aveva preso le mie parti e non le sue.
Passarono il resto del pomeriggio a chiacchierare e, come sempre negli ultimi tre mesi, mi sentii esclusa. Tutti parlavano dei loro sogni, dei posti visitati, di tutte le cose che erano riusciti a fare.
Il massimo risultato che ero riuscita ad ottenere negli ultimi tre anni era stato passare dalla chiusura all'apertura del Sophie's; non uno dei più grandi obbiettivi della storia.
Un velo di tristezza si posò sul mio viso e, fortunatamente, riuscii a mascherarlo bene, tanto che nessuno se ne accorse.
Dopo tre ore, mia sorella ci salutò e io tirai un sospiro di sollievo.
Mi si avvicinò con lo scopo di abbracciarmi ma mi scansai immediatamente, così prese subito parola.
- È stato bello chiacchierar...
- No, Rebecca. Sei una persona orribile.
Avrei dovuto essere meno dura forse, dopotutto era sempre mia sorella, ma non la sentivo più tale.
In realtà era così da quando avevo letto quei messaggi e niente l'avrebbe aiutata a riconquistare la mia fiducia.
In tutta risposta,  Rebecca sbuffò e, senza neanche salutare gli altri, se ne andò. La fissai incredula andarsene via per le scale, non aveva neanche provato a scusarsi, quando una presenza mi abbracciò da dietro.
- Tre anni e non siete cambiate per nulla.
- Come hai fatto a sopportarci per ben cinque anni?
Entrambi sapevamo che intendevo ben altro; la vera domanda era come avesse fatto a sopportare lei per cinque anni o poco più.
- Grazie. - Mi diede un bacio sulla guancia. - Per avermi difeso.
Alzai lo sguardo ma non feci in tempo a rispondere che arrivò Ele.
- Certe cose in casa mia, no. - Disse ridendo. Era evidentemente felice che avessimo fatto pace e quelle battute stupide erano sempre state il suo modo di dimostrare il suo affetto.
- Certo che proprio tu parli. - Scherzai, alludendo alla sua pancia, dopo essermi sciolta dall'abbraccio.
- Casa dei ragazzi. - Controbatté sicura prima di andarsene; questa sua franchezza mi spiazzava tutte le volte. 
- Che schifo. Io non ci torno più a casa. - Rispose Nicoló sconvolto e Lia gli tirò una gomitata scherzosa.
- Quando mai lo fai? - Domandò divertito Riccardo prima di raggiungere la stanza della sua ragazza
- Io e te dobbiamo finire un lavoro, ricordi? - Dissi sussurrando a Mic, alludendo al fatto che dovevo finire di medicare i tagli; ci udirono tutti, anche Ele che era già nella sua camera ma che aveva ancora la porta aperta.
Divertiti dalle battute stupide dei nostri amici, ci dirigemmo nella mia stanza dove recuperai una crema che cicatrizzasse i tagli, l'avevo comprata uscendo dalla palestra, e iniziai a massaggiargliela sulle braccia.
- Io non ci posso credere.
- A che cosa? - Chiesi irrigidendomi lievemente; cosa avevo combinato stavolta?
- Al fatto che tu mi abbia perdonato nonostante tutto quello che...
Di nuovo questo discorso; credevo si fosse concluso con l'uscita di scena di Rebecca.
Lo interruppi subito. - So che non sei cattivo e ho compreso, anche se per vie traverse, il perché della tua fuga.
- Ma Rebecca...
- Ascolta, - Gli fasciai le braccia cercando di non stringere troppo. - ho letto i messaggi di Rebecca e di conseguenza ho letto anche le tue risposte.
Dopo tanto tempo, vidi le guance di Michele tingersi di rosso.
- L'unica cosa che ti chiedo è di non ferirmi troppo questa volta.
- Assolutamente. - Mi diede un bacio sulla guancia e si mise comodo a letto prima di riprendere parola. - È un problema se dormo qui? Sono più vicino all'ufficio.
Alzai gli occhi al cielo divertita e, allo stesso tempo, ironica. - Fa pure come se fossi a casa tua.
- Uff, una volta potevo dirti che ero a casa mia.
Ridacchiai prima di avvicinarmi alla porta. - Vado a salutare gli altri.
Lui annuii e si raggomitolò nelle coperte.
Raggiunsi la cucina con il sorriso sulle labbra; finalmente, dopo tre anni, mi sentivo bene ed era una sensazione che avevo quasi completamente dimenticato.
- Qui c'è qualcuno su di giri! - Disse Ricky prendendomi in giro.
- Oh si certo. Molto divertente vero? - Risposi sarcastica. - Devo parlare di voi? Quante risate vi siete fatti stasera a vedere me e mia sorella litigare?
- Troppe. - Rispose Lia sicura.
- Michy? - Chiese Nico interrompendo il discorso.
- L'ho ucciso e sto aspettando che ve ne andiate per nascondere il cadavere.
- Non mi stupirei.
Elena mi spiazzava ogni giorno.
Mi rivolsi nuovamente al ragazzo. - Ha detto che si ferma qui.
Notai immediatamente che erano pronti a fare battute così li bloccai sul nascere. - Ero solo venuta per salutare. Domani mattina ho apertura alle cinque.
- Solito orario, vero? - Domandò Ricky.
- Si, alle nove i vostri caffè. A domani. - Conclusi allontanandomi.
Quando rientrai in stanza, Michele dormiva già.
Mi misi sotto le coperte e mi addormentai spensierata per la prima volta da tanto tempo.

(Un)happier than everDove le storie prendono vita. Scoprilo ora