17. Freddie.

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Esco di casa furiosa e mi sbatto la porta alle spalle: non entrerò mai più lì dentro. Mai. Guardo l'orologio e mi accorgo che sono ancora l'una di pomeriggio.

Sbuffo, ora cosa farò per venti minuti? Mi passo una mano tra capelli e inizio a camminare senza meta: faccio sempre così quando sono agitata. Poi arrivo alla conclusione che forse è meglio andare verso casa a passo lento, in modo da arrivare in orario.

Fortuna che lo zaino ce l'ho con me, altrimenti, se l'avessi lasciato a casa di quei due idioti, chi sarebbe rientrato? Scaccio via tutti i miei pensieri e inizio a camminare il più piano possibile.

Finchè qualcuno non attira la mia attenzione. Mi avvicino, curiosa: ho già visto da qualche altra parte quella persona, ne sono sicura. Poi si gira e sul mio volto si dipinge un sorriso. Corro verso di lui, chiamandolo. Questo alza lo sguardo e, appena mi vede, apre la bocca in un enorme sorriso.

"Freddie!" Lo saluto, buttandomi letteralmente tra le sue braccia.

"Piccola Jack! Dio mio, da quanto tempo!" Mi riconosce subito anche lui, ricambiando l'abbraccio. Ci stacchiamo. "Sei davvero bellissima." Si complimenta, scrutandomi con quei suoi bellissimi occhi marroni.

"Ti ringrazio, tu sei molto più alto dell'ultima volta." Tento di fargli un complimento, facendolo ridacchiare.

"Oh, si nota tanto?" Scherza. Annuisco e porto le mani sulle labbra per nascondere il suono dela risata che esce da esse.

Freddie è uno dei miei migliori amici, lo conobbi quando mi trasferii qui, a New York. Avevo nove anni quando lo incontrai, e già dal primo giorno che passammo insieme, mi ci affezionai molto.

Eravamo migliori amici. Ci somigliavamo molto, anche ora, quanto vedo: abbiamo gli stessi occhi e lo stesso naso all'insù. L'unica cosa diversa sono i capelli, lui li ha castano chiaro, mentre i miei sono biondi.

Alcune persone ci scambiavano per fratelli, ma tutti e due abbiamo genitori diversi, ci sono tante persone che si somigliano, ma che non sono parenti. Quattro anni dopo il mio arrivo qui, fu costretto a partire a Seattle e non lo vidi più. È due anni più grande di me.

"Che ci fai a New York?" Gli domando, mettendo le braccia conserte, poi mi siedo sul piccolo giardino del parco e strappo un po' d'erba che spunta su di esso, mi tolgo lo zaino per poi posarlo vicino a me.

"Ho deciso di ritornare con i miei genitori, ora vivo di nuovo qui e domani ricomincio la scuola. Indovina dove mi sono iscritto?" Mi chiede, ripetendo il mio stesso gesto.

"Deve essere un college di New York o Manhattan, giusto?" Mi informo, e lui scuote la testa.

"No, non college: scuola superiore. Ho dovuto saltare l'ultimo anno, lì a Seattle, per dei problemi economici e familiari, quindi devo 'ripetere' il quarto anno. Ma, se te lo stai chiedendo, abbiamo risolto tutto e stiamo bene." Mi spiega, e resto con la testa piegata da un lato per tutto il discorso.

"Menomale che avete risolto! Da una parte è meglio, così ci vedremo spesso." Cerco di trovare il lato positivo e gli sorrido calorosamente, e Freddie ricambia la mia espressione.

"Tu stavi uscendo ora, da scuola?" Mi domanda dopo un po', puntando il suo sguardo sul mio.

"Ecco, io non sono andata, è una storia lunga." Gli spiego, un po' titubante.

"Tua madre lo sa?" Mi chiede, in tono autoritario.

Scuoto la testa e inizio ad agitarmi. Conosce i miei genitori, sono sicura che li dirà tutto, anche se, di solito, mi ha sempre coperta, soprattutto quando eravamo più piccoli.

Ho bisogno di te. [#1]Место, где живут истории. Откройте их для себя