Capitolo 4- Justin

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Dopo aver cercato di stiracchiami i muscoli indolenziti a causa di ore e ore passate nella stessa posizione, afferro distrattamente il telecomando e alzo il volume finché mi sembra esso sia abbastanza forte da sovrastare i miei pensieri.
Dopodiché, ritorno a concentrare la mia completa attenzione sullo schermo del PC, lavorando senza sosta nell'intento di riuscire a provare, per una volta, l'ebbrezza non solo di essere al passo con un corso, ma addirittura di riuscire ad anticiparlo in determinati argomenti.

Il rumore provocato dalla tv accesa non mi infastidisce. Anzi, in un certo qual senso, mi aiuta a focalizzarmi meglio su ciò che sto cercando di fare, invece di lasciarmi sopraffare dalla voce del mio subconscio.
Clarice ha perfettamente ragione, le mie abitudini a volte tendono ad essere davvero bizzarre. Ma quando non si è in grado di fare pace con i propri pensieri, si è costretti ad adottare delle soluzioni che agli occhi degli altri possono apparire semplicemente strane.
Naturalmente, questo finché si diventa finalmente in grado di trovare un equilibrio mentale...traguardo dal quale, ahimè, so di essere ancora terribilmente lontano.
D'altronde, continuo ad essere più instabile di Clarice dopo una brutta rottura.

Il suono di una notifica, che accerta l'arrivo di una email, mi distrae per un attimo dai pensieri ironici e un po' ingiusti che sto formulando nei confronti dell'unica persona che non ha mai preteso niente, se non il semplice fatto di permetterle di starmi accanto anche nei giorni più bui. Il mio umore tramonta come il sole quando, grazie ad un'occhiata sbrigativa, capisco che sia l'ennesimo promemoria di un incontro del gruppo di sostegno per i giovanissimi e scapestrati alcolisti anonimi.

In un gesto meccanico, chiudo la posta elettronica e ritorno a dedicarmi alle mie ricerche, cercando di superare questo breve attimo di interdizione. O almeno è quello che mi propongo di fare, mentre il mio cervello, invece, sta cercando di sabotarmi, infondendomi il desiderio di saltare in piedi, indossare la prima maglia trovata nell'armadio e presentarmi in quel vecchio deposito umido, per poi passare il sabato sera a sentire aneddoti divertenti sulla vita di persone che hanno più cose in comune con me dei miei stessi amici.

La tentazione è tanta. Quel gruppo di sostegno è sempre riuscito a ricordarmi che sono ancora in grado di imboccare una strada giusta, purché sappia riconoscere ed allontanare ciò che di nocivo c'è intorno a me.
Ma nonostante ciò, mi sono sentito costretto a smettere di frequentarlo quando mi sono reso conto che io non avrei mai trovato la forza di condividere la mia storia.
Per me, la bellezza di frequentare quel gruppo consisteva e consiste tutt'ora nell'ascoltare storie simili alla mia, convincendomi sempre di più ad ogni parola che io sia in grado di rialzarmi, esattamente come tutti gli altri.

Ma non è forse puro egoismo bearsi nelle disgrazie altrui senza condividere le proprie?

Per mesi non ho fatto altro che rintanarmi in un angolino ed ascoltare come gli altri, a turno, hanno fatto appello al proprio coraggio e hanno superato i propri limiti.

Io, invece, sono rimasto sempre allo stesso punto: sempre incapace di esternare ciò che penso; sempre introverso da far schifo.

E poi, finalmente, ho capito che sono destinato a leccarmi le ferite da solo, come ho sempre fatto.
Certe cose nella vita non cambiano, e così nemmeno la mia tendenza di autodistruggermi con le mie stesse mani, per poi rimettere insieme i pezzi alla rinfusa, senza l'aiuto di nessuno.

Il suono del campanello interrompe ancora una volta i miei pensieri confusi, diffondendosi nell'intera casa.
Sospirando per l'esasperazione, cerco di indovinare velocemente chi possa trovarsi dietro alla porta e dopo un altro paio di secondi mi avvio sconfitto verso di essa, rendendomi conto che, chiunque sia, non ha intenzione di andarsene prima di aggredire per un altro po' il mio campanello.

Il cielo nei tuoi occhi d'ebanoWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu