Capitolo LXVII

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Mentre Loki si rivestiva io ne approfittai per rubare il suo turno. Eravamo parecchio in ritardo. Mi sarebbe dispiaciuto solo non riuscire a vederlo con un grembiule a servire i lavoratori notturni e lavare i piatti. Ma, hey, io avrei probabilmente finito prima. Entrai in una grande sala con tanto rumore. Un ragazzo alto e muscoloso mi raggiunse appena mi vide. Mi sentivo un'autentica bambina vicino a lui, credo avrebbe fatto impallidire persino Thor. "Prima volta qui?" "Cosa?" Non credevo stesse parlando con me. "Sì sì, prima volta." "Chi sostituisci?" "Loki Laufeyson" mi guardò parecchio stupito, quasi come se non mi credesse. "Sei sicura di aver letto bene tabellone?" Aguzzai lo sguardo. "Sì, assolutamente. C'è per caso qualche problema?" Nessuna risposta, solo uno sbuffo. "Va bene, seguimi." Avanzò tra tanti altri uomini e macchine in movimento che facevano un gran frastuono. Arrivammo ad una stanza un poco più silenziosa. Vicino alla porta avanzavano due cassette ricolme di attrezzi da lavoro. Ne afferrai una e la sollevai con facilità. La sala era molto lunga, con tante luci sul soffitto e le pareti del medesimo blu della nave. Sempre dalle pareti sporgevano delle mezze capsule. Non mi ci volle molto per capire che erano navicelle di salvataggio. Venni attraversata da un senso di inquietudine. "Hey? Hey! Mi senti? Stai ascoltando quello che ti sto dicendo?" Il ragazzone stava agitando le mani davanti alla mia faccia. "Sì... sì, scusa". Mi spiegò il lavoro che dovevo svolgere e poi se ne andò. Era parecchio scocciato da quando ero arrivata. Forse non si fidava di me? Non mi importava al momento. Percorsi il largo corridoio fino ad arrivare ad una nave vuota. Iniziai ad aprire gli sportelli. La situazione non era troppo drammatica, solo qualche cavo da sostituire e vite da stringere. In due ore era come nuova. Lucidai anche gli schermi e controllai le impostazioni. Era tutto a posto, grazie al cielo. Ormai avevo finito il mio lavoro quindi mi limitai a sistemare anche le bombole di ossigeno, la qualità delle tute, i dettagli, insomma. Mancavano ancora un'ora o due alla fine della giornata così aiutai altri ragazzi più giovani con poca esperienza che avevano lavori più complicati da svolgere. Improvvisamente sentii un gran frastuono. Corsi fuori dalla sala. Non sentivo altro che urla e schiamazzi. Le persone sulle altre postazioni erano sparite. Erano tutti riuniti davanti a quello che sembrava un forno. Divampavano fiamme ma nessuno riusciva a chiudere lo sportello di sicurezza, che avrebbe tolto ossigeno e spento il fuoco. Era come bloccato. L'uomo che mi aveva guidato alla mia postazione stava colpendo la porticina aperta a metà con un martello. Dannazione. Il metallo dilatato non si sarebbe mai mosso. "Che diavolo state facendo? È troppo dilatato non si muoverà mai!" "Taci! Non vedi che se non facciamo qualcosa ora finiremo sparati nel cosmo?" Oh. Quindi ero io il suo problema. Ancora quella rabbia incontenibile. Mi avvicinai al ragazzo con passo fermò e spedito. Lo guardai negli occhi e lo spinsi indietro. Probabilmente era caduto ma non mi importava. Materializzai una specie di suola in ferro. Grazie al cielo avevo indossato i miei vecchi stivali. Presi a tirare forti calci alla lastra di ferro. Sentii degli scricchiolii. Grazie alla mia prontezza di riflessi materializzai uno scudo proteggendomi da una fiammata improvvisa, che riuscì però a bruciacchiare il pantalone su una coscia e la manica non coperta dallo scudo. Iniziai a colpire il ferro anche con quello. Clack. Il pezzo di metallo iniziò a scivolare verso il basso. Con agilità materializzai una specie di crick improvvisato e lo infilai velocemente in maniera da non far chiudere del tutto la fessura. Lasciai cadere a terra lo scudo e mi voltai lentamente. "Guarda un po' chi è quello che sta zitto ora." Nel gran fracasso causato dall'eco non credo che nessuno abbia sentito quella frase. Il colosso era seduto a terra con sguardo incredulo. "Quello non si fonderà, non è metallo ed è praticamente indistruttibile." Indicavo il crick con una mano rossa e fremente per lo sforzo. Me ne andai, senza guardare in faccia nessuno e sotto lo sguardo di quei bigotti che non mi avevano dato un briciolo di fiducia soltanto perché ero donna. Avevo davvero molta sete. Decisi di andare alla mensa nonostante la malavoglia di discutere con Loki. Lasciai cadere a terra la suola in metallo che avevo creato pochi istanti prima di dissolverla. Ero stanca morta. Il mio corpo stava impiegando tutte le sue energie per guarire l'ustione sulla coscia e sul braccio e risanare i muscoli stirati per lo sforzo improvviso. Arrivai nella sala e mi diedero un'intera caraffa d'acqua che scolai in pochi secondi, senza nemmeno il bicchiere. Mi sedetti in uno degli ultimi tavoli, lontana dal bancone. Appoggiai la testa sul tavolo e mi appisolai. Sognai mia madre. Mi mancava così tanto. Era uno di quei bei pomeriggi nella veranda, appena dopo l'attacco di New York, quando tutto sembrava andare bene. Lei mi appoggiò una mano sul viso. "Sei diventata grande Heather, ora sai cavartela da sola." Sorrisi appoggiando la mia mano sulla sua. "La Mia bambina." La sua voce tremava, sembrava stesse per piangere. "Sei la cosa più bella che mi sia capitata, ricordalo. Non potrei essere più fiera di te tesoro." Rimasi seduta a guardare l'orizzonte, un temporale sì stava avvicinando. Mia madre si alzò e entrò in casa. Poi mi svegliai. Di colpo, così. Un'ombra mi proteggeva dai led sul soffitto. Era Loki, chi altro poteva essere. "Heather". Continuavo a pensare al sogno, qualcosa non andava. "Heather, ci sei?". Perché sognare mia madre? Non aveva senso. E tutte quelle cose? "Heather!" Loki si era abbassato e mi aveva preso per le spalle. "Si può sapere che succede?" Tossii e lui mi passò un bicchiere d'acqua. "Che cosa sono questi segni che hai in faccia?" Prese un fazzoletto umido per pulire le macchie nere sul mio volto. "E questi buchi? Ma sono bruciature?" Fissavo il vuoto mentre riflettevo. "Andiamo, ti porto in camera". Mi appoggiò una mano dietro la schiena e cercò di infilare l'altra sotto le ginocchia per sollevarmi. Lo bloccai stringendo il suo polso e spostandolo indietro. "Loki..." mi guardò come se stessi per soffocare. "Io... io credo che mia madre sia morta." Non riuscivo a realizzarlo. Lui si sedette sulla panca di fianco a me stringendo una mia mano. "Perché pensi questo? Che è successo?" Deglutii rumorosamente. "Un sogno. Lei era lì e poi se ne è andata. Ed era così reale. È come... come se lo sapessi e basta." Dentro mi sentivo vuota. "Ok. Cosa vuoi fare?" Lo guardai negli occhi, non capivo cosa mi stesse chiedendo. "Non lo so... non so. Che potrei fare?" "Vuoi stare qui? Vuoi festeggiare? Vuoi disperarti? Vuoi lavorare?" Fece una breve pausa. "Cosa?" "Credo che dovrei tornare in camera." Mi alzai traballando. Loki mi teneva le mani di fianco come se dovessi cadere da un momento all'altro. Camminai da sola fino alla porta. Loki mi seguiva in silenzio. Entrai allungando le mani per afferrare le pareti e sorrergermi. "Devo prendere quello." Indicai le numerose bottiglie di alcolici. "Non credo che-" "Ora voglio e necessito di quello!" Alzai la voce per impormi. Mi sedetti a terra, appoggiando la schiena al separé di plexiglas. Lui mi raggiunse con un bicchiere e una bottiglia, poi si sedette di fianco a me. Afferrai il bicchiere, ne versai una dose non troppo abbondante e lo passai a lui. Tracannai un lungo sorso dalla bottiglia.

The apartment  // Loki LaufeysonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora