Capitolo 40- Justin

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Dopo l'ennesima chiamata senza alcuna risposta, lancio il telefono sul letto a con tutta la frustrazione che ho accumulato in questi giorni. E come risultato, esso rimbalza sul comodo materasso per poi cadere miseramente a terra. Il rumore che ne consegue mi fa capire che lo schermo si sia rotto, e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per non raccoglierlo e lanciarlo nuovamente, ma questa volta contro il muro.

Preferisco di gran lunga lasciarmi cadere a peso morto sul letto e fissare il soffitto in attesa che almeno una divinità mi mandi qualche indicazione su come riuscire a mandare via questa sensazione di vuoto che ho nel petto.

Ormai sono quattro giorni che non faccio altro che rimuginare su un'infinità di parole e segnali che in passato non ho saputo afferrare ma che ora mi ritornano in mente continuamente, senza darmi tregua.
Da quando ho messo piede in aeroporto, quattro giorni fa, e sono partito per quello che dovrebbe essere nient'altro che un viaggio all'insegna della ricerca di una stabilità familiare, ho capito che, invece di concentrarmi soltanto su questo traguardo, probabilmente dovrò anche sforzarmi a non lasciar scivolare via la mia stabilità mentale.

Il viaggio è partito in modo terribile e sta continuando nella stessa maniera. La mattina della partenza mi sono precipitato a casa di Whitney poco prima che lei andasse al Coffee Shop, in modo da riuscire a vederla almeno per cinque miseri minuti prima di dover letteralmente sfrecciare fino all'aeroporto. Ma è stata Hana a mettere fine velocemente al mio piano, dicendomi che Whitney era uscita per una passeggiata mattutina. Bizzarro, no? Per quanto io sia consapevole che Whitney abbia una particolare predilezione per le passeggiate anche quando il termometro ti esorta a restartene a casa, so che non ne avrebbe mai fatta una prima di iniziare il turno di lavoro. La sua mania di essere sempre puntuale non glielo avrebbe permesso.
E, allora, è lecito supporre che semplicemente abbia istruito Hana a dirmi una bugia? Nella mia testa, sono fermamente convinto che questa sia la spiegazione più plausibile. E questa ipotesi si rafforza con ogni secondo che passa, ogni chiamata senza risposta e ogni istante passato a chiedermi se qualcosa non si sia rotto nel nostro rapporto.

I pochi minuti in cui sono riuscito a catturare un po' del suo tempo, non ho mai avuto la spiacevole impressione che ci sia della freddezza nella sua voce. Quando finalmente decide di dare un segno di vita, è la solita Whitney che ti riempie di domande su ogni dettaglio e mostra interesse anche per questioni a cui io non presto attenzione nemmeno di sfuggita. Il problema sorge quando la chiamata finisce e i suoi segni si evaporano per un giorno intero, per poi ricomparire per un paio di minuti e sparire di nuovo.

O forse è proprio la distanza che mi sta dando alla testa. Sono troppo abituato a fiondarmi in macchina e precipitarmi dovunque si trovi per poter anche semplicemente guardarla e placare, quasi istantaneamente, ogni mia piccola paranoia. Non ci so proprio fare quando si parla di starle lontano, ma ho come la vaga impressione che lei, invece, non sia affatto costretta a fare i conti con la mia stessa difficoltà.

Ad ogni modo, questi pensieri fissi insieme al mio quasi inesistente spirito natalizio, le litigate tra Clarice e i suoi genitori e le manie ossessive di quest'ultima sono la ricetta perfetta per rovinare quella che dovrebbe essere una vacanza da sogno.
Attualmente niente sta andando secondo i miei piani: Whitney non sta affatto sentendo la mia mancanza; invece di consolidare il rapporto con Clarice, sto sviluppando un certo fastidio per quei suoi comportamenti a cui prima non ci facevo nemmeno caso; ed, infine, non riesco a mostrare un minimo di entusiasmo per un Natale passato sulla spiaggia quando nella mia testa ho un'idea totalmente diversa. Io, personalmente, il Natale l'avrei voluto passare a New York insieme a Whitney, nascosti nel mio appartamento, al riparo dal freddo, mentre fuori dalla finestra avremmo potuto ammirare i fiocchi di neve che, in questo periodo dell'anno, cadono sempre incessantemente sui marciapiedi pullulanti di gente. Il sole cuocente di Freeport, la protezione solare e la piña colada non fanno parte della mia visione del Natale perfetto. Eppure sono costretto a tenere la bocca chiusa e lasciare che gli altri si divertano mentre io frigno come una ragazzina in piena crisi esistenziale.

Comunque sia, dopo dieci minuti di riflessione su quanto il mio umore stia scendendo sotto il livello del suolo, il mio flusso di autocommiserazione viene interrotto dal suono del telefono che irrompe nella stanza e mi fa scattare immediatamente in piedi. Senza pensarci due volte, raccolgo da terra l'aggeggio malefico (così come lo chiama Whitney) che ha ormai lo schermo rotto e rispondo senza nemmeno guardare il nome che lampeggia sul display. So chi desidero che ci sia dell'altra parte, e non voglio che le mie speranze vengano rovinate.
Ma per la prima volta negli ultimi giorni, la fortuna sembra stia dalla mia parte perché e i miei nervi si distendono all'istante nel sentire la sua voce.

"Scusami, non avevo affatto sentito il telefono quando mi hai chiamata, qualche minuto fa." Si giustifica Whitney, dopo avermi salutato velocemente. "Va tutto bene?"
"Sto per prendere l'aereo e tornare a casa." Ci scherzo su, evitando di farle notare che, in realtà, è tutto il giorno che ignora le mie chiamate.
"Justin, se soltanto tu ti rilassassi di più, potresti addirittura goderti il resto della vacanza." Mi fa notare in un tono talmente pacato e dolce che per qualche istante ho l'impressione che tutti i problemi esistino soltanto nella mia testa.
"Però già mi manchi ." Asserisco, sedendomi precariamente sul bordo del letto. Il silenzio che cala dall'altra parte fa tornare immediatamente in me quella sensazione di star sbagliando qualcosa che, in qualche modo, per Whitney stia rappresentando una sorta di blocco. Sono in procinto di chiederle se, in realtà, ci sia qualcosa che non va da parte sua. Ho proprio sulla punta della lingua questa domanda, ma vengo interrotto dal suo "Anche tu." sussurrato con un po' di indecisione, come se fosse incerta su quanto sia giusto condividerlo con me.

Istintivamente sorrido, senza la benché minima intenzione di chiedermi se sia la verità o se l'abbia detto perché il mio stato confusionario la stia facendo impietosire oltremisura. Semplicemente mi godo la sua risposta come se fosse una certezza, sorridendo come un piccolo e povero ebete e abbracciando il mio lato patetico. Ma questa sensazione di euforia, comunque, dura forse per un paio di secondi, ovvero finché, dopo qualche breve colpo nella porta, Clarice fa capolino nella stanza e annuncia che i nostri genitori sono pronti per andare a cena.

"Dammi un paio di minuti e arrivo." Asserisco, allontanando brevemente il telefono dall'orecchio, per poi riavvicinarlo con la velocità della luce.
"Dovresti andare, ci possiamo sentire domani." Interviene Whitney dall'altra parte.
"No, possono aspettare." Ribatto, incurante della presenza di Clarice nella stanza. Tuttavia, sembra che Whitney abbia già preso una decisione, considerando che ancor prima di avere il tempo di finire la frase si congeda con un "Ciao, Justin!" per poi riattaccare.

"Che ti succede?" Chiede Clarice, probabilmente notando le occhiate storte che sto lanciando al telefono.
"Niente." Decido di rispondere, non volendo lasciar trasparire assolutamente niente. "E vuoi, per favore, smettere di aggiustate quel quadro?"
"Era storto." Si difende, alzando le mani in segno di resa.

E nella mia mente la correggo ribadendo che, effettivamente, il quadro era storto ma che è riuscita ad aggiustare la sua posizione dopo un solo tentativo e non c'era affatto bisogno di aggiustarlo per altre cinque volte. In più, guardandola mentre scosta la tenda della grande finestra che dà sulla spiaggia per circa un miliardo di volte nel giro di qualche istante finché non è contenta di come copre perfettamente soltanto metà finestra, mi chiedo come io abbia potuto non notare prima quello che in questo momento mi appare piuttosto ovvio: Clarice è ossessiva-compulsiva fino al midollo.

"Ne sei sicuro?" Ritenta, puntando il suo sguardo indagatore su di me.
"Si." Continuo sulla stessa linea, senza volerle confessare che, in realtà, ho appena capito che la voglia di Whitney di parlarmi sparisce ogni volta che sente la sua voce. D'altra parte, tirando le somme, mi rendo conto che è già le seconda volta nel giro di quattro giorni che Whitney si congeda non appena sente il suono della voce di Clarice. E questo inizia a preoccuparmi parecchio.

Dovrò forse trovare il coraggio di fare una scelta?

Sono davvero arrivato al punto di dover scegliere tra l'amica di una vita e l'unica ragazza per cui il mio cervello sia mai andato in tilt?

N.a
Ripetete tutte insieme a me "Si, Justin, devi fare quella maledetta scelta." 😂

Il cielo nei tuoi occhi d'ebanoHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin