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Il pavimento era gelido ma mai quanto la situazione che si era creata nella stanza dietro di me. Dopo dieci minuti, i due non si erano ancora rivolti parola.
- Potete parlare per favore? Non si affrontano queste situazioni scappando.
La voce calma e pacata di Michele mi lascio spiazzata. Come poteva avere anche solo il coraggio di dire una cosa del genere?
Una voce infastidita, dall'interno della camera, espresse il mio pensiero ad alta voce.
- Proprio tu parli?
Il viso del del ragazzo si fece rosso e poi tacque. Passarono ancora alcuni minuti prima che la conversazione si avviasse.
- Elena, mi dispiace averti lasciata. - La voce di Riccardo era tremante e soffocata dalle lacrime; non l'avevo mai sentito così fragile. - Tu mi piaci ancora ma non sono pronto per un figlio.
- Ma quanto è stupido? - Chiese sottovoce Michele, voltandosi verso di me.
Lo guardai storto. - Senti da che pulpito.
Alzò gli occhi al cielo ma non aggiunse altro.
Udimmo dei singhiozzi soffocati: era Elena.
Era forse la prima volta in tutta la mia vita che la sentivo piangere. - Se ti piaccio ancora, perché hai deciso di lasciarmi?
- Elena, tu non mi piaci, io ti amo proprio.
Mi sentivo a disagio a stare lì ad ascoltare le loro conversazioni ma li conoscevo, se ci fossimo allontanati, ne avrebbero approfittato per non parlarne. Dovevano essere molto più presi per far sì che non dovessimo stare lì a controllarli.
- E allora non capisco perché mi stai abbandonando in un momento così delicato della mia vita!
Ci raggiunsero anche Lia e Nico che, dopo aver sistemato le stoviglie della colazione, si accoccolarono sul divano.
- Perché sarei un padre immaturo! - Urlò Riccardo. Gli animi si stavano iniziando a scaldare e entrambi mi intimorivano quando erano arrabbiati.
In realtà tutti mi intimorivano quando erano inalberati, forse era proprio per questo che odiavo litigare con le persone.
- Beh, meglio immaturo che assente. - Rispose lei.
Ora la conversazione stava entrando davvero troppo nel personale perché noi stessimo lì ad origliare.
Mi alzai, parecchio a disagio, presi la chiave della camera di Ele e li chiusi dentro, lasciandola davanti alla porta in modo tale che potessero recuperarla più tardi, nel momento in cui sarebbero stati meno presi da quella conversazione.
- Andiamo a fare una passeggiata? - Chiesi ai tre presenti che, invece, parevano interessati.
Contro ogni aspettativa, annuirono tutti.
- Sei incorreggibile, Chiara. - Disse Michele ridacchiando.
- Di solito, il diciannove maggio lo passi con la tipa che hai conosciuto la sera prima e non vorrei mi sfuggisse questo onore.
La sua faccia a metà tra il divertito e l'offeso creò in me una sorta di soddisfazione e, non appena i nostri amici realizzarono cosa avessi detto, scoppiarono a ridere.

I mesi successivi passarono veloci e anche il mio stato d'animo era notevolmente migliorato.
Dall'Italia, Martino mi aveva assicurato che stava bene e che non aveva bisogno che tronassi ad aiutarlo. Mi aveva anche promesso di curare la tomba di Gabri e che, prima o poi, sarebbe venuto a trovarmi a Parigi.
Io avevo ricevuto la mia prima busta paga ed ero contenta perché potevo finalmente iniziare a pagare l'affitto.
Il compito di portare i caffè all'MN era divenuto il mio momento preferito della giornata, benché non volessi ammetterlo.
Durante la pausa pranzo, i miei amici venivano al locale, un po' per chiacchierare, un po' perché si divertivano a prendermi in giro mente lavoravo.
Mi sentivo la versione brutta di Rachel quando lavora al Central Perk.
Riccardo stava riconquistando la fiducia Elena, a poco a poco, aiutandola con le visite e con altre piccole faccende.
Nicolò ed Amelia, invece, stavano iniziando a preparare i festeggiamenti per il matrimonio che si precedeva sfarzoso è molto in là con la data, a sentire i loro battibecchi.
E poi c'eravamo io e Michele che continuavano ed essere l'incognita del gruppo. Bisognava ammettere che aveva smesso di frequentare qualsiasi ragazza al di fuori di Lia ed Ele e non mi piaceva affatto che io, lentamente ma neanche così tanto, stessi cascando nuovamente nella sua trappola.
Ancora assorta nei miei pensieri, bussai alla porta.
- Entra pure, Chiara. - Mi disse una voce calda all'interno della stanza.
- Potevo essere un lupo mannaro. - Gli dissi portandogli il caffè alla scrivania.
- Suono inconfondibile.
- Mi stai dicendo che mi riconosci da come busso alla porta? - Chiesi ridendo; in quel momento mi sentii meno stupida del solito. Anche a me capitava di riconoscerlo dal suono dei passi che produceva in casa nostra quando veniva a trovarci, ovvero praticamente sempre, o da come bussava alla mia porta quando veniva a chiamarmi per la cena le poche volte che ero a casa.
Lui diventò tutto rosso e cambiò immediatamente discorso. -Non è che mi potresti portare un altro caffè?
- Ma questo non l'hai ancora bevuto.
Ero perplessa ma non mi dava fastidio. Era diverso dal mio primo giorno a Parigi quando mi aveva fatto portaste il caffè undici volte solo per ripicca.
- Per favore?
Non gli avrei detto mai di no ma il suo tono dolce e i suoi occhi da cerbiatto mi convinsero ulteriormente.
- Solo se oggi vieni a pranzare. Ultimamente non ti presenti mai.
- Troppo lavoro. - Disse ricordandosi che doveva continuare a lavorare e riabbassò lo sguardo sui fogli.
Non mi arresi e lo fissai finché non cedette.
- E va bene. Un caffè per un pranzo.
Fiera di me ed entusiasta tornai da Bianca, al bar. - Ehi, mi potresti fare un altro caffè per Michele?
- Qui c'è qualcuno innamorato. - Disse lei, con malizia, iniziando a preparare il caffè.
Sentii le mie guance andare in fiamme così risposi immediatamente con freddezza. - Ma se è lui che me l'ha chiesto.
- Infatti stavo parlando proprio di lui. - Disse scoppiando a ridere. - Ma a quanto pare...
Odiavo essere incastrata e, ancora di più, odiavo sentirmi così patetica per una stupita cotta. Perché doveva essere quello, non potevo concedermi il lusso di innamorarmi di lui anche se tutti eravamo consapevoli che non avevo mai smesso di amarlo.
Alzai le spalle ridacchiando, poi presi la tazza di caffè e la riportai a Michele. Bussai nuovamente alla porta.
- Vieni Chiara.
Mi sembrava un deja vu quella conversazione.
- Ecco. - Dissi consegnanogli la tazza senza recuperare quella di poco prima, ancora piena. - Mi devi un pranzo.
Lui annuì senza ascoltarmi veramente. - Chiara, alla fine hai sistemato la stanza?
Feci no con la testa. Ero sempre stata al bar e quel poco tempo che passavo a casa, lo trascorrevo coi miei amici.
- Allora stasera vengo a casa tua.
- Auto-invitati pure... - Dissi sarcastica.
- Lo prendo come un si. - Alzò lo sguardo dai fogli e mi sorrise. - Ci vediamo a pranzo.

(Un)happier than everDove le storie prendono vita. Scoprilo ora