Capitolo 22 - Le catene della paura

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Quando Clay aprì gli occhi la stanza gli apparve estranea e fredda. Per un attimo pensò di essere tornato a tanti anni prima, quando veniva legato sopra un lettino scomodo, illuminato da freddi neon e analizzato da sensori e computer. Ma non aveva aghi a penetrargli la pelle, né fastidiose ventose appiccicate su tutto il corpo a rilevarne i segni vitali e le oscillazioni del fulcrum. Era in una stanza piccola ma accogliente e una calda luce arancione proveniva dal comodino; calma e silenzio regnavano indisturbati. Nessun ronzio di macchinari in azione né il suono di dispositivi medici attaccati alla pelle.

Clay voltò il capo verso il letto alla sua destra e trovandolo vuoto ricordò ogni cosa. In un attimo fu in piedi, trascinando le lenzuola e il cuscino con sé. Sentì la testa girare e gli occorsero alcuni istanti per recuperare l'equilibrio.

«Shin!» esclamò, dirigendosi verso il bagno. Strinse gli stipiti della porta e si sporse dentro, ma non c'era nessuno. Era solo.

Guardò l'ora sul display sopra al letto e sgranò gli occhi: erano già le tre del pomeriggio. «Cazzo! Ho dormito tantissimo!»

Si passò le mani tra i capelli, disperato. Avvertiva ancora un po' di debolezza, ma la febbre era scesa. Notò il vassoio appoggiato sul comodino; conteneva pane, marmellata e alcuni dolcetti confezionati insieme all'acqua e a un succo di frutta. Vi era anche un bigliettino. Lo strinse tra le dita come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Sopra c'era scritto in una grafia veloce: "Mi raccomando, riposati. Torno presto. Shin".

Clay si sedette sul letto sospirando. Chiuse gli occhi e pregò con tutto se stesso che in quella missione esplorativa non trovassero nulla. E, soprattutto, che non dovessero affrontare un Livello Cinque. Sapeva il terrore che Shin provava per quella creatura e i ricordi terribili che il solo vederla provocava in lui. Se mai ne avessero affrontata una, voleva essere al suo fianco, aiutarlo e proteggerlo.

Riaprì gli occhi e posò il biglietto sul comodino. Mangiò e bevve con calma; l'ansia e la preoccupazione gli chiudevano lo stomaco, ma era deciso più che mai a riprendersi il prima possibile. Prese anche le medicine, perché non poteva permettere alla febbre di lasciarlo indietro un'altra volta.

"Hai delle capacità incredibili, figlio mio" diceva sempre sua madre, "ma il tuo corpo è fragile. Non devi mai stancarti troppo, ricordalo."

E lo sapeva bene. Negli anni in cui si era allenato per diventare più forte e resistente si era ammalato spesso. Ogni volta che si sforzava in modo eccessivo, il suo corpo reagiva immediatamente, bloccandolo, intimandogli di rallentare e di riposare. Col tempo aveva appreso come dosare gli sforzi e la fatica, aveva imparato ad ascoltare ogni fibra del suo essere, tanto da non chiedere mai troppo alle sue energie. Ma lo scontro con Shin alla Discarica, la prova in prigione e ora quegli addestramenti così intensi avevano richiesto un'ingente fatica da parte sua, tanto che il corpo non aveva più retto, lasciandolo debole e spezzato. Lui non era come Shin, lo sapeva bene, nonostante i muscoli e gli allenamenti, la fragilità del suo corpo restava un grosso limite con cui doveva fare i conti.

Col passare delle ore la preoccupazione crebbe a dismisura. Clay si alzava dal letto, vagava avanti e indietro, si risedeva, si rialzava, camminava, e via così, in un loop infinito.

Erano quasi le 19:00 e si trovava proprio davanti alla porta, quando questa si aprì di scatto, sparendo nel muro. Di fronte a lui apparve Shin, la divisa impeccabile e il viso stanco ma tranquillo.

«Clay! Sei...» Non riuscì a finire, che il biondo si lanciò su di lui. Lo abbracciò forte, mentre l'altro restò paralizzato alcuni secondi, troppo scioccato per fare alcunché.

«Scusa» gli disse, scostandosi un attimo dopo, «ero preoccupato.»

Le guance di Shin sembravano più rosate. Scrollò la testa e venne avanti, lasciando che la porta si chiudesse. «N-nessun problema.» Si tolse la giacca della divisa e la poggiò sul letto. Poi guardò il comodino e notò i resti del pasto.

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