Capitolo 50- Justin

743 48 11
                                    

Per quale strana ragione, nonostante io possa definirmi quasi un ex campione nel campo dei risvegli traumatici dovuti a sbornie troppo potenti, questo risveglio mi sembra di gran lunga il più terrificante di tutti. Aprire gli occhi alle due di pomeriggio e realizzare di aver marcito per ore e ore sul divano, nel mentre che la luce che mi circonda amplifica la sensazione di spaesamento, mi catapulta in uno stato riflessivo per ricreare mentalmente gli avvenimenti di ieri sera.

Ma il nauseante odore di alcol e fumo accelera il processo e mi basta letteralmente un secondo per capire il fulcro della storia: in pochissime parole, ho avuto una delle ricadute più ridicole della storia di tutte le ricadute. Ieri ero un alcolista in via di guarigione, oggi sono semplicemente un alcolista.

Quando provo ad alzarmi dal divano, un po' per controllare che i miei arti non abbiano smesso di funzionare (insieme all'ultimo neurone che, coraggiosamente, era riuscito a sopravvivere fino ad ieri sera) ed un po' perché il senso di delusione per le mie stesse azioni è troppo forte per restarmene ancora immobile, la nausea mi assale in un battibaleno, costringendomi a strisciare verso il bagno dove scarico tutto lo schifo che mi porto dentro. Questo, naturalmente, solo per quanto riguarda la quantità di alcol ingerita ieri sera. I miei problemi e debolezze restano ancora ancorati alle mie cellule. Praticamente sono fatto di insicurezze e difetti.

Seduto sulle piastrelle fredde del bagno, mi ritrovo in uno stato di trance che mi costringe a ripensare per qualche secondo a ciò che è successo ieri sera. E nella mia testa riaffiora il ricordo dell'esatto momento in cui ho esortato Whitney a uscire definitivamente dalla mia vita, perché ormai del tutto convinto del suo ritorno nella comunità.

Ma è questione di pochi secondi, giacché non riesco a trovare il coraggio di analizzare attentamente quel momento. Preferisco piuttosto cacciarlo dalla mente e concentrarmi sul presente, che è semplicemente un gran casino da sistemare al più presto.

Il primo step è quello di sbarazzarmi dell'aspetto di senzatetto e ritornare ad avere vagamente un aspetto ordinato. Dovrebbe essere lo step più facile, e invece si dimostra una tortura perché sotto la doccia i miei pensieri diventano più rumorosi del getto d'acqua.

Ma ho avuto veramente la pessima idea di trattare Whitney in quel modo? Non riesco letteralmente a pensarci per più di qualche secondo senza che mi manchi il respiro.

Ed è per questo che non esito prima di iniziare il secondo step: pulire il casino infernale che ho disseminato in tutta la casa. Per qualche ora mi trasformo in una casalinga inferocita che non pensa a nient'altro che al modo migliore per cancellare i segni della mia depravazione dal parquet. E stranamente il mio cervello mi dà un po' di tregua, lasciando che il mio incessante bisogno di rimettere un po' di ordine nella mia vita prenda il sopravvento.

Poi arriva la sera e la musica cambia. Divento nuovamente ansioso e terribilmente ferito per le mie stesse azioni. Ma per mia grande fortuna non sono comunque costretto a fare i conti con il mio subconscio, poiché mi sento talmente a corto di forze che mi basta preparare velocemente qualcosa da mangiare, rovinare i miei polmoni con un altro paio di sigarette e fare un'altra veloce doccia, per poi scivolare nuovamente sul divano ed addormentarmi.
Non se ne parla di ritornare a dormire nel mio letto, quando solo qualche giorno fa sono scappato letteralmente a gambe levate da una vacanza in famiglia con l'intenzione di dividere quel letto insieme a Whitney.

Ad ogni modo, il giorno seguente sembra iniziare in un modo decisamente migliore di quello prima. Tant'è che, per grazia divina mi sveglio  abbastanza presto da prendere in considerazione l'idea di tornare a seguire i corsi al college (che poi si trasforma in una vera e propria decisione quando realizzo che la sessione degli esami invernali si sta avvicinando alla velocità della luce) e, inoltre, mi sento anche abbastanza bene, fisicamente, da poter resistere ad un paio d'ore di strazio. Moralmente mi sento ancora come se mi avesse investito un treno, ma probabilmente questa sensazione andrà avanti per fin troppo tempo perché io possa lasciarmi condizionare.

E così alle otto del mattino cammino per i corridoi del college come un fantasma pronto a spaventare qualche povera anima ancora viva. O almeno è questa l'immagine che vedo riflessa negli occhi della gente. Dal canto mio mi sento abbastanza vivo considerando quanto il cuore mi stia piangendo da circa due giorni, quando Hana mi ha aperto gli occhi.

Se sei ancora capace di provare dolore sei vivo e vegeto. Ma naturalmente gli altri studenti non pensano la stessa cosa, considerando le occhiate incredule che mi vengono lanciate per tutto il tragitto verso l'aula dove avrà luogo il primo corso.

E come biasimarli? È passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che ci ho messo piede. Qualcuno avrà sicuramente scommesso su una mia nuova ricaduta che mi avrà riportato in un letto d'ospedale. Il numero di lavande gastriche a cui sono stato sottoposto l'anno scorso non è un segreto per loro.
Perciò non me la sento di biasimare nessuno di quelli che bisbigliano e lanciano frasi come "Ho sentito che ha iniziato a bere nuovamente." oppure, ancora meglio, "Mi è stato detto che ora fa anche uso di droghe.". La mia fama da depravato seriale non mi ha mai abbandonato del tutto e mai lo farà.

La cosa sorprendente però è che, a differenza di qualche mese fa, i loro sguardi curiosi mi scivolano addosso, senza affliggermi in alcun modo. Difatti quando vedo Dean e Mason in lontananza, sorpresi come tutti gli altri nel rivedermi, mi limito semplicemente ad alzare la mano in segno di saluto, senza la benché minima intenzione di avvicinarmi a loro.

La vera catastrofe ha inizio quando una volta iniziato il corso con la coda dell'occhio vedo come una Clarice con lo sguardo da cucciolo ferito si siede accanto a me, per poi restarsene in silenzio. E lo strazio continua quando realizzo di aver buttato via ogni progresso che avevo fatto nel recuperare tutte le lezioni perse, poiché sono ritornato nuovamente al punto in cui mi sembra che intorno a me si parli una lingua sconosciuta.

Sono punto e a capo: ogni piccola vittoria è stata cancellata nel campo dello studio; la mia vita sentimentale si è dissolta nuovamente nel nulla; tutti quelli che pensavo fossero i miei amici si sono dimostrati dei serpenti.

Ne uscirò mai da questo lunghissimo tunnel?

Dopo una prima fase di sconforto totale decido che non sia del tutto impossibile. Pur non avendo la più pallida idea di come riuscire ad uscirne, in qualche modo sento di poterla ancora farcela.

Il primo passo, mi dico, è quello di chiedere scusa a Whitney per quello strano ultimatum che le ho dato due giorni fa e dirle addio nel modo più appropriato in cui si dovrebbe fare con la persona che ami più di te stesso. Tra un corso e l'altro, mentre mi rifugio nel miei pensieri poiché totalmente incapace di seguire gli argomenti della lezione, capisco che questa sia la miglior cosa da fare.

Ho bisogno di dirle addio nel modo più pacifico possibile, darle un ultimo bacio, vederla partire e poi realizzare di essere ritornato quello di prima, il Justin che può contare solo su se stesso.  Dopo di questo, ritornerò a passare le giornate sui libri, cercando si rimediare ai miei continui errori.

È così che deve andare.

E con questo piano ben impresso nella mente, una volta finito i corsi, sgattaiolo fuori dall'aula ancor prima di dare il tempo a Clarice di cambiare idea e rivolgermi parola.

Una volta arrivato al Coffee Shop però, col fiato spezzato e infreddolito fino all'inverosimile, la prima persona che intravedo non è Whitney ma Hana. E in qualche modo capisco che prima di arrivare a quest'ultima mi dovrò subire la rabbia della sua amica fedele per il poco tatto che ho avuto due giorni fa.
Sarà terribile, ma me lo merito pienamente.

"C'è Whitney?" Chiedo, passando dritto al punto, sfregandomi le mani ripetutamente tra di loro nel vano tentativo di recuperare un po' di calore.
"Siediti." Asserisce Hana, indicandomi un tavolo vuoto. "Ti porto un caffè."
"Puoi passare direttamente alla parte in cui mi esponi tutte le tue ragioni per cui mi consideri un idiota, per poi chiamarmi Whitney?" Ribatto, cercando di sbirciare nel retro, sperando di intravederla.
"Ma perché devo essere sempre io a dare le notizie peggiori." Borbotta Hana tra sé e sé, confondendomi per qualche secondo. In più, sono troppo impegnato a ricordarmi tutti i punti del mio piano per riuscire a capire ciò che sta cercando di dirmi anche con lo sguardo.

"Justin..." Inizia, dopo un lungo sospiro. "Whitney se n'è andata ieri."

Il cielo nei tuoi occhi d'ebanoWhere stories live. Discover now