VII

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Finalmente compresi quando la gente affermava che l'adolescenza è un momento delicato della vita; l'ho sempre presa alla leggera, pensando che non potesse essere così male come veniva descritta eppure mi sono resi conto che le persone non ci scherzavano affatto sopra.
Nel giro di un mese avevo preso il mio migliore amico, mi ero trasferita con il mio peggior nemico, probabilmente stavo sviluppando dei sentimenti tutt'altro che negativi nei suoi confronti e per tutta la scuola ero avevo aggiunto una nuova etichetta alla mia immagine; non che ci fosse nulla di male nell'essere lesbica, se non che fosse falso.
Era stato un po' sciocco convincermi che una meravigliosa camera e una strabiliante piscina mi avrebbero esentato da tutte le disgrazie che poteva procurarmi vivere con l'assassino di Gabriele.
Perché Michele poteva, anzi doveva, essere solo questo e niente altro; dovevo ricordarmi tutto il dolore che mi aveva causato.
Ed era incredibile il fatto che tutto ciò mi teneva sveglia a tre ore dalla verifica con la professoressa Turconi per il recupero della agoniatissima Scienze della Terra.
Erano le quattro del mattino, cosa da me tanto odiata in quanto fan numero uno del dolce dormire, e la mia mente si rifiutava di farmi riposare un po' per colpa del messaggio di Michele "A scuola gira la voce che sei lesbica."
In preda allo sconforto, presi il cellulare in mano e notai immediatamente che l'ultimo acceso del corvino risaliva a poco meno di cinque minuti prima.
Ora le scelte erano due: scrivergli sapendo che non mi avrebbe mai risposto oppure andare a parlarci di persona.
A questo punto ero ormai convita che, agli adolescenti che riuscivano a passare all'età adulta, andasse riconosciuto un merito universale perché la pubertà non c'entrava niente con quel momento paradisiaco raccontato nei libri, nei film o, ancora, negli anime. Proprio un bel niente.
Con la testa piena di domande, mi alzai dal letto e mi diressi silenziosamente nella stanza accanto.
Dopo aver leggermente abbassato la maniglia, sentii una voce sussurrare.
- Vieni pure, Chiara.
Lo assecondai e lo raggiunsi, accostando silenziosamente la porta dietro di me, dove mi sedetti al suo fianco.
- Come mai ancora sveglia?
Notai che mi fece spazio così mi sdraiai accanto a lui; stranamente non provai imbarazzo e questa cosa mi mandò in confusione.
- Riflettevo sul messaggio. E ho una verifica della Turconi.
- Ahia, se vuoi ci metto una buona parola.
Il suo tono ironico mi fece sorridere e fui contenta che nell'oscurità della stanza non potesse vedermi.
- No, grazie, hai già fatto abbastanza.
- Non fartene una colpa, mia zia mi adora, non è colpa tua.
- Infatti ho sempre incolpato te.
Entrambi ridacchiammo cercando di non fare troppo rumore; erano pur sempre le quattro del mattino.
Sentii il suo braccio avvicinarsi al mio ma non mi venne l'istinto di spostarmi.
Probabilmente era stato uno scatto involontario e muovermi non avrebbe fatto altro che mostrargli il mio fraintendimento.
- E tu?
- Cosa?
- Cosa ci fai sveglio?
Questa volta fui certa che non fu uno scatto incontrollato; mi prese la mano e me la strinse, come in cerca di supporto.
- Non dormo mai.
Rimase in silenzio; sembrava volesse aprirsi con me ma era come se ci fosse stata una barriera che glielo impediva.
- Non mi chiedi perché?
Era una mia sensazione o la sua voce si era incrinata leggermente?
- Non volevo essere invadente.
- Non lo sei mai stata.
Cosa intendeva con quel mai? Ora si che iniziavo a sentire il disagio ma cercai di scacciarlo anche, o meglio, soprattuto, evitando di pensare alla sua mano nella mia.
Nel silenzio della casa, sentivo solo i nostri respiri sincronizzati.
- Perché non dormi mai?
Lui si girò su un fianco e si avvicinò a me senza mai mollare la presa, era evidente che stava cercando un supporto.
Potevo sentire il suo fiato sul mio collo e fui grata che buio nascondesse il colore delle mie guance.
- Perché hai ragione, Chiara. Sono un assassino.
Ora che lo sentivo dire dalla sua bocca, capivo quanto fosse falso. O meglio, lui ne era responsabile ma non era la ragione principale per cui Gabriele si era tolto la vita.
- C'è una ragione per cui l'hai fatto?
Niente da fare; nella mia testa era diventato automaticamente innocente. Perché ero riuscita a perdonarlo così in fretta? Ed era vero che non era lui la ragione per cui si era buttato giù dal tetto?
Forse si e sapevo anche chi era il responsabile principale, ma incolpare Michele mi era sempre venuto più semplice; in fondo lo detestavo e avevo sempre temuto la vera causa dei mali del mio amico così incolpare lui era la soluzione più facile.
Ma ora, qualcosa stava cambiando e mi stavo rendendo conto che lui era coinvolto ma non la causa principale.
- Non è abbastanza valida.
Mi sembrava così tenero e indifeso, ma soprattuto sincero.
Avrei dovuto arrabbiarmi, sbraitare, ricordagli che era un assassino invece ricambiai la sua stretta, cosa che lo spinse a parlare.
- Quando chiudo gli occhi, rivedo il suo cadavere davanti all'ingresso della scuola e mi rendo conto che se non l'avessi preso in giro, se non avessi contribuito a far parte del suo inferno personale, ora non sarei un assassino.
Quella confessione mi fece venire i brividi. La sincerità e la freddezza con cui l'aveva detto mi colpirono come una freccia al centro del mio cuore.
- Ogni notte, quando chiudo gli occhi, lo vedo.
Mi arrabbio perché è come se mi avesse abbandonato, mi sento come se per lui non avrei mai contato abbastanza. Perché io sapevo quali fossero i suoi problemi e li stavamo affrontando insieme. E, prima di dirigersi sul tetto, poco dopo una delle sue crisi, mi disse che aveva deciso di mettere un punto a questa storia. Io non ho capito cosa intendesse, ho frainteso. Avrei potuto fermarlo, ma non ho compreso la tua richiesta d'aiuto. Così incolpare voi mi fa stare meglio.
Da dove mi era uscita questa confessione? Non l'avevo mai detto a nessuno, probabilmente nemmeno a me stessa.
Le parole mi erano uscire dalla bocca con la stessa velocità con la quale le lacrime mi avevano annebbiato lo sguardo.
Sentii un abbraccio intorno a me e mi ci rifugiai.
- Tu non lo sapevi, non dartene la colpa.
Le sue parole erano così sincere che quasi volevo crederci.
Tra un singhiozzo e l'altro, lentamente cedetti alla stanchezza e mi addormentai in quell'abbraccio ricco di malinconia e tristezza.

(Un)happier than everWhere stories live. Discover now