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🎵 Killer - Baby K (ft. Tiziano Ferro)

Tu vuo fa l'americano
Articolo tratto dalla rubrica "Istituto" del Mood Post del 2 ottobre
Faccio parte di un progetto alquanto strano, di un esperimento che potremmo considerare
piuttosto ben riuscito a mio parere: la scuola americana in Italia.
Incarniamo perfettamente tutti gli stereotipi che appaiono nelle più famose pellicole americane sui liceali nel grande continente, con tanto di reginette, sportivi montati e risse tra "fazioni".
Ovviamente non tutto è perfetto, e come potrebbe esserlo, poiché alcune cose sono rimaste esattamente come le classiche scuole italiane e nello specifico le due seguenti
caratteristiche: la formazione delle classi e il cibo della mensa.
A differenza delle High School americane, non possiamo sceglierci le materie e non
cambiamo aula in base al corso anche perché dobbiamo seguire il programma didattico dato
dal ministero dell'istruzione.
Inoltre, come in qualsiasi altra scuola italiana degna di questo nome, il cibo della mensa è
talmente terrificante che, un giorno, potrebbe benissimo essere in grado di alzarsi dal piatto
e camminare in giro per le aule, per non parlare di tutte le volte che abbiamo trovato capelli,
peli e insetti al suo interno. (Spero che un ispettore sanitario non legga mai questo articolo.)
Onestamente trovo il tutto un po' assurdo in quando possediamo una delle migliori cucine al
mondo, ma pare che i nostri cuochi si impegnino proprio nel preparare piatti non commestibili.
Per il resto vantiamo di tutto quello che sognano gli studenti: squadra di basket, cheerleader,
mascotte e, soprattutto, dei fatidici armadietti che, nei film, sono il punto di ritrovo delle
scene più interessanti.
Per non parlare dello studente adorato da tutti, con fiori e lettere sull'armadietto, ma "adorato" solo dopo il suo suicido, un po' alla 13 Reasons Why.
A mio modesto parere, spero non si noti troppo la mia ironia, hanno fatto tutto per bene
tranne una cosa: la scelta del nome. Come fai a chiamare una scuola finto americana Mood
High School?
Scuola Superiore Umore?
L'unico ragionamento plausibile, che è stato fatto al momento della scelta e che mi viene in
mente, è il seguente: La scuola influisce sull'umore? Umore! Ecco come possiamo chiamarla.
Io non trovo altre spiegazioni che abbiano un senso logico, altrimenti.
A te, caro lettore, so già che la domanda verrà spontanea: come mai una scuola ispirata a
alle high school americane in Italia? E soprattutto, come faccio ad entrarci? (Si, lo vedo il sorrisino estasiato sul tuo volto)
Nella scuola gira la leggenda metropolitana che la nostra preside, statunitense di origine,
abbia scommesso con quello di un altro istituto che vivere in un ambiente del genere migliori la nostra vita.
Effettivamente ha ragione: tra bullismo e gerarchie varie, si vive proprio splendidamente.
E se ancora non ti ho fatto desistere riguardo l'ammissione, ti basti sapere che devi essere
schifosamente ricco. Oppure schifosamente sfortunato, ma in pochi sono come me e il mio
migliore amico...

- Chiara, non puoi mettere questo articolo nel giornalino scolastico. - Disse Amelia,
accartocciando il mio scritto e buttandolo nel primo cestino disponibile.
Amelia è una delle poche persone con cui ho legato in questa scuola; è una ragazza
stupenda, di una bellezza non comune e di una dolcezza e innocenza che poche persone
posseggono. Ha una folta chioma castana che le incornicia sia l'incarnato perennemente
abbronzato, sia i suoi grandi occhi azzurri tendenti al grigio.
- Perché? Mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza e questa è la mia.
La ragazza alzò gli occhi al cielo metà tra l'arreso e il divertito.
- E poi, ormai, ho già messo una copia nell'armadietto di Davide.
Davide è il responsabile del giornalino scolastico, ma dopo alcuni spiacevoli trascorsi tra noi due, preferisco evitarlo e lasciargli i miei articoli senza doverci conversare. Come si suol dire: il primo incontro non si scorda mai.
- Questo stupido armadietto...
Una ragazza bionda dagli occhi verdi e la carnagione quasi pallida, un po' troppo magra a
mio parere, era intenta a prendere a pugni il mio armadietto. Era l'altra unica amica che mi ero fatta durante quei tre anni scolastici da incubo.
- Magari la stupida sei tu, il tuo è quello di fianco. Siamo ad aprile e non hai ancora imparato?
- Se non fossero tutti uguali...
- Critica già di prima mattina, Elena? - A rispondere fu Amelia che fissava la scena divertita dalla parte opposta del corridoio.
- Allora, signorina Brambelli, a cosa dobbiamo questo suo strano, no anzi, stranissimo, comportamento? - Chiesi, imitando una voce generica da intervistatrice.
Avevo già notato, da quando mi aveva raggiunto per andare a scuola insieme, che il suo umore era inspiegabilmente sopra le righe e non era da lei.
Il mio cinismo capiva quando c'era puzza di danni all'orizzonte.
Chiamatemi pazza, ma almeno sono rimasta ferita molto meno del dovuto.
O questo è quello che credevo all'epoca.
- In che senso, scusa? - Amelia, al contrario delle nostre aspettative, non si irritò.
- Beh, sei sempre arrabbiata per tutto! - Disse la bionda. I suoi modi erano sempre equiparabili ad un elefante in cristalleria.
- E tu sempre la quinta essenza dello sdegno, Elena! - Rispose facendole una pernacchia.
Era un comportamento esageratamente assurdo; sembrava fosse quasi sotto effetto di qualche droga strana. A quest'ora, in una giornata qualsiasi, avrebbe già finto di mettere il muso, solo per riuscire a farsi offrire una ciambella dalla mensa della scuola come scusa.
- Strano Ele, non trovi? - Domandai facendole il solletico, sapendo bene fosse il suo punto debole. - Il suo umore non si è alterato. Spara, cosa ne hai fatto della nostra Lia?
- Nicolò mi ha guardata! - Urlò lei saltellando, producendo un suono che solo i cani avrebbero potuto udire.
Io ed Elena ci guardammo, leggermente preoccupate potesse subire una scottante delusione amorosa.
Non sono io che sono esagerata, è questa high school che tira fuori il peggio delle persone.
Scusate se cerco di proteggere le mie amiche da gente con cui cerco di non averci a che fare dalla mattina alla sera.
- Solo una cosina, futura miss Vespucci: è il più popolare della scuola!
- Suvvia Criticona, falle godere il suo momento di gloria. - A parlare era stato Nanetto, o almeno così era come lo chiamavo. Il suo nome reale è Riccardo Brunelleschi. Alto 1,78, esageratamente magro anche lui, capelli neri e occhi verdi, nonché l'ultima persona che considero mia amica.
Conosco persino l'altezza non perché io abbia un'ossessione nei suoi confronti, ma perché
Elena ha una cotta non troppo segreta per lui e la nostra stalker ufficiale (Amelia) ha "scoperto" tutte queste informazioni per lei.
A Lia basta un nome per trovare una persona in una città come Milano. Sono talenti anche questi.
- Quando capiterà che un giocatore di basket della scuola vi guarderà ancora? - Proseguì
ridacchiando.
- Sono d'accordo con Ric. Sai che potremmo metterlo nel giornalino della scuola al posto
del mio articolo? - Con le mani mi misi a mimare. - "Il popolarissimo Vespucci Nicolò fissa
sbavante Brambelli Amelia." Ci sta, no?
- Andiamo, Mina, non spezzarle così i sogni di gloria. - Disse in tono ironico Elena,
evidentemente offesa che avessi preso le parti del ragazzo e non le sue.
I soprannomi li aveva trovati Ricky durante una noiosissima lezione di inglese.
Elena, per il suo carattere alla Miranda Presley, era diventata Criticona. Amelia, per il suo modo di fare sempre negativo e pessimista, Arrabbiata, e io, per la mia mancanza di autocontrollo e il parlare spropositato, Mina Vagante.
Avevo deciso di non lasciare il nostro amico senza nomignolo, così un giorno decisi di
chiamarlo Nanetto data la sua statura. Alcuni mesi dopo, tornato dalle vacanze di natale,
causa quelli che vengono comunemente chiamati ormoni della crescita, Riccardo si era presentato decisamente più alto di quanto non fossimo abituate, ma il soprannome è rimasto invariato.
Udimmo il suono della campanella e mi schiarii la voce, iniziando così il mio discorso con fare altezzoso, spostandomi persino gli occhiali sulla punta del naso per assumere un'aria più "professionale".
- Brambelli, Puma, Brunelleschi e Bianchi, ancora nei corridoi? Tra due minuti e trentasette
secondi inizia la mia lezione. Credo che oggi interrogherò uno di voi per il vostro comportamento. Forza, a lezione!
Scoppiammo tutti a ridere per la mia imitazione mentre iniziammo a dirigerci in classe.
- Forza Chiara. Sono solo tre ore di scienze della terra... - Iniziò Riccardo con un pizzico di
malizia.
- ...con la tua prof. preferita. - Concluse Elena; entrambi avevano usato un tono molto, molto ironico.
- Voglia di scherzare, piccioncini?
Odiavano quando li chiamano in quel modo, ma contro ogni aspettativa non dissero nulla.
Semplicemente diventarono rossi e non parlarono fino all'arrivo in classe.
Forse avevo esagerato un po', ma era il mio modo di fare e, in tempo zero, dopo la tortura che stavo per subire, l'imbarazzo tra i due si sarebbe volatilizzato sostituito da risatine odiose.
Solitamente il mio compagno di banco e quello di Amelia erano assenti, così Elena e Riccardo, pur di non stare vicini come indicava la cartina, ci raggiungevano dall'altra parte della classe, la prima con me e il secondo con Lia. Era una cosa che avevano iniziato a fare da quando si erano resi conto dei loro veri sentimenti e, personalmente, trovavo assurdo come fossero cambiati per una stupida cotta.
Ogni volta che provavo ad accennare il discorso, mi sbranavano neanche li stessi insultando, così mi ero convinta a lasciar perdere.
Pronti ad iniziare quella terribile lezione, riflettei sul fatto che, noi quattro insieme, eravamo
probabilmente l'incubo di tutti i professori.
- Tutti in piedi. - Disse la professoressa Turconi entrando.
Come se non lo fossimo già.
La donna non superava un puffo di altezza ed era talmente particolare da sembrare uscita da un cartone animato. Nonostante il suo ruolo, che sarebbe dovuto essere quello di insegnarci l'educazione, il suo ego e il suo fare saccente da "so tutto io" erano davvero troppo smisurati rendendola, a mio parere, l'essere umano più odioso sulla faccia della terra.
Quando finalmente ci concesse l'onore di sederci, ci fu il via alle tre ore più odiate di sempre nella mia classifica personale.
- Bianchi, visto che pensi sempre ai ragazzi, oggi interrogata. - Dissi sussurrando a bassa voce imitando la voce della mia insegnate "preferita".
Ero cosciente che scimmiottarla fosse un comportamento sbagliato, ma suvvia, tutti
abbiamo quella persona nella nostra vita che non sopportiamo proprio; che nella mia ce ne fosse più di una, era un dettaglio irrilevante.
- Allora, vediamo. Oggi interroghiamo.
La donna si mise ad armeggiare con il portatile
per accedere al registro elettronico per controllare i nomi e, in quel lasso di tempo, mimai con le dita il conto alla rovescia, senza
farmi vedere da lei.
- Bianchi, visto che pensi sempre ai ragazzi, oggi interrogata.
- Wow! - Ironizzai senza neanche preoccuparmi di non farmi sentire. - Che novità.
Dovevo ammetterlo: adoravo essere arrogante in sua presenza, nonostante fossi a conoscenza del fatto che il mio comportamento fosse alquanto maleducato.
- Qual è il suo problema, signorina Bianchi?
- Il mio problema è che ogni giovedì alla prima ora, lei mi interroga accusandomi di cose che
solitamente non rientrano nei miei passatempi personali. Poi in questa scuola chi dovrei guardare, mi scusi? Suo nipote? No, grazie. E scusi se mi permetto, ma questo è un comportamento tutt'altro che professionale, soprattutto da una professoressa in carica da
anni come lei.
Per la prima volta in sei mesi, avevo espresso apertamente tutto quello che pensavo di quella stupida e maledetta "interrogazione del giovedì", nome che era stato ribattezzato da non ricordo chi con un articolo del giornale. Certo, avrei rischiato nuovamente di finire in presidenza, ma ormai c'ero stata talmente tante volte che la conoscevo meglio della mia stessa classe.
- Ah no, signorina Bianchi? Non corre tutto il giorno dietro ai ragazzi?
- Ma è seria?
Decisamente i ragazzi non rientravano nei miei passatempi personali. Il problema non era mio, bensì loro perché non ero mai abbastanza: troppo intelligente, troppo saccente, troppo poco atletica. Io ero così e non avevo intenzione di cambiare per nessuno. E poi, ad essere del tutto sinceri, i ragazzi della MH School avevano il terrore di me, il che mi stava più che bene.
- Allora chiediamo a una persona a caso nella classe, le va bene?
- Si, prof. Mi va bene come ogni cavolo di giovedì mattina.
Dopodiché mi girai e sussurrai ancor una volta ai miei amici.
- Signorina Criticona, è vero che Bianchi passa la sua giornata dietro i ragazzi?
Non feci nemmeno in tempo a voltarmi nuovamente verso la cattedra che la nostra
insegnante prese parola.
- Signorina Puma, è vero che Bianchi passa la sua giornata dietro i ragazzi?
Alzai le spallucce per dimostrare che, come sempre, avevo ragione e Amelia e Riccardo non
riuscirono a trattenersi, scoppiando in una fragorosa risata che costò loro un'occhiataccia
da parte della professoressa.
- No prof, non è vero. - La biondina parve pensarci un attimo. – Anzi, se Chiara dovesse
avanti così, rimarrà zitella per sempre.
La classe scoppiò a ridere, ma quelle parole mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso.
Ero antipatica, arrogante e saccente con qualsiasi ragazzo che non fosse Riccardo; nessuno mi avrebbe mai voluta come sua ragazza.
Lo schiaffo però durò davvero molto poco: la cosa non mi preoccupava troppo in realtà, odiavo tutti in quella scuola.
- Grazie Elena.- Dissi lanciandole un'occhiataccia cercando di nascondere il rossore sulle mie guancia creatosi a causa dell'imbarazzo.
Lei fece spallucce in segno di innocenza e ridacchiò soddisfatta della sua affermazione.
- Resta il fatto che oggi la interrogo comunque, Bianchi, niente scuse. - Lo sguardo della donna esprimeva rabbia: l'avevo messa in una evidente posizione scomoda e, soprattutto, avevo avuto la faccia tosta di criticare suo nipote. - Su forza, alla lavagna.
- Ogni giovedì la stessa storia!
Riversai la mia rabbia sul mio pranzo, che divenne più che altro una poltiglia indistinta di vari cibi, con la forchetta.
- E ogni volta un sei meno! - Frustrata, tirai una testata contro il tavolo cercando di sfogare il
mio nervosismo. - Riuscire a darmi la sufficienza è troppo difficile?!
- Non la dici neanche male. - Disse innocentemente Nanetto.
- Per forza, la so a memoria!
- Ma si può sapere perché ce l'ha tanto con te? - Chiese Lia mentre mordeva il suo panino
con la soppressata. Avevo poche certezze nella vita, ma il suo pranzo era una di quelle. Da
quando la conoscevo, non aveva mai portato altro.
Come se già non lo sapesse. Quel discorso era lo stesso da minimo sei settimane.
- Perché Lorenzetti stava facendo il gradasso con Gabri, gli diceva delle cose orribili e io non ho retto.
I miei amici sapevano quanto fosse un argomento delicato per me.
Gabriele se n'era andato per sempre a causa di persone come Michael. Una mattina aveva
deciso di salire sul tetto della scuola e di buttarsi giù. Non aveva retto tutte le cattiverie che
gli avevano detto fin dall'anno precedente.
La persona più buona e gentile dell'universo intero non c'era più per colpa di piccoli stronzi
egoisti.
E pensare che mi aveva convinto ad andare in quella scuola con la speranza che le cose fossero diverse, con il sogno che potessero andar meglio.
Ed era andata talmente bene che non aveva resistito neanche due anni e aveva preferito farla finita.
- Io gli ho risposto per le rime e casualmente, in quel momento, a dividerci è stata sua zia.
Inutile dire chi abbia difeso. E adesso la mia vita è un inferno. Tutto merito di Mister "Sono superiore al resto del mondo".
Era la prima volta che raccontavo la storia per intero. Avevo sempre detto che Michael stava
prendendo in giro me, e non il mio unico amico d'infanzia, e mi fu subito chiaro che rimasero un po' interdetti non appena scoprirono la vera ragione del mio odio contro il ragazzo.
Restarono in silenzio a fissarmi con gli occhi sbarrati.
- Non credevo che uno dei suoi bulli fosse Lorenzotti. - Disse Elena cercando di nascondere
l'imbarazzo per quella situazione.
- Wow, Criticona dal cuore tenero. - Rispose Amelia riuscendo a farmi sorridere e scambiandosi il cinque con il ragazzo, contenta del risultato appena raggiunto.
- Non vorrei interrompervi, ma vi stanno fissano, a ore dodici. - Disse Riccardo abbassando la voce.
Non era necessario specificare chi fosse, il suo tormento non aveva mai fine.
Davide era come un avvoltoio e io ero la carcassa abbandonata nel cortile della scuola.
- È Nicolò? - Chiese speranzosa la riccia.
Era adorabile quando faceva così: sembrava una bimba alla quale si dà il regalo tanto desiderato, a Natale.
- Che fissa te intendi? Allora si. - Rispose la bionda. - Ma qualcuno sta osservando Chiara. -
Continuò maliziosa.
Per parlane con un tono così di scherno, era chiaro che non si trattasse del giornalista della
scuola.
- E sentiamo, quale idiota ha l'onore di ammirare tale bellezza? - Chiesi ironica.
Quel giorno era già stato abbastanza terribile e, nonostante tutto, ero riuscita ad evitare la
presidenza. Se qualcuno mi avesse infastidito ancora, ero sicura che questa volta avrei reagito.
- Lorenzotti. - Rispose Ricky con una tale serietà da farmi quasi credere fosse davvero così.
Quasi.
- Ah ah ah, simpatico! - Lo fulminai con lo sguardo.
- Guarda che è serio. - Dissero in coro le ragazze, fissandomi un po' preoccupate.
Sentivo che mi stavo scaldando, che avevo bisogno di sfogarmi altrimenti avrei rischiato di
esplodere.
Mina vagante era nato per scherzo, ma dalla morte di Gabri lo ero davvero. Isterica, irritabile
e aggressiva.
- Adesso vado lì e lo concio per le feste, una volta per tutte. - Dissi quasi più per convincermene e tranquillizzarmi, che per farlo realmente.
- Non ce ne bisogno, bellezza. Sono già qui. Tutto in lui mi irritava.
Il suo modo di fare, il suo modo di parlare e soprattutto la sua abitudine a dare nomignoli
odiosi degni solo dei libri più trash esistenti.
- Bene. - Risposi acida. - Ora puoi anche tornartene da dove sei venuto.
- Posso? - Chiese indicando il posto a sedere di fianco al mio.
Quale parte della mia frase non era stata abbastanza chiara? Probabilmente era troppo
stupido per comprendere il significato di determinate parole.
- Ovvio che no.
Troppo tardi. Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che lui si era già accomodato. Gli rifilai il mio peggiore sguardo.
Notavo che attorno a me c'era un'aria strana. Le voci dei presenti si erano abbassate di parecchio e gran parte dei presenti ci fissava.
- Come mai ci degna della sua presenza, sua maestà? Ha perso una scommessa?
- No, in realtà la sto giocando adesso, miss Interrogazione del giovedì.
I miei amici arretrarono leggermente, spaventati dall'espressione sulla mia faccia.
Presi la bottiglia d'acqua per sfogare la mia rabbia, ma involontariamente la strinsi un po'
troppo e la feci esplodere, ma quasi non ci feci caso.
Avvicinai il mio sguardo pieno di odio e di frustrazione al suo, in atto di sfida. La mia espressione diceva tutto: l'avrei ucciso se solo avessi potuto.
- E sarebbe, Mister Sfrontatezza?
- Questo.
Si avvicinò pericolosamente al mio viso e non ebbi i riflessi abbastanza pronti per spostarmi
così riuscì nel suo intento: mi baciò.
Davanti a tutta la scuola.
La persona che non avrei mai baciato neanche se fosse stata l'ultima sulla terra.
L'assassino dell'unica persona che mi avesse mai visto piangere mi aveva baciato, pensando pure che fosse divertente.
Quando si staccò non mi mossi, rimasi semplicemente li, paralizzata per lo shock. Tutti
applaudivano e fischiavano, onorando le magnifiche gesta di quel perfetto idiota.
- Piaciuto, bellezza? Nico, sono cinque euro.
Rinvenni e capii cosa aveva detto.
Ero stufa.
Le mani fecero tutto da sole.
Lo presi per i capelli e lo feci alzare dal tavolo. Dopodiché gli tirai un pugno nello stomaco
così forte da farlo cadere a terra. Mi misi a cavalcioni sopra di lui e iniziai a schiaffeggiarlo e
a prenderlo a pugni.
- Giuro che stavolta di ammazzo! Me la paghi per tutto, brutto stronzo che non sei altro.
Il sangue gli colava da tutto il viso e nonostante la vista di quello che gli stavo facendo, la mia rabbia non faceva altro che aumentare.
La folla attorno a noi urlava "Rissa! Rissa!", ma lui non reagiva.
Riccardo mi prese di peso e mi staccò da lui. Iniziai a calciare e a tirare pugni all'aria e
dovettero aiutarlo anche Lia ed Ele per tenermi ferma.
Fu un secondo, quello in cui l'aria si fece gelida, e la folla si zittì.
- Bianchi, in presidenza, subito!
Tra tutti i professori che potevano capitare per interrompere la rissa, arrivò proprio la Turconi.
In quel momento avevo solo voglia di esplodere, di farla pagare a tutti, ma sapevo che il mio
carattere irruento non mi avrebbe aiutata.
- Solo se anche suo nipote viene con me. - Risposi evidenziando le due parole al centro della frase. Lei lo difendeva sempre anche quando era nel torto marcio.
- No, non ha fatto niente.
Il suo tono era calmo e impassibile, ma questa non gliel'avrei lasciata passare liscia.
- Lei non ha idea di che cazzo di infame infame sia suo nipote.
- LINGUAGGIO!
Lui sputò un po' di sangue e si rimise seduto cercando di non strozzarsi col liquido rosso.
- Se viene anche lui, non farò storie. Altrimenti mi dovrete trascinare. - Continuai non
distogliendo mai lo sguardo dal ragazzo.
La donna gli fece cenno con la testa di alzarsi così lui seguì me e i miei amici, che mi tenevano ancora ferma, in presidenza.

(Un)happier than everOù les histoires vivent. Découvrez maintenant