58. Guerra fredda.

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Il telefono squilla ed echeggia in tutto il corridoio. Ma dove l'ho nascosto? Mi guardo intorno cercando di tendere l'orecchio verso la canzone "radioactive".

Riesco a trovarlo dietro ad un quadro situato a sua volta sopra un mobile e, appena lo prendo in mano, finisce di squillare. Controllo chi sia stato: il mio allenatore. Che oggi non ci sia l'allenamento?

Richiamo e, dopo qualche secondo, risponde. "Jacklyn."

"Ehi." Dico immediatamente. Da una parte spero vivamente che la palestra sia chiusa o qualcosa del genere, così non vedrò Brian.

"Volevo domandarti se potresti anticipare di un'ora. Al posto delle sei, potresti venire alle cinque? Dopo ho un impegno." Mi chiede e lo maledico mentalmente.

"Sì, certo." Quindi manca mezz'ora, penso.

"Potresti avvisare anche Brian? Non ho il suo numero e ho quasi finito il credito." Mi domanda e, sentendo il suo nome, avverto un peso nel petto. Non sentirlo dopo una settimana mi fa uno strano effetto.

"Uhm...okay, se proprio devo." Balbetto.

"Grazie mille. A dopo." Detto questo riattacca, clicco sul pulsante in cui si spegne la chiamata così forte da rischiare di rompere il telefono per il nervosismo.

Non voglio chiamarlo!

Ma sono costretta, anche perché, se si presentasse alle sei perché io non l'ho chiamato, se la prenderà con me e il padre di Mike gli dirà che aveva incaricato la sottoscritta ad avvisarlo.

Devo solo chiamarlo, dirgli che l'allenamento è spostato e poi attaccare.

Ce la posso fare. Riprendo il cellulare, compongo il suo numero che ormai so a memoria e lo chiamo. Il cuore mi batte forte.

"Pronto?" Risponde con voce impastata dal sonno. Devo averlo svegliato. Il suo tono è sorpreso, nervoso, speranzoso. E sentirlo dopo una settimana mi fa uno strano effetto.

"Ciao. Mi ha chiamato il papà di Mike dicendomi che dobbiamo anticipare di un'ora l'allenamento." Gli dico invece in tono distaccato.

"Oh...okay, grazie." Sembra deluso. Se sperava che lo avrei chiamato per scusarmi si è sbagliato di grosso. "Devi dirmi altro?" Mi domanda, cercando di sembrare freddo anche lui.

Esito, ma il mio orgoglio ha la meglio ancora una volta. "No, solo questo. Ciao." Taglio corto.

Sospira. "Va bene. A dopo." Chiudo la chiamata e mi massaggio le tempie, sbuffando.

Copro la testa con le mani e vado verso la cucina, poi bussano alla porta.

"Buon pomeriggio, sorellina!" Mi saluta Freddie, sorridendo.

"Ehi, che ci fai qui?" Gli apro la porta di casa ed entra senza rispondermi. Si guarda intorno, poi si siede sulla poltrona e accavalla le gambe.

"Come stai?" Mi chiede riferendosi alla mia "situazione sentimentale", o come la chiama lui.

"Ho trascorso giorni migliori." Cerco di sorridere ma mi esce una smorfia.

Sono un tipo che non riesce a nascondere la tristezza, per questo è facile capire subito come sto o se sto mentendo.

Ammiro, invece, la gente che nonostante tutto sorride sempre, con problemi peggiori dei miei. Io non ci sono mai riuscita a sembrare contenta davanti agli altri quando non lo sono, e odio questo mio difetto.

"Passerà tutto, non preoccuparti. Che cosa devi fare più tardi?" Mi chiede accarezzandosi il mento, dove un filo di barba accenna a crescere.

"Ho palestra tra mezz'ora." Gli spiego, gesticolando.

Ho bisogno di te. [#1]Where stories live. Discover now