Capitolo 47

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"Perché nessuno si è preso la briga di mettermi al corrente?" Chiedo tra le lacrime, stringendo i pugni a tal punto che sento le unghie conficcarsi nei palmi delle mani.
"Non volevano che con ciò potessero influenzare le tue scelte." Risponde Zachary, evitando di guardarmi direttamente negli occhi. E questo gesto, nonostante la mia mente in questo preciso istante stia volando in mille direzioni, mi fa capire che non sia totalmente sincero. Lo sa bene...sa bene che se solo alzasse lo sguardo saprei come intrufolarmi nella sua mente.

"Che cazzata." Asserisco, alzandomi di scatto dal divano. Zachary mi lancia dapprima uno sguardo incredulo, che però si trasforma velocemente in un misto di compassione e comprensione. Dopodiché, segue il mio esempio e mi raggiunge, appostandosi anche egli davanti alla grande finestra che dà sulla strada.

"Ti lascerò del tempo per poter processare, per quanto possibile, questa terribile notizia." Inizia, poggiando una mano sulla mia spalla con fare rassicurante. "Dopodiché questa sera ritornerò e parleremo un po' senza tanti giri di parole, okay?"
"Okay." Acconsento, apprezzando l'ennesima dimostrazione di quanto anche egli mi conosca fin troppo bene. Chi altro se non lui potrebbe indovinare il momento esatto in cui ho bisogno semplicemente di essere lasciata da sola per leccarmi le ferite?
"Potrei tornare dal lavoro molto tardi, però." Lo avverto, fissando lo sguardo in un punto indefinito.
"Vuoi dirmi che non c'è un modo per risparmiarti lo strazio? Almeno oggi, Whitney." Mi consiglia in tono quasi supplichevole.
"Peggiorerebbe soltanto la situazione, non credi?" Rifletto a voce alta.
"Forse si." Ribatte pensieroso. "Ognuno affronta il dolore a modo suo."

Dopo avermi spiegato velocemente dove alloggia, Zachary se ne va, promettendomi di tornare con l'intento di dirmi tutta la verità. E nello stato confusionario (e alquanto pietoso) in cui mi ritrovo la curiosità non mi spinge ad insistere affinché mi racconti tutto in questo preciso istante. Voglio semplicemente chiudermi per un paio d'ore fra le mie quattro mura, che mi fungono sempre da rifugio, e processare a modo mio un po' del dolore che mi sta attanagliando. Zachary ha perfettamente ragione, ogni persona lo affronta a modo suo. E io preferisco affrontarlo da sola, a piccole dosi, senza alcun spettatore che non può comprendere a pieno ciò che sto vivendo.

Con questa consapevolezza, mi asciugo le lacrime velocemente e mi avvio verso la cucina. Il silenzio tombale che vi regna, mi fa intendere che non ci sia affatto bisogno di spiegazioni. Perciò decido di saltare qualsiasi futile introduzione, passando direttamente al dunque.

"Ho bisogno di stare un po' da sola, ci vediamo più tardi." Asserisco, guardando prima Justin e poi Hana. Il primo, come risposta, fa un passo nella mia direzione ma viene subito fermato dall'occhiata eloquente di Hana, la quale mi sussurra un timido "A dopo.", prima di concentrare tutta la sua attenzione su Justin.
Lo sguardo ferito di quest'ultimo non mi sfugge, pur girando i tacchi alla velocità della luce. Eppure mi limito semplicemente a proseguire con i miei passi, a tratti un po' lenti e un po' stanchi- nonostante sia ancora mattina e mi sia svegliata non più di mezz'ora fa.

Una volta chiusa alle spalle la porta della mia stanza, mi aspetto di scoppiare in un pianto disperato, a giudicando del groppo che ho in gola e dai miei respiri irregolari. Ma non succede niente di ciò. Il mio subconscio non mi concede nemmeno la possibilità di aspirare ad un po' di sollievo, ma piuttosto mi bombarda immediatamente con mille rimorsi, ricordandomi che grazie alla mia testardaggine non sono nemmeno riuscita a passare i suoi ultimi giorni insieme a lei...

Non che la mia presenza potesse mai essere un'ancora di salvezza. Non avrei potuto salvarla dalle grinfie della morte perché probabilmente nemmeno lei sapeva di doverla combattere. Quella maledetta comunità non sa quando mettere da parte le sue convinzioni e affidarsi al progresso.

E per questo, in questo preciso istante, un po' la odio.
Me ne pento per non essermi trovata dentro ed averle tenuto la mano nei suoi ultimi istanti di vita, ma allo stesso tempo in un angolino del cervello una vocina si congratula con me per essere scappata a gambe levate prima di pensarci due volte.

Ho sempre sentito che quel luogo sperduto non facesse per me, ma ora questa sensazione si sta trasformando nella convinzione che nessuno mai dovrebbe metterci piede in un posto in cui le malattie, qualunque esse siano, non vengono prese sul serio fino a quando non ti trovi appeso ad un filo, aspettandoti di cadere da un momento all'altro o nella trappola della morte o nelle braccia della vita.

Al momento non ho un quadro completo della situazione, so solo che sono arrabbiata e ferita...e so anche se potessi fare un salto nel tempo me ne resterei lì e lascerei marcire il mio spirito in un luogo in cui non mi appartiene pur di vedere mia madre per l'ultima volta.

Più ci penso più vorrei cancellare dalla mente ogni ricordo di quel villaggio che si è chiuso di fronte al mondo, perché in cuor mio so di essere stata chiusa fuori anche io. Altrimenti qualcuno della mia bella famigliola si sarebbe preso la briga di mandarmi una maledetta lettera e mettere fine alla convinzione che tutti i miei cari siano ancora sotto lo stesso cielo.

Eppure, nonostante la rabbia, mi chiedo anche come loro stiano reagendo a questo strazio. Ormai, da quanto appreso da Zachary, sono passate due settimane...e che atmosfera ci sarà stata in queste due settimane nella mia casa d'infanzia?
Quasi riesco a vedere lo sguardo perso di mio padre, le spalle tese dei miei fratelli e le lacrime della mia sorellina.

Dio, non ci voglio tornare! E' l'ultimo posto in cui mi vorrei trovare in questo momento...ma, allo stesso tempo, pur essendo stata tagliata fuori- come se non fossi mai stata un membro della famiglia, vorrei poter comunque affrontare questo dolore insieme a loro.
Conoscendo la mia famiglia, probabilmente nessuno avrebbe il coraggio di dire alcuna parola ad alta voce, ma ognuno saprebbe rispettare io silenzio dell'altro- imparando a convivere ad una tale perdita insieme.

Quando sento dei leggeri battiti nella porta, sono arrivata al punto in cui mi sento talmente consumata dai miei stessi pensieri che non ho la forza nemmeno di rispondere. Ma per fortuna, il visitatore, che dopo qualche secondo scopro sia Justin, decide di fare capolino nella stanza nonostante il mio silenzio.

"Me ne sto andando." Mi informa, in una voce rauca. Qualcosa nel suo tono mi costringe a distogliere l'attenzione dal soffitto e a guardarlo direttamente negli occhi, scoprendo così uno strano rossore che mi fa pensare che egli abbia versato qualche lacrima. "Quando ti va di parlarne, sai dove trovarmi, okay?"
"Ci vediamo stasera?" Chiedo, spinta dalla sensazione che le sue lacrime siano dovute a qualcosa che mi sfugge.
Justin conferma con un cenno della testa e mi volta le spalle con una tale velocità che mi porta a non pensarci due volte prima di scattare in piedi e aprire la porta, che egli ha sbattuto forse con un po' troppa forza, in modo da poter ascoltare il rumore dei suoi passi. Ha una tale fretta che nel giro di qualche secondo abbandona già l'appartamento, sbattendo letteralmente tutte le porte che gli capitano davanti.

"Pensi sia successo qualcosa?" Chiedo a Hana, avvicinandomi a lei furtivamente, mentre se ne sta appollaiata sul divano.
"No, è solo..." Inizia, visibilmente sorpresa di vedermi uscire così presto dal mio rifugio. "È soltanto molto scosso per quello che ti sta succedendo."
"Aveva gli occhi rossi." Le faccio notare, lasciandomi cadere accanto a lei.
"Ne sei sicura?" Mi chiede, evitando di confermare o smentire la mia constatazione.
"No, l'ho visto soltanto per qualche secondo." Faccio un passo indietro, non più tanto sicura delle mie parole.

"Hana, tu pensi che io sia capace di reintegrarmi nella comunità?" Le chiedo all'improvviso, sentendo l'urgente bisogno di avere un'altra visione oltre che quella fornitami dalla mia mente annebbiata.

Il cielo nei tuoi occhi d'ebanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora