Capitolo 9 - La prova

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I soldati condussero Shin fino a una doppia porta di metallo. Avevano attraversato metà prigione, imboccando diversi corridoi e dirigendosi verso l'ala destra della struttura. Gli interni erano simili tra loro, con pareti bianche e piastrelle antracite lucide sul pavimento. Ambienti poveri e asettici in cui era facile perdere l'orientamento.

La doppia porta si aprì con un sibilo e Shin venne spinto all'interno della stanza senza troppe cortesie. Il giovane spalancò gli occhi stupito. Il luogo in cui si trovava era enorme e pressoché spoglio. In alto, proprio sopra l'uscio, vi era una vetrata che proteggeva la postazione di controllo. In quel piccolo cubicolo aveva preso posto il Comandante, che guardò verso il basso incontrando lo sguardo confuso del prigioniero.

«Avevo capito subito che saresti finito qui, ragazzino» dichiarò l'uomo, avvicinando le labbra al microfono che spuntava dal pannello davanti a sé.

«Non ho fatto niente di male» replicò Shin, mantenendo un tono neutro e distaccato.

«Oh! Io credo invece che tu sia uno stronzetto attaccabrighe. Ma ti farò passare la voglia, non ti preoccupare.»

Shin avvertì l'angoscia premergli il petto, ma non permise al suo viso di lasciar trapelare alcuna debolezza. «Mi ucciderete?»

«No. Ho in mente altro per te» rispose il Comandante.

Il ragazzo non ebbe tempo di chiedere quali fossero le sue intenzioni, che i soldati gli porsero una tuta e altri accessori.

«Metti la tuta» ordinò la guardia alla sua sinistra, stempiata e con il naso a patata.

Shin non protestò. Tolse la divisa da carcerato e indossò il nuovo indumento. Si trattava di una tuta nera integrale, elasticizzata e resistente. Legò la cintura alla vita e sistemò una pettorina triangolare che gli copriva solo il petto a destra, all'altezza del fulcrum. Aveva spie luminose e bottoni. Terminò calzando un paio di stivali e guanti molto spessi.

Ultimata la vestizione, gli passarono un caschetto.

Shin lo tenne in mano qualche istante, soppesandolo, poi lo infilò. Non vide più nulla, finché non udì un cupo ronzio. Davanti a sé apparve nuovamente il salone, ma era differente da quello in cui era stato fino a pochi secondi prima. In mezzo alla stanza svettavano quattro colonne di pietra molto alte, che arrivavano fin quasi al soffitto. Sulla sommità spuntavano delle armi. Non sapeva di che tipo fossero, né se la loro affilatura fosse adeguata a un combattimento. I muri e il pavimento erano anch'essi di pietra, pieni di crepe e buchi.

Shin si guardò. Il suo abbigliamento era simile a quello precedente, ma invece di avere il casco portava solo un auricolare all'orecchio sinistro. I guanti erano più sottili e senza dita e gli stivali leggeri. Era un'illusione creata grazie a un qualche strano programma o computer, ma Shin era completamente digiuno di tecnologia, sale di simulazione o intelligenze artificiali, perciò non poté fare altro che guardarsi intorno spaesato, ignorando come fosse possibile qualcosa di così tanto elaborato e realistico.

«Ti dirò un paio di cose» mormorò la voce del Comandante all'interno dell'auricolare, «mi spiacerebbe se morissi subito e rovinassi l'intrattenimento. Questa è una camera di simulazione per i combattimenti.»

Appena pronunciò quelle parole, dal lato opposto della stanza si aprì un portone. Con calma, assaporando ogni passo, fecero il loro ingresso tre chanjer di Livello Tre.

Shin deglutì. La voce continuò a spiegare: «anche se si tratta di simulazione, i danni che riceverai saranno più che reali. Quindi non conterei troppo sul fatto di tornare in cella tutto intero.»

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