Capitolo 37-Justin

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Il mio lato paranoico fa capolino non appena resto da solo.
Il tragitto verso casa si rivela straziante, ma trovarmi da solo tra quattro mura lo è ancora di più.

Per mettere a tacere i miei demoni, mi dico semplicemente che sia totalmente normale che Whitney abbia una giornata storta, in cui la stanchezza sembra più insostenibile del solito. Io ho perso il numero di tutte le giornate in cui non ho avuto altro che quella spiacevole sensazione e, anzi, forse posso addirittura dire che siano più rare quelle in cui il mio umore non mi fa sembrare la persona più insopportabile di questo mondo.
Ma Whitney non ha niente a che fare con i miei modi sgarbati e le mie lune storte. L'ho già vista attraversare momenti di questo tipo e so per certo che non diventa fredda e distante come lo è stata oggi.

E, allora, come faccio a non chiedermi cos'è che stia disturbando la sua tranquillità? So che potrei non essere necessariamente io la ragione. D'altra parte, mi rendo conto di non essere il centro del suo universo, perché il suo mondo non gira di certo intorno a me e ci sono sicuramente un sacco di cose che considera altrettanto importanti. Ma anche ammettendo (a malavoglia) questa mia funzione secondaria, non riesco a capire perché non abbia scelto me per sfogare le sue frustrazioni e liberare i suoi pensieri. Non siamo forse ancora arrivati al punto in cui possiamo lasciar trasparire, seppur non completamente, le proprie frustrazioni? Più ci penso e più sembro lontano dal trovare una risposta.

In più, devo anche tenere a bada l'istinto di prendere continuamente il telefono e chiamarla fino allo sfinimento. Forse quella di convincerla a mettere da parte le sue convinzioni non sia stata una mossa così intelligente da fare, perché ora ho la tentazione di passare l'intera giornata a cercare di sentire la sua voce anche per qualche misero secondo.

All'arrivo della sera però, smetto di reprimere il mio lato più impulsivo e tento la fortuna chiamandola. Naturalmente, i miei tentativi risultano subito vani. Tant'è che non mi resta che mandarle un ultimo messaggio, chiedendole semplicemente di dirmi come se la sta passando. E, quasi per grazia divina, dopo qualche minuto mi risponde con un veloce "va tutto bene", per poi augurarmi la buonanotte.

Dalla sua risposta secca mi permetto di assumere che niente sia cambiati da questo pomeriggio. La sua voglia di parlarmi continua a scarseggiare e anche il mio umore, quasi fosse collegato al suo, sta iniziando a tramontare. Il pensiero che possa covare realmente della rabbia nei miei confronti senza avere la benché minima intenzione di parlarmene mi dà la nausea per il semplice fatto che so meglio di tutti che la rabbia repressa non porta mai a niente di buono.

Dopo un'altra mezz'oretta di commiserazione, capisco finalmente che non posso starmene con le mani in mano e aspettare che nella sua testa riaffiori il desiderio di essere aperta con me. Devo essere io a creare quel desiderio, anche se questo implica essere stressante (cosa che ultimamente mi riesce alla perfezione).
E una volta appurato ciò, abbandono il mio rifugio e mi fiondo in macchina, per poi partire spedito verso casa sua. Ma il tragitto dura più del solito, visto che ho la brillante idea di fermarmi e comparare la cosa che Whitney ama di più al mondo: dei piccoli cupcakes alla red velvet che probabilmente nascondono l'elisir della felicità nell'impasto, perché ogni volta che li mangia inizia a sbandierare un sorriso che parte da un orecchio e arriva all'altro. Nemmeno io, per quanto mi sforzi, riesco a farla sorridere così ampiamente.
E se nemmeno questo dovesse funzionare, potrò dedurre che la situazione sia davvero grave per poi ritornare a commiserarmi e lasciare che le paranoie mi assalgano lentamente. Ma questa volta, intendiamoci, per una vera e buona ragione.

"Non è un buon momento, amico." Mi da il benvenuto Hana, aprendomi la porta con l'espressione di chi sa di essere in procinto di dirti qualcosa che non vorresti sapere. "E se quelli sono cupcakes alla red velvet, sappi che ti ho ho già preceduto e non ha funzionato."
"Oh oh!" Esclamo, passandole la scatola che ho custodito speranzoso mentre ho messo a dura prova i miei polmoni, ostinandomi a salire ben cinque piani di scale in un batter d'occhio. "E' ancora sveglia?"
"Non ne ho la più pallida idea." Ammette la ragazza, grattandosi la nuca. " Non è uscita dalla sua stanza nemmeno per cenare. Ci deve essere qualcosa sotto."
"Ma cosa?" Chiedo, pur avendo già capito che persino la sua miglior amica non ha delle risposte di fronte a questo suo strano comportamento.
"Non credo sia una buona idea cercare di parlarle questa sera. Perché non ci provi domani?" Mi suggerisce nell'esatto istante in cui mi accingo ad attraversare il salotto.
"Voglio soltanto vederla, non le chiederò alcuna spiegazione." La rassicuro (optando per una bugia), beccandomi un'occhiata contrariata da parte sua.

Il cielo nei tuoi occhi d'ebanoWhere stories live. Discover now