Capitolo 49- Justin

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Seduto sul pavimento, a pochi centimetri da una pozza di whiskey, ridacchio come un cretino di fronte l'assurdità della situazione. Non me lo ricordavo più quanto ci si sentisse miserabili mentre nelle vene ti scorre più alcol che sangue.
Anzi, a dirla tutta, pensavo fosse decisamente più divertente.

E forse lo era davvero un anno fa. Era divertente avere la testa annebbiata, circondato da circa un centinaio di persone altrettanto "confuse" che, esattamente come me, non avevano la più piccola intenzione di pensare al futuro. Vivevamo il momento a modo nostro.
E, poi, naturalmente, il mattino seguente c'era quella piccola dose di rimorso che ti investiva in modo fulmineo prima di sparire non appena il pensiero che la sera ti attendeva un'altra festa si insinuava nella testa.

Era tutta un'altra storia, un po' mal scritta e un po' costellata di pericoli, soprattutto per me che fin troppe volte ho superato il limite. Ma senz'altro ero tutto un po' più eccitante di quanto lo sia adesso.
Sarà che forse il mio concetto di divertimento sia mutato parecchio col passare del tempo, tant'è che in questo preciso istante mi sento semplicemente un po' patetico.

L'odore di alcol e fumo che ormai regna in tutto il salotto mi dà quasi la nausea, facendomi sorgere ancora più dubbi su come io possa mai aver pensato che ridursi in queste condizioni pietose sia eccitante. Probabilmente allora era semplicemente il mio modo di integrarmi in un mondo che vedevo adatto per me stesso. Ma ora che mi conosco un po' meglio, pur ridotto da schifo, non posso che ridere per la mia stessa idiozia.

Non voglio più tornare quello che ero un tempo. Questa volta la ricorderò come l'ultima in cui ho calpestato le regole che io stesso mi sono imposto e che, ora come ora, mi appaiono più sensate che mai.

E mentre sigillo questo patto col mio subconscio, mi pare di sentir bussare alla porta.
Naturalmente, essendo io abbastanza consapevole (per così dire) di non essere in pieno delle mie facoltà mentali, per qualche secondo ho come l'impressione che sia stato il desiderio di rompere questa solitudine a giocarmi un brutto scherzo. Perciò prima di prendere in considerazione l'idea di alzarmi, attendo per qualche secondo che mi arrivi un altro segno.

Mio malgrado però, tale segno arriva veramente. Dopo una manciata di secondi il bussare si tramuta in un campanello suonato con insistenza, come per dimostrare che l'inatteso visitatore non abbia la più piccola intenzione di andarsene senza alcuna risposta.

In cuor mio, ho già qualche piccolo sospetto di chi possa essere...e la prospettiva che si affaccia nella mia testa mi sembra alquanto terrificante. Perciò, con l'intenzione di verificare prima dallo spioncino se i miei sospetti sono giusti (per poi tentare eventualmente di fingermi scomparso nel nulla), faccio del mio meglio per camminare in punta di piedi nella direzione dell'ingresso.

La scena in sé mi appare talmente patetica che non posso controllare la voglia di ridere. Tuttavia, dopo aver rovinato la mia avanzata silenziosa in stile ninja un po' alticcio, proseguo indisturbato nella speranza di non essere stato sentito. Ma, naturalmente, ancora una volta fallisco miseramente quando urto un piccolo tavolino di vetro, piazzato in un angolo all'ingresso, e tutto ciò che vi era appoggiato su di esso cade miseramente a terra, provocando un tonfo che non lascia alcuno spazio al più piccolo dubbio: l'ubriacone Justin è senz'altro in casa.

Dopo di questo, dall'altra parte della porta inizia ad arrivare l'inconfondibile borbottio di una Whitney impaziente e una Hana pronta a riversare tutta la sua ironia su di me. Al che io, dopo aver appurato che preferirei morire piuttosto che essere visto così da Whitney, mi volto leggermente nella direzione del salotto per calarmi nei suoi panni e capire cosa potrebbe pensare vedendo: un muro interamente schizzato di vino rosso (in seguito al lancio di una bottiglia nel tentativo di fermarmi dal bere quando il mio cervello era ancora parzialmente funzionante- insomma, uno di quei gesti avventati che trovi nei film più flop di tutta l'industria cinematografica), bottiglie aperte di qua, macchie di vino di là; un puzzo di fumo che fa presumere che io mi sia fumato almeno due pacchetti di sigarette nel giro di qualche ora (cosa che non posso smentire, giacché non me lo ricordo)...ah e io che ho l'aspetto di chi ha dormito per strada per più di qualche giorno.

Buon Dio, peggio di così non potrebbe andare!

"Posso spiegare." Farfuglio non appena mi ritrovo davanti le due ragazze, una volta deciso di affrontare di petto questo incubo.
"Lui può spiegare" Ripete Hana in un tono a metà tra l'essere incredula e ironica. Whitney, in tutta risposta, si limita a scuotere la testa e a passarmi accanto come se fossi un semplice ostacolo da aggirare.

A questo punto, ancor prima di rendermi conto cosa sta succedendo, dentro di me cresce quella tipica indignazione dell'ubriacone che si sente ferito nell'orgoglio (e un po' colto nel fragrante) e che, perciò, di conseguenza, si sente anche costretto a sparare a zero con la prima cazzata che, sfortunatamente, gli passa per la testa. E io, anche quando riesco ad identificare piuttosto bene questa delicata fase in cui, ahimè, sono appena finito, non ho la prontezza di chiudere la bocca prima di ingrandire il danno ormai fatto.

"So cosa sto facendo e posso smettere quando voglio." Asserisco in un tono un po' troppo brusco.
"Pensavo fossi già arrivato da parecchio al punto in cui volevi smettere." Ribatte Whitney prontamente, infilando il dito nella piaga.
Normalmente, in una situazione in cui sento di essere in possesso delle mie facoltà mentali, ammetterei quanto tutto ciò sia incasinato, per poi sotterrare l'ascia di guerra alla velocità della luce. Ma questa non è affatto una situazione normale. Il mio cervello sembra sia letteralmente entrato nella modalità "difenditi a tutti i costi".

"È così." Replico osservando con la coda dell'occhio come Hana si accinge ad affiancare la sua amica. Cos'è, una congiura contro di me?
"Sono abbastanza grande da saper controllare la mia vita." Continuo per un po' nello stesso tono di scherno, finché il mio umore non cambia drasticamente e mi investe un'ondata quasi assurda per quanto forte di nostalgia mischiata al dolore. Oltre ad essere ubriaco, probabilmente sono affetto anche da qualche lieve forma di bipolarismo.

"In più, tu non devi servirmi su un piatto di argento l'illusione che ci sarai sempre per me. Perché ti stai preoccupando? In ogni caso non sarai qui ad aiutarmi dopo ogni ricaduta." Sputo fuori, sentendo come il cuore mi diventa sempre più pesante. "Io ti amo da impazzire, Whitney. E odio sapere che l'universo invece di darti ciò che meriti ti dà solo sofferenze. Ma da quando ci sei tu, ho imparato ad amare un po' anche me stesso. E proprio perché amo me stesso ti chiedo di lasciarmi in pace se dentro di te sai già che presto te ne andrai. Chiamami egoista, perché lo sono. Ma non concepisco l'idea di dover attendere il momento in cui te ne andrai. Non posso. Perciò, facciamola finita adesso."

"Oh mio dio, cosa ho combinato!" Esclama Hana, interrompendo uno dei discorsi più confusi che io abbia mai proferito in tutta la mia vita.
"Tu sai di cosa sta parlando?" Le chiede Whitney accordandole la sua completa attenzione, come se momentaneamente fossi sparito dalla loro visuale.
"È tutta colpa mia. Ho voluto comportarmi da buona samaritana e prepararlo ad un tuo possibile ritorno nella comunità. Ma, ti prego di credermi, non avrei mai immaginato che ne sarebbe uscito così distrutto." Si difende la ragazza, sembrando sinceramente in pena. "Ho combinato un vero casino."
"Dio, Hana!" Esclama Whitney evidentemente frustrata. "Non era compito tuo affrontare questo argomento."

Le due ragazze si scambiano un paio di sguardi eloquenti, stabilendo una sorta di conversazione tacita fatta di solo occhiate, per poi ritornare a notare la mia ridicola presenza. E io, dal canto mio, dalle ultime parole di Whitney estraggo solo e soltanto un significato: è arrabbiata perché Hana mi abbia messo in guardia su un argomento che lei stessa avrebbe preferito aprire. Il pericolo, quindi, è reale.

Se ne andrà. Non è una paranoia fiorita nella mia testa. È la verità.

"A meno che tu non voglia smentire ciò che Hana mi ha detto, non abbiamo altro da dirci." Asserisco in modo lapidario, rifiutandomi di ripetere una sequenza infinita di "Ti amo." e "Mi mancherai sempre" che echeggiano nella mia testa.

N.a.
I prossimi capitoli saranno dal punto di vista di Justin (per una ragione ben precisa). Spero non vi dispiaccia!

Il cielo nei tuoi occhi d'ebanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora